Charles Lloyd Sky Quartet feat. Jason Moran, Larry Grenadier, Eric Harland, Piazza Eremitani, Padova Jazz, 22 luglio 2024

Lungo i suoi quasi settant’anni di carriera musicale, le sue ecologie acustiche gli hanno forse consegnato una posizione liminare, ma, grazie al suo orecchio aperto al mondo a 360 gradi, lo proiettano oggi in un ruolo di primo piano suggellato dal recente lavoro discografico in quartetto, frutto dell’intensa scrittura con riferimenti autobiografici durante i mesi del lockdown, “The Sky Will Still Be There Tomorrow”. “Eccomi qui a 85 anni, sono ancora un giovane che sta sbocciando” ha raccontato recentemente Lloyd a Stuart Nicholson (Jazzwise). “Sono maturato tardi. Durante il Covid, mi sono venute in mente tutte queste composizioni mentre passeggiavo nel giardino di Dorothy (partner e manager, ndr). Seguivo i sentieri e pensavo a questi intervalli e suoni: sono andato al pianoforte per vedere se lo Steinway mi avrebbe permesso di trovare qualcosa - e sicuramente ho trovato tesori come “Tender Warrior”, che racconta quel che siamo, e “Lonely One”, quel che sono sempre stato”. Il modo di tenere lo strumento musicale a quarantacinque gradi sulla destra del corpo che rimanda a Lester Young; l’incontro fra espirazione e ancia
a produrre note precise e un volume sonoro mai eccessivo nel solco di Paul Desmond; la scelta di brani che permettono di far spazio e di creare ampie dinamiche intorno a melodie intense e ispirate. Un concerto di Charles Lloyd racconta un rapporto yin con il sassofono tenore solitamente dominato da narrazioni yang, dall’iconografia alle forme di declinarne la voce: quasi un “Fish out of water” (come ricordava nel titolo del suo primo album ECM inciso trentacinque anni fa). Suggella questa impressione il brano proposto come bis, quella “Rabo de nube” che il cubano Silvio Rodriguez registrò nel 1980 nell’album omonimo con la sua voce accompagnata dall’arpa di Yanela Lojos. Un canto di speranza che chiama in causa gli elementi naturali, traghettata nel mondo del jazz dieci anni dopo da Charlie Haden con la Liberation Music Orchestra e poi inserita da Lloyd in apertura del secondo dei due dischi pubblicati nel 2002 col titolo “Lift Every Voice” – coinvolgendo già allora il contrabbassista Larry Grenadier (insieme a Marc Johnson, fu lui a registrare il brano di Rodriguez). Ed è il brano che da il titolo all’album registrato dal vivo da Lloyd nel
2007 che vedeva protagonisti il pianista Jason Moran e il batterista Eric Harland, con lui anche a Padova insieme a Grenadier, dopo le recenti tappe all’Acropoli di Atene con Maria Farantouri e Sokratis Sinopoulos, e ad Umbria Jazz. A diciassette anni di distanza è osservabile una maggior sforzo di sintesi nell’esplorare i brani che rimangono dilatati, ma più brevi ed essenziali, capaci di un ampio ventaglio di timbri e dinamiche di volume. L’intesa all’interno della sezione ritmica trasuda fratellanza e telepatia, così come estrema precisione. Il doppio hi-hat e l’aggiunta di sonagli alla batteria di Harland permettono di variare continuamente l’intensità e il volume degli intrecci percussivi, sempre perfettamente complementari al solido sostegno di Grenadier e alle centellinate pennellate melodico-armoniche di Moran. In apertura (e a metà concerto) il sax di Lloyd sembra ripercorrere l’incedere narrante, modale e spirituale del Coltrane che sessant’anni fa registrava “Psalm” per farlo poi decollare in termini di ritmo e volume, prima di lasciare che il contrabbasso di Grenadier riporti fraseggio e decibel nella cornice dell’intimità che caratterizza il secondo e terzo brano, quando arrivano anche le spazzole su rullante e pelli e rimandi a “Strange fruit”. Il flauto (contralto, in sol) fa
capolino a metà concerto e poi ancora in chiusura a rendere accessibili andamenti resi più immediatamente riconoscibili per le tinte latine o il fraseggio blues. A turno, ogni musicista si incarica di aprire o chiudere da solista i diversi brani, catturando sempre l’attenzione del pubblico e articolando stanze sonore sempre diverse e sapientemente inanellate fra loro, anche per le abilità di Moran di lasciare ampio spazio ai compagni e, allo stesso tempo, di inserire con perfetto tempismo l’accordo o la cellula melodica che sa rivelare la natura del brano e richiamare l’ispirata narrazione dei fiati di Lloyd. 

 

 Alessio Surian

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