Richard Thompson – Ship to shore (New West Records, 2024)

Sei anni dopo “13 Rivers” Richard Thompson torna con un nuovo, grande album, il cui sound, molto americano (è stato registrato negli USA per la North-West Record), è innervato di puro rock‘n roll, ha venature country, giungendo a un folk-rock che non dimentica comunque le sonorità della nativa Inghilterra. Album elettrico e arioso, con riff irresistibili, arpeggi quasi progressive e una ritmica che impedisce all’ascoltatore l’immobilità, “Ship to shore” contiene soprattutto canzoni d’amore: l’amore perduto, l’amore ricordato e rimpianto, l’amore sognato e senza speranza. Così, ad esempio, “Lost in the crowd” è una realistica descrizione di ciò che può provare e pensare chi viene lasciato: “Se avessi avuto le idee chiare/Se avessi pensato nella maniera giusta/Non avrei lasciato che lei scomparisse alla mia vista/E quando mi ha lasciato sono rimasto lì/Come se i miei piedi fossero d’argilla/Ho perso la parola/Non pensavo che lei sarebbe veramente andata via/E mentre esitavo/ la notte era come un sudario/Lei era persa nella folla”. Poche tracce dopo però ecco l’amore che si può ritrovare: “Quando chiuderai la porta/Io ricomincerò in un altro luogo/Nuovi visi rimpiazzeranno il tuo viso/E un giorno non mi mancherai più" si afferma infatti in “What’s left to lose”, il cui ritmo quadrato e la chitarra che si apre a una fuga potenzialmente infinita in sapore di West Coast, la rendono indimenticabile. Che in “Ship to shore” Thompson sia in forma smagliante lo si comprende peraltro da subito, con il fulminante refrain folk-rock dell’iniziale “Freeze”, a cui seguono undici brani, in cui l’inconfondibile voce del Nostro, ricca di sfumature così come di sussurri e di passaggi pieni, si sposa perfettamente con il suo stile musicale. Abbiamo scritto all’inizio che “Ship to shore” è un album soprattutto di canzoni d’amore, ma non mancano altri temi ed altre storie. Come in “The fear never leaves you”, in equilibrio tra un pop-rock di grande raffinatezza e un coro alla Leonard Cohen, in cui ci viene ricordato che chi ha vissuto momenti drammatici come una guerra sente che “la paura non ti lascia mai”. Oppure “The old pack mule” che incede come una danza medioevale ed ha un testo dai toni cupi che parla di un mulo i cui resti sono divisi tra le vittime di un naufragio (o di una carestia), persone rese così insensibili dagli eventi da essere pronte a pugnalarsi pur di riuscire ad afferrare un pezzo di carne (forse una metafora dell’odierno?). Un’attenzione particolare merita infine la conclusiva “We roll”, una canzone dal sapore fortemente northern country (per intenderci alla Gordon Lightfoot) il cui testo può sembrare quasi un testamento, leggendo versi come “Vi ringraziamo per l’amore dimostrato negli anni/Speriamo di avervi portato un po’ di gioia e un po’ di lacrime/La fine ora è vicina e il sipario sta calando/E noi stiamo per rotolare verso un’altra città addormentata”. Ma a ben sentire, nel rock così puro di “We roll” si intravedono elementi di speranza. Perché fino a quando c’è questa voglia di suonare, le idee sono così forti ed originali e la vena creativa ancora fulgida, c’è vita e c’è futuro. E l’immagine della nave sulla riva è allora solo un modo per dire che è forse giunto il momento di rallentare, di osservare, di riascoltare e riascoltarsi, ma non certo di arrendersi. Un plauso merita anche la copertina: iperrealista e coloratissima, mostra un Richard Thompson in tenuta da marinaio, con uno sguardo serio quanto quello dei due gabbiani posati sulle sue spalle. Nella sua ventesima opera da solista Thompson è affiancato da gruppo di validissimi e collaudati musicisti: Michael Jerome alla batteria e percussioni, Taras Prodaniuk al basso, Bobby Eichorn alle chitarre acustiche ed elettriche, David Mansfield al violino e la compagna Zara Phillips al canto. Degli album di Richard Thompson si dice che in ognuno di essi ci sono almeno una o due canzoni destinate a rimanere. Qui ce ne sono ben più di un paio, perché “Ship to shore” è solido, omogeneo e coerente, ed in esso ogni canzone è un capitolo di un’opera che, nel contempo, è un romanzo, un saggio, un’autobiografia. 


Marco G. La Viola

Posta un commento

Nuova Vecchia