Corrado Corradi, Rachele Colombo, Roberto Tombesi – Passeggeri. Taccuino musicale di un viaggio straordinario (Visage, 2023)

Siamo nel 1874: Marco Piazza è “primo attor giovane” della compagnia dell’attrice Adelaide Ristori nella tournée teatrale che in venti mesi li porta in alcuni dei principali teatri del mondo. Ne scrive ai genitori e le sue lettere raccontano il viaggio con le navi a vapore e le diverse tappe. Bisnipote di Piazza, Corrado Corradi ha trovato in quelle lettere un filo rosso, una metafora prismatica che proietta sui musicisti di oggi quel sentimento descritto dall’attore del sentirsi passeggeri del proprio tempo. Un sentimento che ha condiviso con Rachele Colombo e Roberto Tombesi, dando vita ad un nuovo viaggio musicale, un trio tutto nuovo che dà seguito alle esperienze condivise in passato. E che ha generato un concerto e un album con elementi di sintesi fra musiche venete e sudamericane affini allo strumento che ha inventato negli anni Novanta, quando l’ha registrato prima con Calicanto (“Murrine”) e poi con Archedora (nell’album omonimo del 2000 e in “Descalso” nel 2005): la bandonina, strumento a mantice ispirato sia dal bandoneòn (inventato dal musicista tedesco Heinrich Band e adottato soprattutto in Argentina e Uruguay), sia dalla concertina inglese. Già ad inizio 2020 Rachele Colombo aveva avuto modo di registrare nel suo studio a Due Carrare il brano “Campeando Passados”, composto nel 1968 dal brasiliano del Rio Grande do Sul Daltro Bertussi, eseguito dall’organetto di Roberto Tombesi e dalla bandonina di Corrado Corradi.
Era una prima testimonianza (e l’unico brano composto da un altro autore) del processo che ha saputo costruire una ben calibrata scaletta di  concerto (e poi l’album pubblicato da Visage) grazie alla capacità dei tre musicisti di condividere idee e composizioni originali ispirate ai vissuti di Adelaide Ristori e Marco Piazza (cui, nel disco, danno voce Ottavia Piccolo e Titino Carrara) e, a ben guardare, a riannodare fili
intrecciati al navigare di cui è disseminata la loro attività musicale, dall’album dei Calicanto “Carta del Navegar Pitoresco” (1992) che si confrontava con testi di Ferdinando Palmieri, Biagio Marin e Alberto D’Amico, ai lavori solisti di Roberto Tombesi con “Vilote lagunari” nell’album “in ‘sta via” (2016), a “Cantar Venezia. Canzoni da Battello" che è valso nel 2017 a Rachele Colombo il 13° Premio Città di Loano. Del taccuino musicale che compone “Passeggeri” parliamo con i tre musicisti. 

Nel 1997 e 1999, con i Calicanto avete inciso due ottimi album, poi le vostre strade si sono divise e di nuovo incontrate: volete farci un riassunto? 
Corrado Corradi - Nella seconda metà degli anni Novanta Calicanto ha intrapreso un percorso di rinnovamento che si è concretizzato con l’uscita dei due album da te citati (“Venexia” e “Murrine”). Paradossalmente il successo di pubblico e di critica conseguito ha portato il gruppo ad un bivio: continuare l’attività sul solco della forte identità acquisita negli anni o seguire l’esigenza di un percorso musicale più aderente ad una realtà che stava cambiando attraverso nuove composizioni, la canzone d’autore, un approccio non filologico al dialetto. I dubbi e la forte differenza di vedute, col tempo hanno generato incomprensioni ed una convivenza faticosa, sfociate con la fine della collaborazione mia e, subito dopo, di Rachele. Sembra anacronistico parlare oggi di quegli anni. I tempi sono cambiati, noi siamo cambiati come pure è cambiata la consapevolezza delle nostre capacità maturata attraverso i differenti percorsi artistici che si sono susseguiti.
Rachele Colombo -
Amo esplorare in profondità le ragioni che mi spingono a creare musica e penso che questa sia la cifra che in fondo mi accomuna artisticamente a Corrado e Roberto. Siamo tre personalità complesse che si confrontano su valori musicali che spesso si esprimono in dettagli, sfumature, colori da ritrovare, reinventare. Non è mai stato “semplice” accordare le nostre visioni seppur tese ad un unico scopo: ridare nuova vita e speranza alla musica di ispirazione veneta. Un obiettivo affascinante ricco di spezie profumate ma anche di strade sterrate, impervie salite, incertezze... Credo che in fondo siano stati proprio i dubbi, le tante domande senza risposta legate al sottile rapporto tra tradizione e innovazione, autenticità e reinterpretazione che ci hanno portato alla fine degli anni '90 ad una spaccatura interna che ha prodotto la nostra separazione.  Raccogliere l'invito di Corrado a riunirci a distanza di oltre vent'anni è stata l'occasione per riguardarsi allo specchio. Noi sul ponte della nave della vita siamo oggi ancora insieme a guardare lo stesso orizzonte, con i nostri pregi e difetti, consapevoli che gli incontri importanti non vanno gettati al vento.
Corrado Corradi - Credo molto nelle potenzialità del trio. Oggi condividiamo le esperienze acquisite cercando musicalmente di coniugare il dialetto e la lingua italiana nei testi delle canzoni, approfondendo la ricerca armonica tra i mantici, sviluppando la coralità tra noi nel canto. Il progetto in comune è in pratica espresso nella pubblicazione dell’album e nel conseguente live.

Veniamo al nuovo album in trio: vogliamo cominciare dalle lettere, scritte nel 1874 da Marco Piazza? Chi era e come sono arrivate nelle vostre mani e poi confluite in queste registrazioni?
Corrado Corradi -
A pensarci, spesso le cose non sono così complicate come sembrano. C’era l’idea iniziale di raccontare musicalmente il presente attingendo dai nostri rispettivi repertori ma l’intuizione è stata quella di tentare una riflessione su quello che è la nostra vita oggi attraverso la metafora del “viaggio”. Come riassunto sulla retrocopertina del cd, ci siamo immaginati “Passeggeri” sul ponte di una nave pronti ad affrontare le incognite ed i pericoli di un lunghissimo, epico “viaggio” per mare realmente accaduto nel lontano 1874. Il mio bisnonno materno Marco Piazza era il giovane attore che, al seguito della compagnia teatrale della più grande attrice tragica italiana dell’Ottocento Adelaide Ristori, in poco più di 20 mesi percorse l’intera circonferenza terrestre attraversando, con le navi a vapore di allora, mari ed oceani pericolosi. La mia famiglia ha conservato copia delle lettere che Marco scrisse ai genitori durante l’incredibile tournée. Quella lettura ci ha portato inizialmente a scrivere un canovaccio-libretto, come avviene generalmente nelle opere, individuando gli argomenti che ci ispiravano maggiormente. Su questa base è nato il “taccuino musicale”. Le musiche seguono cronologicamente il “viaggio” e, come abbiamo riportato fedelmente nel booklet del cd, sono a corollario di quanto scritto in una lettera o di quanto vissuto dal bisnonno artista.  

Con voi ci sono anche Ottavia Piccolo e Titino Carrara, gli unici ospiti dell'album: come vi siete incontrati e qual è stato il loro ruolo?
Roberto Tombesi -
Il mondo del teatro ci ha sempre appassionato e numerose sono state negli anni le collaborazioni con compagnie teatrali, attori, registi, animatori e artisti di strada. Tutti noi abbiamo poi composto, arrangiato e a volte anche interpretato ruoli in scena sia come musicisti che come attori, di conseguenza, quando si è deciso di affidare la lettura di queste lettere a dei professionisti la rosa tra cui scegliere era piuttosto ampia e anche un po’ imbarazzante in quanto a molti di questi, oltre la stima, ci lega una forte amicizia. Alla fine, si è propeso per i nomi che hai citato anche per delle particolarità che in qualche modo legano questi attori alla storia che abbiamo voluto raccontare. Titino Carrara, infatti, fa parte di una delle più antiche famiglie italiane di attori girovaghi, attiva da ben nove generazioni. Proprio in questi giorni sta uscendo il film “Il teatro vive solo se brucia” del regista Marco Zuin che racconta la loro incredibile vita. A Titino e alla Compagnia La Piccionaia ci lega una collaborazione anche internazionale in tante avventure teatrali e musicali e una amicizia ormai trentennale. Di Ottavia Piccolo siamo tutti e tre da sempre grandi ammiratori (sia dell’attrice che della persona di rara cortesia). Abitando lei al Lido di Venezia, i nostri percorsi si erano già incrociati altre volte come quando nel 2005 ci scrisse una toccante prefazione al cd “…e viene fuori un coro” realizzato con la corale Tuki Tuki composta da malati e operatori psichiatrici. Quando l’anno scorso, in occasione del concerto tenuto il 29 gennaio al Teatro Adelaide Ristori di Cividale del Friuli per l’anniversario dei 200 anni dalla nascita della storica attrice, abbiamo saputo che nel 1998 ad Ottavia Piccolo era stato assegnato dal Mittelfest il Premio Adelaide Ristori nella sua prima edizione, non abbiamo avuto più dubbi: lei sarebbe stata la persona ideale per interpretare quelle lettere.  Ottavia, conquistata dal progetto, con passione e simpatia ci ha sostenuti e 
accompagnati mettendoci a disposizione il suo straordinario talento.

Come sono nate queste composizioni?
Rachele Colombo - I brani dell’album si legano indissolubilmente al mare, da sempre l’ambiente naturale che più ci ispira, e al “giro del mondo” che Marco Piazza racconta nelle sue lettere, una sorta di colonna sonora che, attraverso le tappe del suo viaggio con Adelaide Ristori, ci ha portato a riflettere sulla nostra vita personale ed artistica: una metafora antica segnata eccezionalmente dal coraggio e dalla paura legati agli effetti della trascorsa pandemia che ci visti ora dispersi, ora sopravvissuti. La maggior parte dei brani è di nuova composizione ma non mancano alcune rielaborazioni di temi che avevamo nel cassetto da tempo e che in questo progetto hanno trovato la giusta collocazione. Attraversare idealmente il mondo sulle navi a vapore ci ha poi spinto a nuove contaminazioni con altri generi musicali viste comunque sempre dall'oblò delle nostre radici: si passa da echi di mediterraneità (“Orazion del Pescaore”, “Navegar co ti”) e di Sudamerica (“Passeggeri”) a sonorità vagamente argentine e portoghesi (Briza do mar), da un valzer ed accenni di milonga del sud brasiliani (“Campeando passados”, “Italia maledeta”) a manfrine (“Mar de nadal”) e vilote e tarantelle adriatiche (“Il ballo dei pesci”). Brani cantati coralmente si alternano ad altri strumentali, ma non mancano frammenti intimi e canzoni d'autore. Un album concept denso di citazioni musicali e testuali tutte da scoprire.
Corrado Corradi - Penso sia da sottolineare anche l’importanza data alle varie forme di dialetto veneto utilizzate in questo album. Abbiamo musicato sia un testo tradizionale chioggiotto del XVIII secolo che una recente poesia in “talian” - lingua parlata dai veneti trapiantati negli stati meridionali del Brasile. Il 
dialetto contemporaneo, sia pure personale, è stato impiegato oltre che in una canzone (“In un soffio partir”) anche inserendo singole parole in composizioni in lingua italiana per il loro “suono” insostituibile. In generale abbiamo trovato stimolante usare una metrica non sempre convenzionale nei testi delle canzoni.

In che modo si sono sviluppati gli arrangiamenti tenendo conto dei numerosi strumenti a vostra disposizione e come avete impostato i concerti dal vivo?
Rachele Colombo - La registrazione dell'album, come spesso accade, è stata la naturale meta di un progetto work in progress che si è sviluppato all’inizio come concerto-spettacolo. Fin da subito ci è parso fondamentale poter elaborare una proposta live snella e flessibile, adattabile in diversi contesti e contenuta nei costi. Questo ci ha spinto a rimettere in campo tutte le nostre forze: le tre voci, gli strumenti a mantice, i plettri, le percussioni, i suoni addizionali che sono poi gli elementi che abbiamo traghettato nel disco. Abbiamo registrato l'intero album nel mio piccolo studio per poter sperimentare liberamente arrangiamenti e ricerche sonore. Ho seguito personalmente tutte le fasi di registrazione e mastering e lo sforzo maggiore è stato quello di cercare di rendere uniforme e riconoscibile il nostro suono nonostante la grande varietà timbrica e dinamica dei brani. Abbiamo scelto fin da subito di non avvalerci della collaborazione di altri musicisti in studio. Per la prima volta pubblichiamo un disco in solitario. Certo non escludiamo nei live di poter ospitare artisti che stimiamo e che potranno essere un valore aggiunto, ma progettualmente è stato importante pensarci idealmente soli sul ponte della nave per ritrovare il coraggio di essere noi stessi e confrontarci con i nostri 

limiti, le nostre risorse e le uniche voci di Ottavia Piccolo e Titino Carrara sospese tra i nostri pensieri.

Nell’album la cornice del viaggio accompagna Ristori e Piazza, ma forse anche il vostro percorso di ricercatori, strumentisti e compositori di musiche di matrice tradizionale: come si è trasformata la vostra lettura ed il vostro rapporto con le musiche popolari?
Roberto Tombesi - Siamo da sempre inquieti viaggiatori, spesso in equilibrio instabile tra echi della tradizione e la ricerca di linguaggi contemporanei in linea con la nostra estetica musicale. Tre personalità molto diverse, accumunate però da un fermento artistico vibrante costantemente in movimento. Ritrovarci e ricollocarci dopo oltre vent’anni ha richiesto un lavoro (anche extramusicale) profondo, fatto anche di ascolti, pazienze e sapienze relazionali acquisite con gli anni. Riguardo l’approccio verso la tradizione, ancora oggi ognuno coltiva una poetica che ci consente di avere molti registri da spendere in fase creativa. Questa è una vera ricchezza. Personalmente, anche per questioni di incarichi istituzionali, mantengo  sempre un impegno quasi militante verso la valorizzazione, la divulgazione e la promozione di eventi e attività legate alla tradizione; tuttavia, quando, come in questo caso, la tradizione è solo sullo sfondo (ricordo che nel cd ci sono solo alcune citazioni di brani tradizionali e che tutte le musiche sono di nostra composizione), concordiamo sul fatto che sia necessario lasciare fluire il pensiero artistico senza troppi vincoli. Questo, se da una parte crea modalità e percorsi compositivi non convenzionali tutti da inventare di volta in volta, porta ad una dialettica che ci sembra stia dando dei risultati di una certa originalità e di cui siamo molto soddisfatti.

Recentemente, a Castelfranco, si è tenuto un convegno sull’insegnamento nei conservatori delle musiche della tradizione veneta: ci sono novità? Cosa consigliate in questo ambito in base alla vostra esperienza?
Roberto Tombesi - Il Convegno organizzato a Castelfranco dal Conservatorio “Steffani” il 18 aprile scorso, seppur in grande ritardo rispetto altre istituzioni d’oltralpe, ha finalmente posto la giusta attenzione sull’insegnamento e la valorizzazione della musica popolare italiana e veneta in particolare. Dal prossimo anno partiranno anche a Castelfranco corsi regolari di etnomusicologia e strumenti tradizionali. Sarà un evento epocale, c’è molto fermento attorno a questa iniziativa da parte di tutte le associazioni del territorio che hanno lavorato in questi anni alla ricerca etnomusicale in senso ampio. Ci sembra di percepire anche una certa attenzione da parte delle nuove generazioni e quindi anche noi ci aspettiamo molto da questa iniziativa che consigliamo di seguire con attenzione.

Quali sono i vostri programmi futuri in trio?
Corrado Corradi - Considerando che ciascuno di noi continuerà a coltivare le proprie attività e inclinazioni, in questo momento siamo tutti concentrati sulla promozione di “Passeggeri” da cui ci aspettiamo molto. Il desiderio più grande è suonare dal vivo la nostra musica. Siamo consapevoli di quanto sia particolare e difficilmente etichettabile la nostra proposta musicale. Confidiamo nella curiosità degli organizzatori, forti anche della calorosa accoglienza che il pubblico ci ha finora dimostrato. Siamo convinti che riusciremo ancora una volta a sorprendere.



Corrado Corradi, Rachele Colombo,  Roberto Tombesi – Passeggeri. Taccuino musicale di un viaggio straordinario (Visage, 2023)
“Passeggeri” ha i meriti dell’album che, prima di venire registrato, ha sottoposto le qualità degli arrangiamenti e dei tre polistrumentisti alla verifica di numerosi concerti, cesellando un percorso articolato in sei sezioni che, prendendo a cornice il viaggio, comincia con le “partenze”, con la splendida “Orazion del pescaore”, felice arrangiamento e sviluppo curato da Rachele Colombo di una preghiera beneaugurante in dialetto alla Madonna della marina (il testo è pubblicato in “Canti del popolo di Chioggia” curato nel 1885 da Agostino Garlato) invocazione di protezione e speranza per chi emigra, e che rimanda alle parole scritte da Marco Piazza: “In terza classe vi sono molti emigranti, soprattutto veneti che con le loro famiglie e pochi bagagli arrivano con la promessa di un lavoro fuggendo dalla miseria (…) Mai più subire l’umiliazione di tornare indietro piegando di nuovo la schiena ai padroni”. Un brano che rivela il profondo legame con il respiro della laguna veneta, evidente nel finale ad alta tensione percussiva sull'aria di “E tiorte i remi e voga”, canto tradizionale dei pescatori di anguele. I mantici arrivano con “Passeggeri” - con un testo in italiano a tre voci che porta l’ascoltatore proprio sul ponte della nave “persi controvento”, fra bora e alisei, ma “ancora insieme”, con le parole di Titino Carrara nel finale a cercare di rassicurare la famiglia, come traspare dalle lettere di Marco Piazza – e poi diventano protagonisti di indovinate dinamiche timbriche e di volume nel primo brano strumentale, “Brisa do mar”, uno dei quattro firmati da Corrado Corradi. Seguono altre cinque sezioni: “il viaggio”, “il vapore”, l’“emigrazione”, “la festa”, “il ritorno” per un totale di tredici brani, dodici dei quali composti dagli stessi musicisti. Corrado Corradi ha lavorato, in particolare, sulle ecologie acustiche ed i brani strumentali che veicolano le voci di Titino Carrara (“Tendresse du Sud”) e Ottava Piccolo (“El vapor”), ispirato dalle acute osservazioni di Marco Piazza “il suono rauco di sirene nella nebbia fitta sul mare”, “il sospiro rassegnato della barca che scivolava fuori dal porto nelle sere d’inverno, lanciando nel buio lattiginoso e vago quella nota struggente e già malinconica, già dolorosa di nostalgia”. Le parti strumentali sanno riprendere gli elementi naturali della traversata oceanica, le sonorità e l’energia propulsiva dei piroscafi, e sottolineare con il ritmo in 5/8 de “El vapor” la tensione prodotta dalle macchine, stilizzata dagli andamenti sincopati di mandola e bandonina, amplificata dagli ostinati pronunciati dalle corde.  Vivono nello stesso arco narrativo la poesia che da forma al desiderio di chi parte (“In un soffio partir”), espressa in modo commovente dalla voce duttile e carica di emozioni di Rachele Colombo, con la grana ruvida che Roberto Tombesi è in grado di imprimere al canto che da sfogo alle frustrazioni e alla tenacia dei migranti (“Italia maledeta”). Nel finale torna la “forma-concerto”, lo spazio per la festa e i due brani più vicini all’estetica Calicanto: “Mar de Nadal”, il secondo brano composto da Roberto Tombesi, prende spunto da un lettera che racconta il 25 dicembre a bordo dell’Ebro: “Nastri di seta e ghirlande pendono dal soffitto e la tavola ha assunto proporzioni gigantesche (…) Dopo i fuochi artificiali, s’improvvisa una festa a ballo in onore dei marinai e dei passeggeri della terza classe”: ed ecco una manfrina tutta strumentale in 6/8 ispirata al nord Italia a cavallo fra XIX al XX secolo; le fa eco, altrettanto danzante e festosa, ad echeggiare villotte e tarantelle, una filastrocca che inanella i nomi dei pesci e quasi te li fa vedere mentre appaiono e scompaiono attraversando la scia di spuma che lascia il solco della nave. I nomi dei pesci sono in dialetto veneto, sono i pesci dell’Adriatico, della laguna veneziana; c’è persino un frammento de “L'odor fa inamorar”, canto ispirato ai richiami dei pescivendoli veneziani: si torna a casa. L’ultima parola spetta al mare e ad Adelaide Ristori/Ottavia Piccolo ed è a lei e alle sue riflessioni che Rachele Colombo dedica “Adelaide 1874”.


Alessio Surian

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