Carlo Maver – Solenne (Visage Music, 2024)

Compositore e polistrumentista, Carlo Maver non fa un passo indietro. Anzi, con questo splendido “Solenne” – album solitario e intimo, suonato per intero da lui stesso, a eccezione di poche incursioni eccellenti di Paolo Fresu e Hesam Inanlou, maestro di kamanche, il violino verticale del Medioriente – ripercorre la traiettoria che più gli è congeniale. Quella che va diritta al cuore dell’esperienza e che, rimanendo in metafora, è diretta avanti (“La morte non esiste”). Non si tratta solo di riconoscere il movimento, di individuare il riflesso di quello spostamento che puntella le esperienze personali di Maver – viaggiatore e, stando alle cronache, camminatore instancabile (nel libro “Alzalai. 1500 km a piedi nel deserto” racconta il suo attraversamento della via commerciale che da Timbuctù conduce alle miniere di sale di Taoudenni, nel nord del Mali). Si tratta, piuttosto, di comprendere quanto la dimensione umana, personale, privata coordini, orienti, sposti quella musicale e, con essa, le direttrici della composizione “Andino Gregoriano”). A onor del vero, non sembra difficile dirlo: a partire dalle note di presentazione dell’album – prima ancora di arrivare a quelle biografiche – la dimensione del viaggio permea una buona parte della narrazione sull’autore (“Figli del vento”). Addirittura, “Solenne” – che, citando Maver, diviene, giocoforza, “una sorta di radiografia artistica di sé stessi” – ha a che fare, intendendolo anche letteralmente, con un percorso nel percorso, un momento di approfondimento: si potrebbe anche dire di misurazione della distanza. Si tratta, cioè, di una sospensione, di una riflessione. Che ha la funzione – dentro la ritualità della composizione-comprensione, di una traduzione che vuole interpretarne i tratti più significativi – di scivolare in uno spazio più sensibile, in cui gli elementi si ricompongono più organicamente, allacciando insieme esperienza, visione, potenza e pensiero. Mescolando i piani di una dimensione che, nella sua coerenza, assorbe l’armonia di ciò che compare alla vista. Di ciò che diviene e si manifesta – con la parafrasi romantica dell’impulso, del senso: insomma di un ignoto percepito ma non ricompreso nell’ordinario – come un sentimento (“Il vento porta, il vento porta via”). Carlo Mavel elabora questa vertigine di sensi sottraendo strati di superficie, esfoliando e lasciando decadere voci e strumenti, arrangiando una sintesi di dodici brani con il bandoneon (suo strumento prediletto: ricordiamo che è stato allievo di Dino Saluzzi), flauto, flauto basso e flauto andino (moxeno). In questo modo ci richiama a una traiettoria definita con cura e chiarezza, deliberatamente asciutta, entro la quale l’ascolto aderisce al ritmo di questo viaggio – personalissimo e originale (“Llamada II”). In alcuni passaggi – quelli, in particolare, in cui il bandoneon è totalmente solo – non possiamo fare altro che dondolarci dentro i suoi movimenti (“Vidala”). Un’ampia parte del percorso di “Solenne” è tratteggiata in questo modo e, dopo i primi ascolti, se ne comprende la profondità: la possibilità e, allo stesso tempo, la scelta. Perché, oltre a essere dondolati e trasportati, entriamo gradualmente in un raggio di impressioni che sostiene una vasta gamma di scenari (“Guerriero”). Entriamo, cioè, nel ritmo vero e proprio del racconto: come quando si legge un libro e, una volta compresa la struttura (che va oltre la pagina su cui sono posati i nostri occhi), si intuisce e riconosce la traiettoria, l’intelaiatura, l’ordine. E ne incorporiamo, in un certo senso, la finalità, entro cui ogni soluzione riflette una plausibilità condivisa (“Repetita juvant”). Questo passaggio fondamentale, che porta chi fruisce ad assimilare il corso della narrazione, si presenta, nell’album, in corrispondenza del quarto brano, intitolato “Lalisa”. Che determina un cambio di passo, un’apertura, un ingresso verso il nucleo. A ben vedere, c’è un movimento che lo anticipa: e Maver lo affida a “Volver”, il brano con cui omaggia Charles Gardés, il leggendario compositore argentino e maggiore interprete del tango cantato. 


Daniele Cestellini

Posta un commento

Nuova Vecchia