Fiorenza Calogero – Vico Viviani (Migrazioni Sonore/SoundFly, 2024)

Fiorenza Calogero attinge all’opera di Raffaele Viviani, drammaturgo, attore, cantante e poeta, osservatore della vita popolare, soprattutto del proletariato e del sottoproletariato urbano.  “Vico Viviani” è anzitutto il riconoscersi concittadina dell’autore, come lei originario di Castellammare di Stabia. Quella di Calogero è una trentennale carriera fatta di musica, teatro e cinema; un’artista dalla forte espressività scenica, la cui voce sa essere verace e raffinata nel contempo.  La confluenza tra tradizione orale e scrittura nell’opera vivianea consente a Calogero, sotto la direzione artistica del suo compagno d’arte e di vita Marcello Vitale – tra i protagonisti del rinnovamento della chitarra battente in chiave contemporanea –, di fondere le sue diverse anime. La presenza di numerosi ospiti, poi, accentua la portata world all’album. Nelle interviste, Fiorenza respinge il comodo pensiero mediatico del semplice omaggio al commediografo stabiese, diversamente, sottolinea la centralità del suo voler affermare un senso di appartenenza: lei che è originaria del Caporivo, il quartiere di Viviani dove è ancora esiste la sua vecchia casa natale.  Abbiamo raggiunto Fiorenza Calogero, che racconta sé stessa, la sua formazione, la sua storia di artistica e, naturalmente “Vico Viviani”, progetto discografico di respiro internazionale.

Da attrice di teatro cantante e musicista, come ti sei avvicinata al mondo di Raffaele Viviani?
Sono nata e vivo a Castellammare di Stabia, nello stesso quartiere, il Caporivo o “‘ngoppa ‘a Caperrina”, dove è nato Raffaele Viviani, uno dei più grandi commediografi e poeti del Novecento. 
Viviani è stato una presenza costante nella mia vita, respirato tra le mura e le strade della mia città, attraverso i racconti dei miei bisnonni, nonni e genitori. Il suo palazzo natio esiste ancora, accanto al Teatro Borbonico, dove suo padre lavorava come costumista prima del trasferimento a Napoli. Oggi, la strada dove si trova il palazzo si chiama "via Raffaele Viviani" e sulle mura vi è un murale dedicato a Viviani, realizzato dall'artista Nello Petrucci, che si può ammirare sulla copertina del mio disco realizzata dalla fotografa Elisabetta Fernanada Cartiere. “Vico Viviani”, il mio settimo album auto-prodotto, pubblicato dalla mia etichetta indipendente Migrazioni Sonore e distribuito da SoundFly, non è il solito omaggio all'illustre concittadino. Vico Viviani è un vicolo simbolico, rappresentativo di ogni possibile vicolo del mondo, che ci appartiene. Ho raccontato semplicemente la mia identità culturale attraverso i suoi testi e le sue musiche.

Pensi che Viviani abbia il giusto riconoscimento come drammaturgo e compositore? Non penso solo alla sua notorietà a Napoli…
I riconoscimenti, non solo per Viviani ma per molti artisti, sono una questione dolente. Ogni epoca è spesso offuscata da nuove proposte musicali o artistiche che vengono dimenticate rapidamente. Per ogni epoca esistono i “trusts” che Viviani citava spesso. La frase simbolo del mio disco è proprio una sua citazione: “La vita è una lotta che ci rende lottatori”, e Viviani continua: “Dicendo lotta intendo parlare, 
si capisce, non di quella greco-romana che fa bene ai muscoli e stimola l’appetito, ma di quella sorda, spietata, implacabile che ogni giorno si è costretti a sostenere. 
La mia vita fu tutta una lotta: lotta per il passato, lotta per il presente, lotta per l’avvenire. Con chi lotto? Non con il pubblico, che anzi facilmente si fa mettere con le spalle al tappeto, ma con i mille elementi che sono nell’anticamera, prima di giungere al pubblico. Parlo del repertorio, delle imprese, dei trusts, dei trusts soprattutto. Oggi come ieri, l’uomo di teatro è in lotta coll’accaparramento dei teatri di tutta Italia, tenuti e gestiti da pochissime mani, tutte strette tra di loro”.  Quanto è attuale Viviani? Io, che ho trent'anni di carriera, posso dire che la mia vita artistica rispecchia il suo pensiero. Ho iniziato a sedici anni con una delle più grandi compagnie del mondo, Media Aetas Teatro di Roberto De Simone. Oggi, a quarantasei anni, la mia lotta è diventata quella di un’attivista culturale, come mi ha definito Tosca, ospite di uno dei miei festival di cui ho curato la direzione artistica. Un giorno, mi piacerebbe essere ricordata per il lavoro che ho svolto e costruito nel tempo.

Nella tua formazione musicale, in che rapporto sei con la canzone napoletana classica e con il folk revival della tradizione orale e con quel che resta del mondo contadino? 
La mia formazione musicale è iniziata fin da bambina, grazie agli input ricevuti dalla mia famiglia. In casa si ascoltava Musicanova, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, e il disco de "La Gatta Cenerentola" era la colonna sonora delle faccende domestiche di mia madre. I miei nonni mi insegnavano le grandi canzoni d’autore napoletane con il loro "fischio", ripetendomi: “Tu tieni ‘na bella voce, sti canzoni ti ‘ha ‘mpara’”!
Mio padre Mario e mio zio Giovanni organizzavano festival canori per bambini a Castellammare, e a cinque anni ho iniziato ad assaporare il palcoscenico, un luogo che non ho più abbandonato e dove ancora oggi mi sento a mio agio e al sicuro. Dopo undici anni ho fatto il provino per “Gatta Cenerentola”, leggendo l’annuncio su "Il Mattino", marinando la scuola e prendendo la Circumvesuviana e poi il pullman R2 per raggiungere il Leonardo Bianchi a Capodichino, dove si svolgevano i provini. Conoscevo tutti i brani del’’opera a memoria e mi sono ritrovata a girare il mondo con quattrocento repliche del mio mito di bambina. Quando si dice: il destino. Questo mestiere l’ho sudato, nessuno mi ha regalato nulla, e ho cercato sempre di rialzarmi e raggiungere una maturità che mi rende oggi prima persona e poi artista. Ho sofferto tanto, fino a quando ho capito che la mia solitudine poteva diventare il punto di forza della mia vita. Le migliaia di “posteggie” fatte in tutti i locali e ristoranti della Campania mi hanno permesso di imparare tutto il repertorio classico napoletano e di diventare comunicativa col pubblico, nonostante la mia timidezza. Ho conosciuto tanti posteggiatori, fondamentali per me, e mi sono divisa tra importanti compagnie di giro e le posteggie, fino a quando non sono riuscita ad accumulare un po' di soldi per dedicarmi solo alla carriera e a produrre i miei spettacoli, i miei festival e oggi anche i miei dischi. Racconto tutto questo per due motivi: primo, l’educazione alla tradizione musicale dovrebbe partire dalla famiglia o dagli istituti scolastici sostenuti dalle istituzioni; secondo, negli anni in cui vivevo anche di posteggie sono stata più volte umiliata dai miei stessi colleghi, che consideravano la posteggia l’arte dei poveri. Invece, è un’arte che andrebbe tutelata e che non tutti possono eseguire. La mia vita artistica è stata un susseguirsi di
incontri che hanno alimentato la mia curiosità sempre in movimento. Sono stata fortunata perché in questo mestiere l’incontro è fondamentale. Molti li ho cercati, altri mi sono capitati, tanti li avrei evitati se avessi avuto la consapevolezza di oggi. Non ho mai avuto un buon rapporto con la politica. Il mio lavoro si regge solo sul mio impegno. Ogni mattina mi sveglio alle sei e inizio a lavorare tra computer e telefonate. Non rimpiango nulla, anzi, sono felice perché tutto insegna e ogni piccola cosa ha per me un grandissimo valore di cui avere rispetto.

Un ruolo centrale nello sviluppo del suono lo sta avendo il tuo compagno di vita, Marcello Vitale… 
Amo tutti i generi della nostra cultura napoletana e gli stili, motivo per cui da interprete ho cercato di toccarli tutti utilizzando il mio suono, che dal 2012 vive l’influenza artistica di Marcello Vitale, direttore musicale dei miei concerti e virtuoso della chitarra battente. Non importa se è una villanella o una canzone da giacca, un brano popolare o una canzone anni ’50. La mia lingua è il napoletano, e io voglio cantare in napoletano. L’arte napoletana è troppo vasta per "poter scegliere". Chi ha detto che per essere artista devi seguire un unico stile? Posso parlare delle influenze sul mio percorso a cui ho dedicato più tempo rispetto ad altre, come la canzone folk e il mio impegno per sostenere i canti contadini. Sto cercando, nel mio piccolo, di continuare il lavoro già svolto da grandi artisti perché sento che stiamo perdendo il sapore dei nostri suoni. Ad esempio, ho prodotto uno spettacolo dal titoo “AnimaFolk", dove i protagonisti sono i pochi rimasti della tradizione orale campana autentica. Ho prodotto “Desiderio", che parla degli anni
Cinquanta della Canzone Napoletana, e "Il Canto della Sirena", un percorso che va dalle villanelle del Cinquecento agli autori attuali. Venti anni fa, insieme all’Accademia Mandolinistica Napoletana, abbiamo riportato in scena uno strumento poco considerato nei circuiti concertistici dell’epoca, il mandolino, e abbiamo girato il mondo. Ho fatto tanto per la musica della mia terra, ma ho sempre la sensazione di essere controcorrente. Anche nel caso di "Vico Viviani", penso che forse sarà apprezzato tra vent’anni, ma la mia soddisfazione è sapere di aver lasciato un segno e di aver contribuito a mantenere viva la nostra tradizione.

In tante interviste hai detto che “Vico Viviani” è nato da un desiderio di esplorare le radici della tua terra. Come si è realizzata in concreto questa ricerca?
Il 2017 è stato l'anno che ha segnato il mio cambiamento. Ho dovuto affrontare un cancro al seno e da quel momento ho compreso l'inestimabile valore del tempo. Al mattino ero in ospedale e la sera sul palcoscenico, a gioire ed emozionarmi con il pubblico. Ho avvertito l'esigenza di raccontarmi, di dare un senso alla mia vita, di parlare alla gente della mia appartenenza, della mia Castellammare, e del perché avessi scelto l'arte come mestiere. Tuttavia, non riuscivo a trovare il linguaggio musicale per creare un disco quasi autobiografico. Non scrivo, non sono un'autrice, almeno non ancora, e credo che per un'interprete sia più difficile trovare una forma musicale che la rappresenti e che possa esprimere le sue
emozioni. Per liberare la mente dalle paure, ogni giorno indossavo tuta e scarpe da corsa e andavo a correre. All'alba o al tramonto, senza sosta. Durante queste corse, la mia mente, ispirata dai luoghi della mia città, ha iniziato a generare idee su idee. Un giorno, correndo, mi sono trovata davanti al palazzo di Viviani, nel quartiere dove è nata la mia famiglia, dove i miei bisnonni affittavano camere alle compagnie di giro dell'epoca, come Cafiero-Fumo e Scarpetta. È stata un'illuminazione. Come avevo potuto non pensare subito a Viviani? Era proprio lì, sotto i miei occhi. Racconto tutto questo nel video ufficiale del disco "Si vide all’animale". Spesso non ci rendiamo conto della ricchezza che possediamo perché la vediamo e viviamo ogni giorno, come il mare. Poi arriva un turista, incantato da tutto ciò che abbiamo. Così è iniziata la mia ricerca. Ho incontrato molte persone anziane del borgo antico e ho chiesto loro se ricordassero aneddoti su Raffaele Viviani. È stato un periodo meraviglioso, in cui mi sono rapportata con il popolo, il vero protagonista delle opere di Viviani. Negli ultimi anni, alcuni studiosi hanno elevato Viviani a figura di nicchia e di élite. Ma non è così. Viviani racconta del popolo. È del popolo.

Si tratta di un lavoro dalla lunga gestazione: come è maturato nel tempo?
La corrispondenza tra me e Marcello Vitale ha dato vita alle elaborazioni e agli arrangiamenti del disco. È stato uno scambio di energie, sensazioni, sensibilità. Gli raccontavo ciò che vivevo e ciò che desideravo, e lui riusciva a trasformare tutto in musica. Nulla di costruito, tutto naturale. Questo è il frutto di 12 anni di collaborazione con Marcello Vitale. Avrei voluto anche realizzare un docufilm e spero che in futuro
qualche produzione cinematografica possa prendere in considerazione la mia proposta. Il programma musicale e interpretativo del disco è stato costruito con cura e dedizione. Ho iniziato studiando i brani nota per nota, con il supporto di un maestro concertatore, poiché Viviani, pur non essendo un musicista, ha creato motivi complessi che richiedono un'attenta analisi. Ho impiegato mesi per comprendere e interiorizzare le sue composizioni. L'armonia di base è rimasta fedele all'originale, così come il canto melodico. L'unica cosa che è cambiata è l'abito sonoro, cucito con grande maestria e sensibilità da Marcello Vitale. La lunga gestazione del progetto è stata anche una questione economica. L'autoproduzione post-pandemia non è stata facile, soprattutto in un contesto storico, sociale e politico così complicato. Dietro un lavoro del genere ci sono tanti sacrifici. Oggi, investire nella musica è un atto di grande coraggio, specialmente per un disco che tocca la world music, la canzone napoletana e la musica folk, generi spesso considerati datati. Ma io credo fermamente che la musica autentica non conosca età, e il mio sorriso è qui a dimostrarlo! 

Ci sono molte stelle italiane ed internazionali. Come mai hai pensato a loro? C’è un elemento comune o si è trattato di costruire tante relazioni?
Man mano che Marcello mi faceva ascoltare le rielaborazioni, mi immaginavo le voci che avrei voluto invitare nell’album. Visioni che si sono concretizzate grazie all’entusiasmo e alla disponibilità degli artisti
che ho contattato personalmente. Per "Zingari" sono stata ispirata dalla cantante salentina Maria Mazzotta. Ho immaginato una sequenza di immagini, come un drone che sorvola un campo Rom, mostrando una situazione mutata nel tempo ma simile a quella dell’epoca di Viviani. Con "Avvertimento" ho immaginato il pianto struggente della cantante sarda Elena Ledda, raccontando una donna che, per amore verso un uomo di malavita, finisce per fare la prostituta. Lo stesso è avvenuto per "La Rumba degli scugnizzi," diventata "Rumba dos meninos" con sapori e atmosfere brasiliane grazie al contributo di Rosalia Da Souza. La cantante tunisina M’Barka Ben Taleb, in "Si vide all’animale," ha inserito strofe di vecchi canti arabi nel testo di Viviani, esprimendo lo stesso significato del brano: il più debole sopraffatto dal più forte. È stato naturale tradurre i testi di Viviani nelle loro lingue. Ho pensato che la nostra tradizione avesse aspetti comuni con i paesi di tutto il mondo. È stata un'esperienza umana e di confronto indimenticabile. Gli artisti sono venuti a registrare a Castellammare, permettendomi di mostrare loro i luoghi che avremmo raccontato nel disco. Ho coinvolto anche Patrizia Spinosi in "Aria Marina," Le Ebbanesis, Pericle Odierna e Maurizio Capone in "Prezzetella ‘a capera”, Ezio Lambiase, Francesca Del Duca e il compianto Vito Ranucci in “Zingari", Elisabetta Serio in "Comme a Fronna”, Ferruccio Spinetti e Erasmo Petringa in “Bammenella", Eugenio Bennato e Roberto Schiano in "Si Vide all’animale" e Jaques Morelenbaum in "Rumba dos meninos”. Jaques l'ho conosciuto ad un suo concerto in Italia e, anni dopo, l'ho contattato su Facebook. Non dimenticherò mai la sua gentilezza, professionalità e le nostre divertenti videochiamate tra Castellammare e il Brasile, parlando di Viviani, che non conosceva 
nemmeno. Luca Aquino, beneventano come Marcello, l'ho conosciuto quando anche io, per un breve periodo, ho vissuto nella città sannita. Ma tutti gli ospiti sono artisti che ho sempre amato, sostenuto, ascoltato e seguito. Nessun altro scopo se non quello di realizzare un disco che potesse raccontare la bellezza dell'arte e dei suoi protagonisti.

Come singolo di lancio dell’album ha proposto "Si vide all’animale", perché questa scelta?
"Si vide all’animale" è un brano potente e significativo, che rispecchia profondamente il tema della sopraffazione del più debole da parte del più forte. La scelta è stata dettata dalla forza emotiva della canzone e dalla capacità di M’Barka Ben Taleb di arricchirla con strofe di vecchi canti arabi, creando un ponte tra culture diverse che condividono le stesse emozioni e storie. Questo brano rappresenta perfettamente lo spirito di “Vico Viviani”, che è quello di unire tradizioni e sensibilità attraverso la musica.

Ci sono brani come "Bammenella" o "Rumba de Scugnizze" che sono stati interpretati praticamente da tutti: come li hai approcciati?
Molti dei brani del disco sono stati eseguiti da autorevoli interpreti della canzone napoletana, ma io ho preferito seguire una direzione meno convenzionale, per attualizzare e far rivivere questi brani sotto una nuova veste. Ho voluto mantenere la loro essenza, ma attraverso arrangiamenti moderni che potessero
parlare anche alle nuove generazioni. Per esempio, come dicevo, “La Rumba degli scugnizzi” ha assunto sapore brasiliano che le conferisce vitalità e contemporaneità.

Il tema marinaresco ritorna in almeno tre canzoni…
Essendo io molto legata al mare, ho voluto inserire tre brani che trattano questo argomento: “Piscature”, “Marenaro ‘nnammurato” e “Aria marina”, appartenenti tutti all’opera teatrale “Pescatori". Il mare è un elemento centrale della mia vita e della mia identità, e attraverso queste canzoni ho cercato di evocare le atmosfere e le emozioni che esso suscita.

"Avvertimento" vede accanto a te Elena Ledda. Perché hai pensato alla Sardegna e alla sua voce più rappresentativa?
Per il brano "Avvertimento" ho immaginato il pianto struggente di Elena Ledda, la cantante sarda che rappresenta la voce della sua terra. La Sardegna e la Campania, pur con le loro differenze, condividono una profondità emotiva e una tradizione musicale ricca e vibrante. La voce di Elena è perfetta per raccontare la storia di una donna che, per amore di un uomo di malavita, finisce per fare la prostituta. La sua interpretazione aggiunge una dimensione di intensità e dolore che rende il brano ancora più potente.

“Canzone di Margherita" è un altro degli episodi più intensi del disco con il flicorno di Luca 
Aquino.
La sua maestria con il flicorno aggiunge una tonalità calda e avvolgente a “Canzone di Margherita”, creando davvero uno dei momenti più intensi del disco. La sua sensibilità musicale si sposa perfettamente con l'atmosfera del brano, rendendolo un pezzo indimenticabile.

Nelle presentazioni parli di world music: intanto è una categoria che molti rigettano o che ritengono superata perché occidente-centrica. Cosa è per te world music?
Per me, la world music è un abbraccio tra culture, un dialogo tra tradizioni diverse che si incontrano e si arricchiscono reciprocamente. Non la vedo come una categoria rigida o occidentale-centrica, ma come un viaggio attraverso il mondo, dove ogni suono e ogni voce contribuiscono a creare un mosaico musicale universale. È la celebrazione della diversità e della condivisione, e credo fermamente che la musica abbia il potere di unire le persone oltre ogni confine.

Sei stata impegnata nella direzione di festival musicali: un’esperienza che si rinnoverà?
Mi sono laureata in Management e Organizzazione, durante la tournée di "Gatta Cenerentola”. Ho nel DNA l’indole organizzativa e progettuale dei festival, grazie anche alla lunga frequentazione con Andrea Aragosa, che mi ha insegnato tutto di questo lavoro. Amo il dietro le quinte e sono appagata quando vedo realizzata una mia creatura. Da organizzatrice seguo tutto, non prendo impegni concertistici nei periodi dei
miei festival perché ho la necessità di supervisionare tutto e essere a disposizione di artisti e 
maestranze. La continuità dei miei festival dipende dalla politica e dai politici, che spesso cambiano direzione in base ai propri interessi. Finché in Campania ci saranno persone incompetenti a capo delle manifestazioni, sarà sempre più difficile proseguire nel tempo. Tuttavia, non demordo poiché, fortunatamente, queste persone rappresentano una minoranza e, fino ad oggi, ho sempre incontrato chi conferisce ancora valore ai progetti culturali. Nel 2024 ho rifiutato di organizzare la 26esima edizione di ‘A Juta a Montevergine, i miei impegni legati alla promozione del disco non me lo consentono, ma sicuramente terrò un concerto nel piccolo borgo irpino che mi ha sostenuto in questi due anni di collaborazione. Quanto agli altri due festival, tra cui "Irpinia Terra di Mezzo, Cultura RI-SORGENTE, da me ideato nell'Alta Valle del Sabato, vedremo se la Regione Campania continuerà a stanziare i Fondi POC che consentono la promozione di tutti i festival e rassegne campane. Tuttavia, al momento tutto è bloccato.  Stiamo ancora aspettando i pagamenti per le attività svolte nel 2023 e non si ha alcuna informazione sui nuovi finanziamenti. Questo è un problema oggettivo e per tutti gli artisti, maestranze e organizzazioni rappresenta un massacro. Non si può lavorare oggi, effettuare anticipi necessari affinché la manifestazione abbia inizio e poi essere pagati dopo due anni.  La Regione paga dopo due anni, i comuni dopo 90 giorni (forse)... Questo modus operandi è umiliante nei confronti dei lavoratori dello spettacolo! Dovrebbe esserci una ribellione unitaria sulle modalità di pagamento del settore artistico. Questo ci fa capire che per le istituzioni il nostro non è un lavoro, ma un gioco.  Nel frattempo, segnalo
una rassegna da me organizzata a Piano di Sorrento nella splendida Villa Fondi. Protagonisti saranno Alessandra Tumolillo il 12 luglio, LeRondinella & Francesco Forni il 19 luglio, Mario Maglione il 3 agosto, e il mio concerto all’alba, alle 4:30 del mattino, il 15 agosto.

“Vico Viviani” è un live: come lo porterai in scena e chi saranno i compagni di viaggio?
"Vico Viviani" è sia un concerto che uno spettacolo di teatro canzone. In scena ci saranno Marcello Vitale alla direzione musicale e alla chitarra battente, Carmine Terracciano alle chitarre, e Gianluca Mercurio alle percussioni. Le video-scenografie di Alessandro Papa animeranno le opere dei più grandi artisti contemporanei, da Frida Kahlo a Goa, con contributi audio di Peppe Barra, Massimiliano Gallo, Maurizio De Giovanni, Isa Danieli, Anna Spagnuolo e Lello Radice, per la regia di Gennaro Monti.
Per chi volesse seguire il mio calendario 2024, vi invito a rimanere aggiornati sui miei prossimi appuntamenti sul mio sito www.fiorenzacalogero.it e sui social.


Ciro De Rosa


Fiorenza Calogero – Vico Viviani (Migrazioni Sonore/SoundFly, 2024)
Si racconta che in punto di morte, dopo una lunga agonia durata dodici ore, Raffaele Viviani abbia raccolto le ultime forze e con un filo di voce abbia detto: “Arapite, faciteme vedé Napule” (“Aprite, fatemi vedere Napoli”). In queste parole è racchiuso il senso profondo della poetica del drammaturgo, il cui profondo amore per la sua terra lo aveva portato a raccontarla nella sua dimensione più viva e vera, quella dei vicoli popolati da gente comune, scugnizzi, ma anche da ladri, prostitute e guappi, il tutto attraverso chiaroscuri che ne colgono la bellezza e le tante contraddizioni. La sua figura risplende nel Pantheon culturale partenopeo dove occupa un posto di primo piano, e questo per l’eclettismo e l’originalità espressiva che lo ha portato ad attraversare ambiti artistici differenti come dimostrano teatrali come “Morte di Carnevale”, “Circo Equestre Squeglia”, “Tuledo ‘e notte” e “I Pescatori”, ma anche le sue canzoni, le poesie e gli adattamenti. Il suo lascito artistico sembra non risentire dello scorrere del tempo e ciò lo si coglie soprattutto quando ci si avvicina al suo repertorio, sia esso teatrale o musicale, senza quel velo di provincialismo in cui spesso cade la scena artistica partenopea. Emblematico in questo senso è “Vico Viviani” di Fiorenza Calogero, pregevole album nel quale la cantante stabiese ha riletto tredici brani del songbook del suo più illustre concittadino, immergendosi nel suo universo con un trasporto e un’eleganza interpretativa che ne esalta il tratto universale della poetica, tenendosi al riparo da ogni retorica. Ciò lo si coglie tanto nella sua capacità di fare proprio il canzoniere vivianeo, quanto dalle scelte prettamente musicali con raffinati arrangiamenti acustici che ne avvolgono la voce. Fondamentale in questo senso il contributo dei tre eccellenti strumentisti che la accompagnano in questa nuova avventura: Marcello Vitale (chitarra battente) che ha curato le rielaborazioni musicali e gli arrangiamenti, 
Gianluca Mercurio (percussioni) e Carmine Terracciano (chitarre) ai quali si sono aggiunti diversi ospiti Maurizio Capone (percussioni), Pericle Odierna (clarinetto), Erasmo Petringa (mandola), Luca Aquino (flicorno), Gabriele Borrelli (percussioni), Francesco Del Duca (tamburello), Ezio Lambiase (chitarra elettrica), Roberto Schiano (trombone), Ferruccio Spinetti (contrabbasso), Jaques Morelembaum (violoncello) ed Elisabetta Serio (pianoforte) e le voci di Elena Ledda, Maria Mazzota, Ebbanesis, Rosalia De Souza, M’Barka Ben Taleb ed Eugenio Bennato, con cui duetta nelle canzoni e che contribuiscono ad accentuare il respiro world impresso all’album. Pubblicato dalla Migrazioni Sonore, etichetta della stessa Calogero, con distribuzione Soundfly, il disco vede in cabina di regia, al missaggio e al mastering nomi illustri come Salvio Vassallo e Bob Fix, e regala un’esperienza di ascolto densa di suggestioni. L’attualità del messaggio di Raffaele Viviani con le storie dei vicoli di Napoli che diventano metafora della commedia umana, viene proiettata, così, verso il futuro nell’incontro tra i suoni e i ritmi della tradizione musicale partenopea con le sonorità della scena world internazionale, con intersezioni strumentali del tutto inedite come il dialogo tra pianoforte e chitarra battente. L’ascolto si apre con la trascinante “Lavannare'” a cui segue la bella sequenza in cui ascoltiamo “Comm'a fronna” in cui spicca il pianoforte di Elisabetta Serio, la brillante versione di “Zingari” cantata a due voci con Maria Mazzotta e il canto d’amore “Marenaro 'nnammurato”. Arrivano, poi, “Prezzatella 'a capera” con le Ebbanesis e le percussioni non convenzionali di Maurizio Capone, la versione jazzy di “Canzone di Margherita” impreziosita dal flicorno di Luca Acquino e il lirismo di “'E piscature”. Il duetto con Elena Ledda in “Avvertimento” e Si vide l'animale con Eugenio Bennato e la cantante tunisina M'Barka Ben Taleb sono tra i brani più affascinanti del disco per interpretazione e arrangiamenti, ma non meno affascinanti sono le riletture di “Aria Marina” con Patrizia Spinosi, la struggente “Bambenella” con Erasmo Petringa e Ferruccio Spinetti e la vibrante “Festa di Piedigrotta”. La superba “Rumba dos meninos” che porta in Brasile “'a rumba de scugnizze” con la complicità di Rosalia De Souza & Jaques Morelembaum al violoncello suggella un disco che è un atto d’amore non solo per l’opera di Raffaele Viviani ma anche nei confronti di Napoli e di quella sua dimensione più intima e poetica che spesso si tende a dimenticare.


Salvatore Esposito

Foto di Elisabetta Fernanda Cartiere (1-6), Anna Camerlingo (7 e 14), Marco Ghidelli (8-11) e Antonio Esposito (12 e 13)

Posta un commento

Nuova Vecchia