Keith Jarrett – Bordeaux Concert (ECM, 2022)

Dotato di una tecnica di improvvisazione pianistica inconfondibile e di una visione musicale che abbraccia jazz, musica classica, gospel, blues e world music, Keith Jarrett ha vissuto la sua carriera in costante corsia di sorpasso, un continuo crescendo che dagli esordi con Art Blakey, lo ha condotto prima al fianco di Charles Lloyd e poi a giganteggiare nell’esperienza elettrica di Miles Davis, per giungere al fantastico quartetto con Paul Motian, Charlie Haden e Dewey Redman e alla sua febbrile attività come solista. Spinto dalla costante tensione verso l’esplorazione di nuovi territori musicali e dalla necessità di raccontarsi attraverso le note del suo pianoforte, il pianista di Allentown, Pennsylvania occupa ormai un posto centrale nella storia del jazz, ma per comprendere la sua unicità stilistica e il suo talento è necessario porre maggiore attenzione proprio sulla sua attività come solista. Sul palco, infatti, Keith Jarrett ha svelato tutta la sua inimitabile unicità nel rapporto corporeo con il pianoforte, nel tocco e nella ricercatezza dei timbri e delle melodie. Questo approccio alla musica, lo ha portato spesso a richiedere al pubblico, durante i concerti, il silenzio più assoluto, non gradendo né rumori e né colpi di tosse, e ciò per evitare che le distrazioni potessero intaccare lo stream of consciousness delle sue improvvisazioni. Ascoltando le registrazioni dei suoi concerti si coglie in lontananza anche la sua voce seguire i fraseggi melodici del pianoforte, o il battito del piede nei momenti ritmici più intensi, o ancora le esclamazioni di soddisfazione alla fine dei passaggi più particolari. La sua attività live, però, è stata bruscamente dal destino: due ictus a febbraio e a maggio 2018, gli hanno lasciato un danno permanente alla mano sinistra che gli impedisce di suonare; tuttavia, gli archivi della ECM regalano ancora perle di rara bellezza come nel caso del recente “Bordeaux Concert”, album registrato dal vivo il 6 luglio 2016 presso la National Opera House di Bordeaux, prima del ritiro dalle scene nel corso del suo ultimo tour che toccò anche Vienna e Roma. Il disco si inserisce nel filone di live pubblicati dall’etichetta di Manfred Eicher aperto da “Solo Concerts: Bremen/Lausanne” del 1973 e nel quale spiccano opere monumentali come “The Köln Concert” del 1975 e “La Scala” del 1997, ma anche i più recenti “Munich” del 2016 e “Budapest Concert” del 2020, provenienti entrambi dal tour del 2016. A differenza di questi ultimi, “Bordeaux Concert” ci svela un lato più intimo e profondo della visionaria creatività di Keith Jarrett, ma piuttosto ci riporta alla vibrante curiosità nell’improvvisazione che caratterizzava i dischi in solo degli anni Settanta. Il pianista americano disvela la sua musica, quasi fosse uno scultore che libera la sua opera dal marmo conducendoci attraverso una suite in tredici parti, un flusso sonoro affabulativo e denso di lirismo, un viaggio ogni sera diverso. Ogni esibizione lo vedeva alle prese con differenti esplorazioni armoniche e melodiche che si sostanziavano in un vere e proprie opere di instant composing con un introduzione, un cuore che si sviluppava tra variazioni e riprese e una conclusione tra melodie eleganti e cesellate e spaccati di pianismo serrato. L’apertura atonale con “Part I” ci conduce dall’ombra alla luce e sfocia nelle evocazioni flamenco della curiosa “Parte II” ma è con il gospel cantabile di “Part III” che si tocca il vertice poetico del disco. “Part VI” parte con un arpeggio ciclico delle atmosfere intimistiche per evolversi in un crescendo sempre più intenso schiudendoci le porte alle esplorazioni atonali di “Part V”. Se “Part VI” è un notturno meditativo di grande suggestione, costellato da dissonanze, “Part VII” ci svela una melodia che sembra evocare ricordi dell’infanzia. Si prosegue con il blues “Part VIII” giocato su una linea di basso serrata, il gospel vibrante di spiritualità di “Part IX” e il divertissement caraibico di “Part X”. L’omaggio alla chanson francese “Part XI” ci conduce verso il finale con alle atmosfere malinconiche della splendida “Part XII” e la conclusiva “Part XIII” nella quale si percepiscono echi della musica di Georges Ivanovič Gurdjieff e che, riascoltata oggi, sembra un sommesso congedo dal pubblico. “Bordeaux Concert” è, dunque, un altro capolavoro del pianista americano, un prezioso documento sonoro che restituisce intatta la tensione creativa che attraversava i concerti del tour del 2016. 


Salvatore Esposito

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