Carlos Núñez è comparso il 15 agosto 2024 sul palco del Gran Teatro di Lorient – e sotto i nostri occhi – come un’esplosione di energia umana e una valanga artistica di suoni e rappresentazioni culturali degni di una gioventù perpetua, fresca e sorridente, ma dotata anche di seria e profonda analisi personale e attenta riflessione generale sullo stato dell’arte. Nato nel 1971 e cresciuto a Vigo, dove ha iniziato a suonare la gaita gallega all'età di otto anni, Núñez pur rivolgendosi al patrimonio musicale della Galizia, è sempre stato animato dalla necessità di spingersi oltre i confini del suo “finisterre”. La presentazione del suo ultimo album “Celtic Sea” – un viaggio nello spazio e nel tempo che tocca tutti i lidi atlantici dell’Europa settentrionale – è anche l’occasione per incontrare ancora una volta questo straordinario musicista e compositore galiziano, che dopo l’eredità raccolta dai Chieftains, è uno dei più considerati ambasciatori della cosiddetta musica celtica nel mondo. L’ultima risposta si chiude con una domanda che Carlos lancia a se stesso e a tutti, e che ci lascia sperare per un nuovo entusiasmante inedito viaggio.
Carlos, ti ho intervistato per Keltika, la prima volta nel 1997: eravamo entrambi giovanissimi e tu già infiammavi i grandi palcoscenici internazionali della musica celtica. Com’è cambiato il mondo della musica celtica in 25 anni? E qual è il tuo bilancio personale?
Gli anni '90 furono un picco di popolarità per la musica celtica, come gli anni '70, '30 (basta controllare l'elenco dei festival celtici in Bretagna) o il XIX secolo, che vide la nascita del primo festival celtico a Chicago. Ora siamo in uno di quei momenti di impasse, come quando ero ragazzino negli anni '80, di
formazione, di approfondimento, di ripensamento delle cose... e vedremo quando arriverà la prossima ondata mainstream. Io stesso ho pubblicato diversi libri a riguardo. Anche la prima menzione dell'espressione "musica celtica" che io sappia risale a un periodo di "riposo", nel XVIII secolo. Era il periodo in cui ciò che era di moda in relazione ai Celti era la letteratura di Macpherson, non la musica (sebbene Macpherson si fosse ispirato a canzoni antiche per il suo Ossian). E in quel periodo di euforia letteraria celtica in tutta Europa e in America, un uomo illuminato di Edimburgo, Thomas Robertson, tenne una dissertazione sulla musica che conteneva riflessioni molto interessanti sulla musica celtica, valide anche oggi. Qualcosa del genere era già successo nel XVI secolo con lo scozzese Buchanan, di lingua gaelica ma considerato il miglior scrittore latino del suo tempo, e che in qualche modo diede inizio ai Celti moderni unendo le leggende di origine gaelica in Galizia e le cronache dei classici sui Celti: se i Gaeli venissero dalla Galizia e lì ci fossero i Celti, la lingua che parlarono si chiamerebbe celtico. E fece anche considerazioni molto interessanti sulla musica, sulla cornamusa, sull'arpa, sul violino, ecc. nel pieno del Rinascimento! In precedenza c'era la moda della “Materia di Bretagna” nel Medioevo, che era la letteratura tradotta dalle lingue e mentalità celtiche ad altre tradizionali, ma era anche musica, non dimentichiamolo... Ecco perché quando dicono che Alan Stivell ha inventato la musica celtica, rattrista lui e me, che siamo tra i pochi che
Parlaci del tuo ultimo album: come è nato il progetto "Celtic Sea" in collaborazione con Brittany Ferries?
In modo molto organico, da quando mi hanno chiamato per tenere un concerto per celebrare il loro cinquantesimo anniversario, che ha portato a non poche collaborazioni in questi anni culminate in questo album, che ci sta dando una grande gioia. L'abbiamo eseguito dal vivo in 3 concerti consecutivi che citi a Lorient, alla Cattedrale di San Patrizio a Dublino alla presenza del Presidente dell'Irlanda, al Celtic Connections di Glasgow con l'irlandese Glen Hansard, la canadese di Cape Breton Natalie MacMaster, la scozzese Karen Matheson, ecc. e ora lo porteremo a New York, nel nostro prossimo tour in Nord America.A proposito, i miei maestri, i Chieftains, avevano già realizzato un album per la stessa compagnia di navigazione negli anni '80. Come dice il grande archeologo celtico Sir Barry Cunliffe, di Oxford, grande appassionato di musica celtica: "Oggi un numero sempre maggiore di persone viaggia sui Brittany Ferries (...), i loro viaggi echeggiano quelli iniziati nella preistoria e continuati da allora." L'album infatti è un viaggio geografico attraverso i cosiddetti paesi celtici atlantici, ma anche attraverso la storia di quelle musiche atlantiche.
Oltre alla tua Galizia, ami la Bretagna. Quando è nata questa passione?
La Bretagna è stata già una destinazione reale o intellettuale per molti grandi della cultura galiziana, negli anni '60, nei '30 e nel XIX secolo. Da adolescente sono stato al festival interceltico di Lorient dove ho incontrato Paddy Moloney e i Chieftains che mi hanno quasi adottato e mi hanno portato in giro per il mondo. Per Paddy la Bretagna era già stato un viaggio iniziatico in tempi difficili per la musica irlandese. E molti musicisti scozzesi, asturiani ecc. hanno avuto esperienze simili.
La tua musica non conosce confini: oltre al mondo celtico spazi dalla musica medievale alla classica, alla sudamericana. Come scegli i repertori che ascolti e che proponi?
Ebbene, anche se a prima vista possono sembrare fusioni artificiali, in realtà si tratta di esplorare connessioni storiche che hanno influenzato la musica. Ad esempio, la musica celtica può fornire molti indizi sugli interpreti della musica medievale; in qualche modo si tratta di una versione teatrale o urbana della musica rurale conservata dalla tradizione orale, che converge con la musica cortese o religiosa medievale, che è la musica scritta conservata. La tradizione orale ci riporta al passato tanto come o più di una pergamena. Per un esecutore di fidula medievale, come le 12 che compaiono nel Portico della Gloria a Santiago de Compostela, è probabilmente più utile ispirarsi ai violinisti che a un violinista classico davanti a uno spartito. Ma un arrangiatore di musica celtica potrebbe dover ricorrere alle armonizzazioni di Beethoven della musica irlandese, quando fa lo stesso con le moderne arpe celtiche. E chi cerca di far rivivere la tradizione dell'arpa gaelica con corde di metallo perduta nel XVIII secolo, forse oggi dovrebbe
rivolgersi alle tradizioni orali delle arpe andine, nelle quali troverà strati nativi vicini al pentatonismo gaelico, ma anche al barocco europeo, a strati rinascimentali e perfino medievali. Almeno per me tutte queste connessioni sono fonte di ispirazione e imparo da tutte loro!
L’Italia è ricca di tradizioni strumentali e coreutiche: hai mai pensato a un viaggio musicale celtico-italico?
Beh, mi piacerebbe fare quel viaggio! Tutti gli indizi che fornisci sono stimolanti: ad esempio, le launeddas compaiono già in Sardegna in rappresentazioni dell'età del bronzo, epoca in cui sull'isola compaiono numerosi manufatti atlantici, il che prova i contatti. Appaiono poi nell'Alto Medioevo in Irlanda e Scozia e un po' più tardi nell'iconografia delle canzoni galiziane medievali. Si dice che nei tripli flauti che suonavano insieme alle lire potesse nascere l'armonia dell'unica musica bardica, conservata in un manoscritto medievale dell'arpa gallese, e per tradizione orale nella musica delle cornamuse atlantiche... Come sarebbe il rapporto tra cornamuse come la Baghèt e quelle Atlantiche? E tra i ritmi di tamburello del Sud Italia e il ritmo di cornamusa che unisce i paesi atlantici?
Carlos Núñez – Celtic Sea (Arfolk, 2023)
Il preambolo ideale e storico di questo disco è a dir poco leggendario: era il 1985 quando Polig Monjarret – il pilastro essenziale della rinascita della musica bretone nel secondo dopoguerra – ospita a cena a casa sua Paddy Moloney e Christian Michielini, amministratore delegato della Brittany Ferries, la compagnia di navi che traghetta i bretoni in Irlanda, e viceversa. Scocca l’idea di celebrare un connubio musicale tra i Chieftains e il repertorio popolare bretone. Due anni dopo esce “Celtic wedding” (RCA, 1987) col sottotitolo “music of Brittany played by Irish musicians”, finanziato dalla Brittany Ferries. A distanza di quasi quarant’anni, il matrimonio si ripete tra la compagnia di navigazione e, stavolta, colui che dai Chieftains ha ricevuto il testimone: Carlos Núñez. L’album concepito da Núñez, dal titolo esemplificativo “Celtic sea”, utilizza la classica metafora del viaggio, come si conviene a un navigatore, per toccare i lidi delle sue amate terre celtiche; il mare come luogo e mezzo d’unione di popoli e culture, e giammai come solo divisore di terre. “Celtic sea” è un lungo inno sinfonico al “Mare Brittanicum”, suddiviso in quattordici brani in cui sono arrangiate le musiche di tutte le aree celtiche, che hanno come centro geografico ideale proprio l’Armorica. Dunque sonorità scozzesi, gallesi e irlandesi, dalla Cornovaglia e dall’Isola di Man, per finire in Asturia e Galizia, passando per gli echi bretoni. In questo pellegrinaggio sonoro, Núñez è attento a non trascurare tappe non rigorosamente celtiche, ma dal fascino irresistibile e funzionali al viaggio; ecco dunque quattro brani: “Bay of Biscay” sfiorando i Paesi Baschi, “The Mountains of Santander” in omaggio alla Cantabria, “The Silver Way” per il León e il monumentale “Mont-Saint-Michel”, come baluardo tra Normandia e Bretagna. Núñez padroneggia una valanga di fiati, tra flauti, ocarine e cornamuse (anche la uilleann pipes qui), affiancato dallo storico chitarrista Pancho Alvarez, che presenta anche la lyra atlantica e il violino medievale, e dal fidato fratello Xurxo alle percussioni. A questi si aggiungono amici musicisti che caratterizzano i passaggi (e i paesaggi) sonori: e così Itsaso Elizagoien alla trikitixa (l’organetto basco), Jon Pilatzke che, oltre al fiddle, nel live act esplode in una coinvolgente step dance, Hervé Le Floc’h e Steven Bodénès (cornamusa e bombarda) per gli accenti bretoni. La bravura di Carlos Núñez non è solo quella di accostare e miscelare sonorità che riempiono uno spazio ideale sulla mappa dell’emisfero celtico, ma altresì di muoversi con disinvoltura tra i secoli, fondendo suoni antichi, come la lyra risalente all’Età del Bronzo, alle programmazioni elettroniche. Un’opera che nelle intenzioni ricalca operazioni già viste in passato – il tema dell’Odissea in salsa celtica – ma elegantemente costruita, con un impianto culturale e musicale solido, illuminato da una stella gallega che celebra così i suoi cinquant’anni di vita, tutti dedicati alla valorizzazione del suo retaggio identitario.
Giorgio Calcara