È un vero e proprio ritorno alle origini il nuovo lavoro del cantautore croato Adam Semijalac che, smessi temporaneamente i panni da “roots rocker” di Bebè na Vole, si avventura in una vera e propria riscoperta timbrica delle radici sonore croate. Nel suo “Ode dite”, questo il titolo dell’album – interamente scritto, suonato e prodotto da lui stesso – finisce, infatti, per imbarcarsi in una interessante opera di ricerca, utilizzando come strumenti principali dangubica e bugarija, cui si accompagnano solo basso, banjo (scelta dettata, a detta dello stesso Semijalac, dalla curiosità di vedere uno strumento di estrazione africana alle prese con la musica balcanica) e tamburo a cornice. Così racconta Adam: “Da molto tempo volevo registrare un album con strumenti tradizionali che non ho mai suonato fino ad ora. Il sangubica mi ha attratto perché è molto ‘primitivo’: non è uno strumento cromatico. La bugarija (brácsó o kontra) è simile: 5 corde e Il mio approccio è stato quello di allontanarmi dal modo tradizionale di suonare e di suonare questi strumenti nel modo in cui lo farei normalmente. Con slide e con un’accordatura che non è naturale per questi strumenti. In effetti, volevo aggiungere al suono tradizionale qualcosa che ho sempre sentito mancare: i microtoni. Imitando la voce umana. Blues. Una sorta di ‘sporcizia’ che manca alla musica folk, soprattutto al giorno d’oggi, anche se la vita ne è piena. Ho scritto i testi pensando a melodie semplici, tipiche della musica folk. Filastrocche, melodie ripetitive: più semplici sono, meglio è. Nell'’album compaiono come ospiti Tajana Josimović e Lana Hosni, due mie amiche che da tempo si dedicano al canto tradizionale. Ho ritenuto importante includere voci femminili, considerando i testi. Creare una piccola comunità nel processo di registrazione. Come trattare temi complessi, come la guerra, la perdita di persone care, la pressione sociale, la sofferenza e la sopravvivenza, la povertà e i costumi ‘primitivi’, utilizzando forme musicali semplici? “Ode dite” è un album d'amore e contro la guerra, ma anche un tentativo di riprendere il folklore della nostra regione. L'album parla del trauma intergenerazionale causato dalle guerre. Del trauma causato dal duro lavoro manuale che porta alla morte. Della vita spietata e dura, dei perdenti. Prosegue sulla stessa linea di “Baba Ljuba Blues” e dell'album sperimentale “A Dance For the Black Devil”. Questo album riflette anche il fatto che ho affrontato la perdita della voce dopo un’operazione per cancro. Capacità di cantare, risuonare, urlare e gridare. Tutto questo è quasi completamente scomparso dopo l'intervento. Come continuare a creare? Posso cantare di nuovo? Posso cantare? Ho qualcosa da dire? Come continuare a lavorare come musicista dopo che lo strumento con cui ho lavorato per la maggior parte della mia vita è stato distrutto? Come affrontare la perdita di una parte significativa di me stesso e della mia identità? Come andare avanti, danneggiato e fregato?”
Apre il disco il blues polveroso di “Kajanje”, stordita dal clangore ferroso di una dangubica suonata con tecnica slide. “Budalica” è investita dallo strumming argentino di una bugarija, su cui le incursioni di slide si innestano come nota di straniante colore. “Dida” segue l’andamento colloso della bugarija, intorpidita dalle svisate della dangubica col bottleneck. Anche “Zora” vede la presenza di un immancabile “collo di bottiglia”, che stavolta dinamizza lo strumming della bugarija, sostenuto dalle armonizzazioni di Tajana Josimovic e Lara Hosni. “Nije moje” poggia su un rarefatto pattern ritmico tessuto da basso e tamburo a cornice, su cui le note sporche della dangubica fanno da elemento di imprevedibilità. A seguire, “Cile zime”, uno dei momenti migliori del disco, si snoda lungo il perfetto incastro fra i riff desertici della bugarija, i vortici aperti dalla linea di basso e le sabbie invocate dal tamburo a cornice. “Nesreca” gioca sui contraltari creati dalla crudezza timbrica della dangubica (sempre scortata dal fido slide) e stemperati dalla linea di banjo. Su “Podno brda” il bottleneck torna a squarciare gli strumming della bugarija, sostenuta da una tenue figurazione di tamburo a cornice. “Drugovi moji” ci accoglie con le interessanti architetture costruite dal rincorrersi arpeggiato di bugarija e banjo. A chiudere il disco arriva la title track, segnata dallo strumming furibondo della bugarija e dal tempestoso pattern ritmico scandito dai tamburi a cornice. In conclusione, siamo all’ascolto di un disco che, soprattutto ad orecchie meno avvezze, potrebbe risultare, se non del tutto ostico, quantomeno non esattamente facile, ma che cela al suo interno una splendida carica paesologica: dipinge con precisione certosina una Croazia rurale, fatta di terra e radici. Un lavoro cristallino e resistente, un album “d’amore e contro la guerra” – spiega ancora Adam – “dedicato ai nostri nonni che hanno combattuto contro il fascismo”.
bebenavole.bandcamp.com/track/cile-zime
Giuseppe Provenzano
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