In “Flamenco Mediterráneo” del chitarrista catalano Carlos Coronado, le palmas di Marc López e Pere Martínez, in aggiunta alla chitarra, forniscono il suono del flamenco, mentre il violino di Montserrat Martos accresce l’atmosfera mediterranea. Viene evocato quindi un paesaggio musicale che attraversa la Spagna partendo dall'Empordà (Catalogna), si espande poi verso l’Andalusia, dove si incontrano i diversi palos del flamenco e arriva fino al Mediterraneo.
Gli ingredienti fondamentali dei brani sono i compas, ovvero le strutture ritmiche fisse e cicliche, a cui danno voce le falsetas, ovvero le frasi melodiche che li riempiono creando le diverse atmosfere. Credo che in nessun altro luogo europeo ci sia stata una osmosi profonda tra musica colta e popolare come in Spagna. Basti dire che un compositore come Manuel De Falla e il poeta Federico Garcia Lorca, negli anni Venti del Novecento organizzarono un concorso di cante jondo, il canto profondo proveniente dall’India e radicatosi in Andalusia. I cantori dovevano essere rigorosamente tradizionali e non dovevano avere alcuna influenza dalla musica scritta. A fare da trait d’union tra colto e popolare è stata soprattutto la chitarra, ricordo che Ramon Montoya già agli inizi del Novecento elevò il repertorio flamenco al rango concertistico, evento credo unico e eccezionale. Da allora, tra Otto e Novecento, compositori accademici, non solo spagnoli (numerosissimi) ma anche francesi (Ravel, Debussy) o russi (Glinka), hanno lasciato memorabili pagine in cui utilizzano l'idioma del flamenco. Negli anni Trenta, inoltre, Garcia Lorca, anche musicista, tenne una serie di conferenze nelle Americhe, proprio sul cante jondo e le sue differenze rispetto al flamenco. In quegli stessi anni Lorca pubblicò la raccolta “Poema del Cande Jondo”, il suo testamento poetico su questa manifestazione musicale, dividendo il libro in quattro momenti che rappresentano gli stili fondamentali del cante jondo che diventarono poi la radice dei palos fondamentali del flamenco (la siguiriya, la soleá, la saeta, la petenera).
Il giovane talentuoso chitarrista flamenco Carlos Coronado sembra ripercorrere lo stesso itinerario con una sensibilità fresca e moderna ma restando ancorato alla profondità della tradizione musicale del ‘duende’, quello stato mentale e fisico sospeso tra vita e morte di difficile definizione, “è un potere e non un agire”, “un lottare e non un pensare”, che “non sta nella gola” ma “sale interiormente dalla pianta dei piedi”, sensazioni che solo quella musica può procurare.
Nel primo brano, “Guazalamanco” il suono di sottofondo della cascata si intreccia con un accenno del tipico tremolo in cinque e poi dalle falsetas delle nacchere che sviluppano il compas in 6/8 + 3/4 della guajira di origine cubana. “Ánima” è una soleá per buleria con compas di dodici (//-//-/-/-/-) in cui le falsetas si alternano ai rasguedos e ai golpes creando una festosa atmosfera. “Fandango Mediterranei” è una tipica danza in compas di 4, caratterizzata da un basso discendente farcito dalle falsetas del violino e della chitarra, a volte in unisono dando una connotazione fortemente mediterranea. Segue “Salteseusseages” che è una seguriyia con compas 6/8 6/8 + 3/4, un brano struggente. Scrive Lorca a proposito di questo stile: “Inizia il pianto della chitarra…Oh chitarra! Cuore trafitto da cinque spade.” Non un paesaggio visivo quindi ma dell'anima, con una interpretazione delle falsetas molto personale. “Tema de amor” è una testimonianza di come il linguaggio flamenco si possa piegare alle sensibilità espressive moderne. Qui il ritmo non è serratamente misurato e antiche tecniche della chitarra flamenco, come il tremolo a quintine, si presti a un rinnovato anelito sentimentale che raggiunge il momento parossistico nella finale chiosa del violino. “Font Martina” è un delicato preludio che evoca un bosco di lecci, viene introdotto da un arpeggio sul metro 3+2 che si espande per tutta la sua durata. Questa atmosfera continua con la seconda traccia stabilizzandosi su un ritmo binario di rondeña, originaria del fandango di Malaga, e deve il suo nome alla città di Ronda, ma anche alle ronde notturne di cui qui si possono cogliere tutte le sfumature. La soleá, sublimazione della solitudine, insieme alla seguryia, per Garcia Lorca era l’essenza del cante jondo, ancor prima del flamenco come si è già detto, in questo brano sembra dire con il poeta: “Coperta di nere vesti. Lasciò il suo balcone aperto, e all'alba dal suo balcone si riversò tutto il cielo”. “Lunalumínico” è un bellissimo chiaro di luna visto dal punto di vista flamenco ma con una sensibilità molto moderna. Con “Nocturno tercero” eccoci finalmente a Granada a immaginare una piccola insenatura nel cuore dell'Andalusia, dove la chitarra in sintonia con la notte " fa piangere i sogni. Il singhiozzo delle anime perdute le esce dalla bocca rotonda...e le sue corde come gitane…nella notte dell'orto ballano vestite di bianco...”.
Un concept album di un musicista di rango che ci fa viaggiare dalla Spagna al Mediterraneo nella cui musica si avvertono varie influenze, dall’impressionismo al jazz, alla musica latinoamericana. Dimostrazione che il flamenco ha ancora tante cose da dire al mondo di oggi, veramente consigliato il suo ascolto.
Francesco Stumpo
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