I piani sonori si mascherano l’un l’altro, emergono e spariscono proprio come onde. L’orchestrazione dona a Robert sembianze da novello Ulisse mentre l’intero, sottile intreccio delle sinuose curve melodiche libera l’immaginazione dell’ascoltatore e tenui cellule sonore fanno assomigliare l’organo a un canto di sirena. “Sea Song” toglie il fiato e non lo restituisce più, non solo artisti a lui prossimi ma di ognidove, di diversa generazione o genere musicale, ne sono rimasti ammaliati al punto da volerla inserire nei loro dischi: Tears for Fears, The Unthanks, Carolina Katún, Julie Constantine…sono solo alcuni. Ulteriori l’hanno interpretata in versione strumentale (Klimperei, Mop Meuchiine, Jean-Philippe Ramos…) ma anche da parte di italiani ne sono state incise cover: Ci S’Ha, Hostsonaten, Mezz Gacano, Annie Barbazza. “Sea song” è l’unico brano di Rock Bottom dove Wyatt suona tutto da solo (basso minimalista di David Sinclair a parte) e la conclusione mescola vocalizzi, ispirati alla musica indiana, con la semplicità di un suono d’organo senz’altro debitore a Richard Wright (1943 - 2008). Alla sua tastiera si devono, all’interno del suono dei Pink Floyd, le affascinanti “aurore boreali armoniche”. Quelle melodie “floydiane” trasparenti come cristallo e inafferrabili come fumo, quei tuffi a occhi chiusi nella densità della fantasia e nella radice della emozione incontaminata, come rivela l’ultima parte di “Saucerful Of Secrets”. La semplicità del Riviera si dimostra mirabilmente in sintonia con il tocco leggero di Wyatt, umile tastierista per costrizione. E come potrebbe non essere così, dopo che si è musicalmente confrontato con ispirati professionisti dello strumento quali Mike Ratledge, David Sinclair o Dave MacRae? Innocenza nello sguardo, mestizia nella voce, fluttuazione nelle sonorità sono la colonna vertebrale dell’acquarello di Rock Bottom, disco dalla rassegnata gravità fondamentale che fa avvitare e precipitare verso un punto preciso e abissale. Le melodie e gli interventi solistici qui non percorrono sinuosi sentieri terreni, narrando storie di persone ma mulinano acqua, formano gorghi, aumentando la vorticosa miscela di sensazioni. Alienano lo stato reale e concreto, lo sospendono infondendo atmosfera onirica, il mare sembra un lenzuolo arrotolato male ma che può
portare verso una esistenza migliore. Intimità e visceralità appaiono attimi rubati all’acqua, immagini che forse risulterebbero vuote al di fuori di questo ambiente ma chissà...forse lo sono anche dentro, come tutto ciò che sta sotto la linea della superficie. Perché l’acqua indirizza al mistero, all’interiorità dell’io e lo fa anche con i suoni. Rock Bottom avrebbe potuto chiamarsi “A Last Straw” (stando al titolo iniziale del progetto), il che potrebbe a sua volta, riagganciarsi al proverbio universale della famosa “ultima goccia che fa traboccare il vaso”. Sempre tenendo conto della costante ironia di Wyatt, non è bizzarro pensare che l’episodio decisivo dell’incidente sia stato interpretato come il più grave, ma non disgiunto da precedenti e che la loro somma avesse determinato il risultato della situazione attuale. In Italia esiste una suggestiva variante del proverbio di origine medioevale-toscana, che recita pressapoco “Quando la cornamusa è piena, comincia a suonare”. Purtroppo la tragedia era ancora dietro l’angolo in quanto Mongezi Feza morirà stupidamente nell’abbandono, a trent’anni, dopo pochi mesi dalle sue apocalittiche trombe in queste registrazioni (vedi inizio di “Little Red Riding Hood Hit The Road”). Feza abbandonata ogni idea di tranquillità wyattiana, diresse i suoi suoni verso un universo di visioni inquietanti e ombrose. Ivor Cutler dal canto suo, declama una specie di filastrocca inglese demeziale, in corsa verso una chimera sconosciuta che si concluderà in dissolvenza fino al silenzio. Lo specchio della “Canzone Del Mare” riflette “Alifib/Alife” (“AlifiB” è denominata la parte della canzone in B, ovvero nella nota SI, mentre “AlifE” rappresenta la parte in E, ovvero nella nota MI) dove, al motto di “siamo creature acquatiche che tentano di vivere sulla terra”, Wyatt riesce a far precedere le anestetiche parole in dormiveglia, cambiando l’accompagnamento con un ispirato soffio di sillabe aspirate. Assomiglia all’ansimare di un infante che sta emergendo ritmicamente da
un ipotetico liquido amniotico. Ci vorranno sette anni prima che il suo potenziale incantatorio, così lontano dagli artifizi rock, venisse in qualche modo recuperato. Sarà la mirabolante Laurie Anderson di “O’ Superman” su un’unica nota di voce, a narrare con una canzone dalla poesia chirurgica lunga ben otto minuti, l’ennesimo crimine dell’imperialismo americano in Iran. Wyatt stabilisce un rapporto ambiguo con le parole, che sovente diventano importanti come suoni più che per i loro significati logici, all’influenza di poeti del passato quali James Joyce, Lewis Carroll o Alfred Jarry, si unisce quella di contemporanei come l’amico Cutler. Anche di questo brano le riprese sono state numerose: The More Extended Versions, L’Orchestre National De Jazz, Pascal Comelade, Zapmachine, Richard Robert/Gilles Tordjman, Loïs Le Van, Grey Lotus…e in Italia, ad opera dell’occasionale quartetto Saro Cosentino/Franco Battiato/Morgan/Mauro Spina, che lo incideranno nel 1998 mentre l’anno dopo sarà la volta del gruppo ligure Dono Celeste. Molti artisti saranno affascinati o influenzati quasi senza accorgersene, dalla malinconia introspettiva, dalla fragilità vocale di Robert, dalla struggente melodicità di queste canzoni. Anche in tempi più prossimi a noi. Basta ascoltare, ad esempio, l’atmosfera e alcuni momenti di “Spin Cycle” (2018), esordio della giovane multistrumentista dello Yorkshire, Aby Vulliamy per credere alla potenza della seduzione wyattiana. Lo spettro di Alifib/Alife pare osservare sorridendo da dietro l’angolo di “Viola Interlude”. Se il disco di Robert rappresentava l’inizio di una nuova vita, quello di Aby riflette sulla propria maternità: sempre di nascite si tratta!
Addirittura nello stesso anno, le atmosfere e l’universo di Rock Bottom serviranno dichiaratamente in Francia, da mistico filo conduttore per la composizione dell’intero disco “Sea Song(e)s” di Bruno Tocanne, Sophia Domancich, Antoine Läng e Rémi Gaudillat. Nel 2019 poi Rock Bottom è stato riproposto integralmente dalla North Sea Radio Orchestra in “Folly Bololey” (prodotto dalla nostrana etichetta piacentina Dark Companion Records). Le suggestioni infantili chiarirebbero meglio l’intero testo di Alifib/Alife che risulta altrimenti di difficile comprensione, utilizzando logiche mentali e meccanismi adulti, Wyatt ebbe a dichiarare “...gli adulti non hanno diritto di utilizzare le parole come fanno i bambini…” Il “flusso di coscienza” è tecnica narrativa che dona libero sfogo alla rappresentazione mentale dei pensieri, senza subire la preoccupazione di organizzarli in frasi compiute allo scopo di farsi comprendere. James Joyce è stato maestro in questo. Musicalmente parlando, non dimentichiamo che già il precedente testo di “Pataphysical Introduction” di Soft Machine (1968) altro non era che l’intero alfabeto inglese. Questa volta sarà il sassofono del compianto Gary Windo a tentare di destrutturare drammaticamente la melodia, sulle orme in lontananza di John Coltrane. Verso la conclusione del viaggio, il Piccolo Robin Hood incontrerà anche acqua che annega le talpe nelle loro gallerie, manifestando così tutta la crudeltà di cui può essere capace l’uomo sociale e un ghigno demoniaco porrà fine al racconto musicale di Rock Bottom, disco d’acqua. “L’acqua è insegnata dalla sete” scriveva Emily Dickinson, ovvero non si può mai comprendere meglio il valore di qualcosa senza sperimentarne la necessità quando ci si trova al suo opposto.
Flavio Poltronieri
Tags:
Contemporanea