Karachi, Pakistan: di qui è originario Daniyal Ahmed, etnomusicologo, accademico, suonatore di bansuri (il flauto di bambù), produttore e segretario generale della All Pakistan Music Conference di Karachi. Sulla spinta dello studio delle pratiche musicali dei migranti in Germania, si indirizza all’esplorazione delle musiche del suo Paese nel quale è ritornato nel 2018. Tre anni dopo, nel corso delle sue ricerche sul campo, incontra e registra Ustad Noor Bakhsh, suonatore di liuto benju della costa di Makran nel Balucistan. Dice Ahmed: “Mi sono reso conto che era importante creare un'etichetta e iniziare a pubblicare le registrazioni in un modo adeguato che sostenesse anche gli artisti. Le forme di musica tradizionale sono per molti versi i generi meno supportati, nonostante la musica sia così ricca e varia e i musicisti così bravi”. Nasce così l’etichetta discografica Honiunhoni, un nome inventato che gioca poeticamente con le parole urdu per possibile/impossibile, evocando incontri casuali e momenti improvvisati, una label il cui obiettivo è “di lavorare con gli artisti che non hanno la possibilità di fare buone registrazioni o di essere rappresentati in modo decente nel mondo digitale. L'idea è di pubblicarli, di documentare la loro musica e le loro storie e di cercare di farlo in un modo che per loro possa essere finanziariamente sostenibile. […] Amo sentire i musicisti suonare in spazi acustici grezzi e naturali. Perciò cerco di registrarli in modo che anche gli altri possano vedere e sentire come ci si sente”. Risiedendo a Karachi, l’area della grande città (la più popolosa del Pakistan, situata lungo la costa orientale del Mar Arabico), la provincia del Sindh e il Balucistan sono stati i suoi terreni di ricerca privilegiati negli ultimi anni. “Entrambe le regioni hanno culture sonore e musicali estremamente ricche e affascinanti”.
L’album di Ustad Noor Bakhsh si intitola “Jingul”, dal nome di un uccello che frequenta spesso la casa del musicista. Registrato dal vivo al tramonto sul torrente Shadi Kaur, vicino al villaggio di Noor, nei pressi di Pasni, il lavoro presenta il suono di un benju elettrificato, amplificato con un vecchio pick-up e un amplificatore Phillips che Bakhsh ha trovato in un mercato di Karachi parecchi anni fa. Lo strumento rassomiglia a una chitarra slide dotata di tasti come quelli di una macchina da scrivere di un tempo e simile anche al taishōgoto giapponese e a strumenti affini della vicina India.
Il Balucistan si trova a cavallo tra l’odierno Pakistan e l’Iran, ma la sua musica, in particolare quella del Makran, evoca le ben documentate migrazioni e navigazioni, le storiche relazioni con l’Africa, la Persia e l’Arabia attraverso il mondo dell’Oceano Indiano. A proposito del maestro, scoperto per caso durante una sua ricognizione sul terreno, intervistato da Francis Gooding (“The Wire”, #466, Dicembre 2022), Ahmed racconta: “Sapevo che suonava musica Baluci, quindi avevo una vaga familiarità con le forme, ma suona anche varianti folk di raga indostani, melodie farsi, curde e di tutte le diverse lingue del Pakistan, come quelle in pashto e punjabi, e interpretazioni di brani di Bollywood. E poi composizioni originali radicate nella musica baluci. Mi ha anche suonato una melodia israeliana, e c’era una melodia araba, una melodia basata sulla musica iraniana di Saravan”.
Nell’album, Bakhsh è accompagnato da due suonatori di damboora, un liuto a manico lungo a due corde (Jamadar Gohrame Doshambay). L’album è stato mixato e masterizzato dal produttore pakistano Nizar Lalani. “Kalam Lolo” è la composizione con cui il Maestro apre la sessione del tramonto. Nell’incipt il suonatore presenta sé stesso e i musicisti che lo accompagnano e il luogo in cui si sta svolgendo la registrazione, per poi interpretare in versione strumentale una poesia baluci cantata sia in area pakistana che in quella iraniana. Il secondo brano, “Bundar Nari”, proviene dal repertorio del flauto Nar (simile al nay) e Noor ne emula il suono dal suo benju. Pare che in origine fosse una melodia pastorale. “Maanj” è, invece, un adattamento in stile popolare folklorico di un raag. Il Maestro attacca con un’introduzione libera (alaap), prima di suonare la composizione e seguirla con personali improvvisazioni ritmiche. Poco prima del finale si sente la voce di Jamadar Gohram, esaltato e travolto dal groove dell’interpretazione. Segue un brano popolare, ben noto in tutta l'Asia meridionale, che rende omaggio al poeta-santo mistico Lal Shahbaz Qalandar. Il brano, composto dal Maestro Ashiq Hussain, è stato nel repertorio del compianto Nusrat Fateh Ali Khan. Chiude la title track, ispirata dal canto dell’uccello che visita la sua casa, e accoglie la grande sensibilità del Maestro, che ha trascorso anni a praticare il suo strumento in solitudine nella giungla, dove accordava il suo benju sul canto degli uccelli.
La seconda e più recente produzione dell’etichetta Honiunhoni raccoglie cinque composizioni del clarinettista Jaffar Hussain Randhawa. Il titolo, “Guldasta”, significa “bouquet”. Questo esperto suonatore è stato registrato anche lui dal vivo, sul tetto della sua casa di Shahdara, in un nebbioso pomeriggio invernale, mentre sedeva con i suoi accompagnatori preferiti sotto l'Alam
(lo stendardo metallico con figure e intricate incisioni portato nelle cerimonie musulmane sciite, simbolo di devozione, che talvolta è collocato sul tetto delle case. Lo si può vedere anche nella copertina dell’album, ndr). Il titolo “Guldasta” è dovuto alla combinazione di diverse espressioni e stili musicali, così come in un bouquet ogni fiore possiede la sua fragranza distinta.
Nato in una famiglia di suonatori di ottoni, Randhawa è uno dei pochi in tutta l’Asia meridionale a perpetuare la tradizione di suonare la musica classica indostana con il clarinetto. Davvero notevoli le sue esecuzioni di forme classiche come Raag, Thumri e Kafi sullo strumento a fiato, in cui riesce Jaffar a riprodurre le ornamentazioni melodiche che sono centrali in queste espressioni e contemporaneamente a mostrare una grande verve creativa. Ha accanto a sé Riaz Ahmed (tabla) e Muneer Hussain (harmonium).
Brilla proprio per le forme d’improvvisazione il brano d’apertura, un thumri suonato nel Raag Pahadi, il cui video è stato diretto dal filmmaker e sociologo Daniyal Yousaf. Segue “Raag Sultani”, meno consueto: qui la musica classica indostana sembra incontrare la colonna sonora di un film poliziesco. Seguono due classici, “Raag Bhopali” e “Raag Puriya Dhanashree” (quest’ultimo, della durata di 24 minuti, è il brano più lungo dell’album). Il primo è un piacevole raga della sera, dalla struttura pentatonica, “ricco di bhakti ras”, vale a dire essenza devozionale, spiega ancora Ahmed. Anche il secondo è un raga serale, solitamente suonato dopo il tramonto, e appartiene alla famiglia dei raga Purvi Thaat. Nella scala occidentale corrisponde a una scala armonica doppia con una quarta aumentata. “È un raga molto emotivo, con un’essenza iraconda e temibile, ma anche un carattere compassionevole e triste”. In conclusione di questo prezioso documento è “Sanwal Mor Muharan”, un Kafi, espressione della musica sufi presente sia nel Punjab che nel Sindh. In origine in lingua siraiki, la melodia che Jaffer Hussain interpreta è stata resa popolare dalla famosissima interpretazione vocale di Ustad Salamat Ali Khan.
Attendiamo con estremo interesse la prossima pubblicazione della label sarà dedicata a un cantante di poesia devozionale, bhakti e sufi, il suo nome è Bhaghat Bhoora Lal e viene dal Sindh. Sarà principalmente lui a cantare con l'accompagnamento del suo tambooro (strumento ritmico a percussione), mentre in alcuni brani lo stesso Daniyal Ahmed ha suonato il bansuri.
In definitiva, l’etichetta Honiunhoni dà visibilità a patrimoni sonori viventi di inestimabile valore di cui Ustad Noor Bakhsh e Jaffar Hussain Randhawa sono due magnifiche personalità da conoscere ad ogni costo.
Ciro De Rosa
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