Tra i quattro recital, ha lasciato il segno il duo gallego di violino-voce-fisarmonica cromatica di Antia Ameixeiras e di SabelaCaamaño, che procede lungo rotte che partono dalla tradizione della propria regione in cui fanno confluire influenze basche, balcaniche e “celtiche”. Come da prassi consolidata, gli showcase si sono snodati nell’arco di tre giorni (26-28). Di certo quelli diurni all’Auditorium del Palexco hanno offerto un ascolto più ricercato e attento: è il luogo dove si fanno belle scoperte. Apprezzatissimo, infatti, Ustad Noor Bakhsh, dal Belucistan (Pakistan), con il suo benju elettrificato accompagnato da Doshambay al liuto damboora. Italia sugli scudi anche in musica, con il duo calabro-lucano Francesco Loccisano e Marcello De Carolis e il loro intreccio innovativo dell’argenteo timbro della chitarra battente. Sacralità della musica nell’esplorazione del radif iraniano da parte della suonatrice di tar Elshan Ghasimi, iraniana residente in Germania. Si propone con un approccio che ingloba forme della tradizione classica persiana e un’attitudine contemporanea. Coup de cœur per il duo Cocanha: le tolosiane hanno proposto canti polifonici da danza dall’impressionante quanto vivace impasto vocale, sostenuti dal ritmo del tambourin à cordes, il salterio a percussione. Per di più, Lila Fraysse e Caroline Dufau adattano i testi del loro repertorio occitano alla contemporaneità per superare la misoginia di molti canti. Quello che segue è un
possibile excursus tra gli showcase serali, con la convinzione che altri frequentatori della fiera abbiamo trovato altri percorsi sonori più consoni alla propria cifra estetica. Ad aprire la serata del 26 le voci pan-maghrebine de Les Héritières, sostenute da percussioni, chitarre e tastiere. Omaggiano la ribelle del raï Cheikka Remiti, alla quale è accostata anche la Janis Joplin di “Me and Bobby McGee”, adattata in versione araba. Più fertili segnali di attraversamenti sonori sono arrivati dal quintetto Kutu, di scena al Pelicano Stage, enorme sala da concerto/disco club. Creatura del violinista francese Théo Ceccaldi che ad Addis Abeba ha scoperto le voci simbiotiche delle due cantanti etiopi, Hewan Gebrewold e Haleluya Tekletsadik, dando vita a una convincente collisione di musica azmari, ethio-jazz-trance e urban culture. Altro ibrido incontro-scontro acustico elettronico lo ha portato la coppia francese Ko Shin Moon (synth, macchine, voci e saz). Nell’imponente Teatro Colón, trionfa Ana Carla Maza, violoncellista e cantante, habanera di nascita, accompagnata da pianoforte e batteria. “Caribe” è il suo nuovo album in cui attraversa l’America Latina mescolando improvvisazione jazzistica, classicismo e ritmi da danza latinoamericani.
Una mezcla che è pure la forza della fisarmonicista e cantante bahiana Livia Mattos, forte dell’originalità timbrica portata da batteria e tuba, incastonatrice di ritmi carioca, jazz e improvvisazione. Da perfezionare le composite arditezze creolo-globali dei Mouvaman Alé da La Réunion (ma meritano comunque un approfondimento). Ci sono piaciuti i ricami vocali della cretese-statunitense Erini, alle prese con repertori greco-anatolici, accompagnata da violoncello e lira cretese, il connubio jazz-folk del sassofonista scozzese Matt Carmichael, il portamento jazz di matrice classica araba dell’Aleph Quintet, lo swing di stampo hot club degli sloveni Teo Collori & Momento Cigano. Un affresco del folklore e della ritualità curda sono stati portati dal quartetto elettro-acustico siriano-spagnolo Danûk (voci chitarra elettrica, buzuq, fiati, basso). Colpisce anche l’ambientazione elettronica dei canti yoik della sami di nazionalità finnica Ánnámáret, la cui voce interagisce con macchine e la politonalità della lira ad arco jouhikko. Del tutto affine a quest’ultima è la talharpa del duo estone Puuluup, in scena nella tenda del Parrote Stage. Vera forza della natura, Ramo Teder e Marko Veisson utilizzano diverse tecniche, tradizionali e non, che fanno
convivere con loop elettronici, improvvisazione e canto in cui si assommano reminiscenze popolari e una vivacissima vena surreale. Sempre nel tendone prospicente la darsena e l’area portuale, si è imposta la dancing machine maliana Bamba Wassoulou Groove. Parlando d’Africa, va detto che il contingente continentale scelto dai selezionatori ha privilegiato un approccio urbano e afro-futurista dalla forte spinta dance. Così è stato per i congolesi Kin’Gongolo Kiniata e le tostissime senegalesi DefMaa Maadef (voci, rapper e DJ), mentre più incline al richiamo pop è risultata la voce soul della ghanese Florence Adooni. Passando all’America Latina, protegé dei Meridian Brothers, i colombiani La Sonora Mazurén hanno alzato il livello di effervescenza sonica. Tornano nella regione ospite, superlativo è sembrato Baiuca, performer di origine galiziana dallo sguardo futurista folktronico nel cui show gli elementi ritmici e vocali tradizionali galleghi incontrano l’elettronica. Restando sul focus locale, tra gli altri, ha portato sul palco dell’ottocentesco Teatro Rosalia de Castro il riuscito interplay tra la voce di Magalì Sare e il contrabbasso di Manel Fortià, il folk popolare locale degli Ailà, i transiti acustici tra modi
classici, folk, post-rock del quartetto Trilitrate, forti anche dell’elemento visuale creato dalla VJ, le pulsioni pop delle giovani vocalist basche Neomak. Nello stesso teatro la “connessione atlantica” si è manifestata nei virtuosismi del flauto dell’argentino Rodrigo Sosa y la Quenistica (quena, piano e batteria), nel percussionismo esuberante della connazionale Vivi Pozzebón, ma soprattutto nello stile impeccabile quanto carismatico del brasiliano Arnaldo Antunes in coppia con il giovane prodigio del pianoforte Vitor Araújo. Passando dalla selezione ufficiale all’OffWOMEX (all’Auditorium del Palexico), che offre un’ulteriore vetrina per artisti su cui agenzie nazionali, regionali o organizzazioni locali intendono investire, ci è piaciuta tanto la cantante slovacca Júlia Kozáková, in viaggio nei repertori della musica romaní dalla Slovacchia, dispiegato con il supporto di affiatati musicisti connazionali (violino, viola, cimbalom e contrabbasso). Convincente pure il set del bosniaco Almir Mešković (fisarmonica) e del serbo Daniel Lazar (violino), di residenza norvegese. La coppia combina doti tecniche ed energia comunicativa attingendo liberamente ai patrimoni folklorici balcanici, ma trovando linfa anche
dalla loro formazione classica, dalla tradizione del loro paese di elezione e dai linguaggi improvvisativi. Ritualità nell’esibizione di Nimkii and the Niniis, che hanno messo in scena lingua ed espressioni native dell’Ontario Centrale. Invece per i franco-armeni Jinj si è trattato di far ribollire i repertori caucasici con istanze hip hop, portando alla danza un bel gruppo di rappresentanti dello stand armeno. Sorprendente la proposta di Haratago, dove il canto basco di Julen Achiary (figlio d’arte: il suo papà è il grande Beñat) incrocia cicli ritmici e modi azeri e turchi di un organico composto da violone, ghironda, clarinetto e percussioni. Rarefazioni folk acustiche per il duo The Breath: la cantante, autrice e flautista Ríoghnach Connolly e il chitarrista Stuart McCallum. Di nuovo in area baltica per ascoltare la lituana Jausmé, che si è proposta con piglio intimo da storyteller, imbracciando la cetra trapezoidale kanklès a ventinove corde. Lieve cambio di nome per lo strumento che in Lettonia è chiamato kokle e nel duo ZeMe è messo a interagire con i beat digitali di un DJ. In effetti, l’elettronica, praticata in maniera intelligente, giustapposta o concepita come implacabile, perfino invasiva, propulsione dance, è
una delle tendenze del momento e può essere considerata una delle chiavi di volta di molti dei percorsi sonori proposti in questa ventinovesima edizione della manifestazione. Proprio in tema di manipolazioni digitali, nel tour-de-force dei delegati, c’è chi non ha mancato di chiudere la notte e aprirsi al nuovo giorno al Club Summit (praticamente sulla spiaggia in riva all’Oceano), dove tra le performance di DJ e producer, segnaliamo il beat magrebino-funk-trap-dub dello svizzero-tunisino Pekodjinn, le afro-mutazioni di DJ Pö e le esplorazioni dell’ivoriana Asna. La premiazione che diventa anche commiato della manifestazione si è svolta la domenica 29 al Teatro Colòn con i riconoscimenti andati alla già citata agenzia On The Move, alla label Glitterbeat, che ha piazzato le sue numerose produzioni ai vertici della Transglobal World Musc Chart (con la World Music Charts Europe la classifica di riferimento per gli addetti ai lavori e per il WOMEX). L’Artist Award è stato conferito al collettivo sudafricano di Soweto BCUC (Bantu Continua Uhuru Consciousness), un energico agglomerato di hip-hop, funk, gospel, afrobeat ed elementi tradizionali, premiato per la sua filosofia egualitaria, che ha di fatto chiuso la ventinovesima edizione. Cifre nel complesso lusinghiere per la fiera galiziana, eppure non mancano addetti ai lavori di lunghissimo corso che lasciano trapelare qualche perplessità rispetto a un format che si ripete senza cambi di direzione da molto tempo. Intanto il Worldwide Music Expo, organizzato dalla berlinese Piranha Arts, si prepara al trentennale, che porterà il suo circuito globale nella vibrante Manchester dal 23 al 27 ottobre 2024.
Ciro De Rosa
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