Alessandro D’Alessandro | Joao Silva – Adriatic Sessions (Autoprodotto, 2023)

La bellezza di questo EP - che si sviluppa, per un tempo totale di poco meno di venti minuti, attraverso cinque tracce fluide e molto dirette - sta tutta dentro la grandezza e la profondità dei due strumenti. Tutto sembra reggersi in bilico tra quelle componenti (che fanno comprensibilmente presa sull’immaginario collettivo di artisti e ascoltatori) classicamente agli antipodi. E che generano, in egual misura, ammirazione e curiosità (che, beninteso, non dobbiamo dare per scontate). Da un lato i corpi dei due strumenti, l’organetto e il violino, che riconducono all’immagine e al fascino archetipico del legno suonante, della liuteria e della meccanica musicale, ma anche delle tradizioni classiche e popolari di mezzo mondo. Dall’altro lato l’espansione dei loro suoni - sempre là, dove appare necessaria e mai ridondante - con un uso ammirevole di effetti: pieni e discreti, profondi, calibratissimi (D’Alessandro ci ha abituati, orami da tempo, al suo organetto preparato). A un ulteriore livello, il fascino irresistibile di queste “Adriatic Sessions” - che ci riconducono all’intimità irraggiungibile del duo strumentale, incastonata nella vicinanza dell’esecuzione e nella condivisione degli sguardi, dentro una traiettoria a dir poco esclusiva - risiede (e prende forma) in almeno altri due fattori. Il primo è di carattere quasi estetico, perché richiama le circostanze della produzione dell’EP. Il secondo va dritto, invece, alla sostanza dei cinque brani, indicandoci - così ci pare - una delicatezza innata che accomuna i due artisti. Andiamo con ordine, perché entrambi gli aspetti si condizionano a vicenda, almeno in quella sfera intoccabile della composizione musicale. Le circostanze della creazione sono impresse nel titolo: si parla di sessioni, cioè di sedute di registrazione. Ecco, questo flusso regolato di musica, in cui (come si diceva) tutto appare in una forma molto definita e segue la direzione composita di una scrittura esecutiva, probabilmente aperta alla dinamica dell’improvvisazione su tema, è imperniato nell’atmosfera della sessione (provar per credere i live in studio disponibili online). Cioè richiama vividamente il suono suonato, qualcosa che ha a che fare con quegli sguardi di cui sopra e con la capacità di comprimere - omettendo e magari rimandando gli esiti di - una creatività immensa, che potrebbe svolgersi per un tempo infinito. La regolazione che emerge dai fraseggi dei due strumenti riflette tensione compositiva, cioè possibilità, immaginazione: tutto quello che i due musicisti hanno sulle spalle e nelle mani. Non solo, quindi, le facoltà che ci dimostrano nell’esecuzione, ma il carico delle esperienze sedimentate e, ovviamente, dei percorsi puntellati da premi e collaborazioni con grandi artisti internazionali (omettiamo qualsiasi lista, vista la ben nota fama di entrambi). Da qui arriviamo all’aspetto della grazia innata. Un elemento che si intravvede nella struttura di tutti i brani, al di sotto delle loro diversità formali. E che emerge in modo più netto in una sorta di accordo tra i due esecutori, che trascendono i limiti dei loro strumenti, adoperandosi, con grande efficacia, nel farli risuonare non solo sul piano melodico ma anche ritmico (insomma, una sintesi orchestrale, nella quale i movimenti basilari e “corporei” dei tasti convivono con l’orizzonte indefinito delle possibilità di incastro). Si tratta, crediamo, di una grazia che entrambi hanno riconosciuto, nella sottotraccia del loro dialogo musicale: probabilmente nella forma di un’intesa timbrica, di tocco, di prospettiva, di un incastro leggero, fluido, incondizionato. In ogni caso, tutto l’implicito che noi percepiamo - nell’intesa e nel piacere di una musica che è insieme classica ed etnica, per non dire, banalmente, contemporanea o originale - produce un’armonia, anche estetica, che coinvolge irresistibilmente. E che, a conclusione del quinto brano (la cui posizione strategica si riflette nel titolo “Migration”), ci richiede di ripartire dal primo, di fruire di una circolarità, solcando più analiticamente il percorso definito da queste imperdibili sessioni adriatiche. 


Daniele Cestellini

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