
contaminazione con le altre culture del Mediterraneo, e quindi fonte di innovazione. La musica, i dialetti/lingue locali, gli strumenti e le tradizioni popolari rappresentano la biodiversità culturale dei territori e delle comunità. Tutelare e rivitalizzare questo patrimonio è un ingrediente fondamentale delle politiche di recupero e valorizzazione dei borghi e del patrimonio culturale, di supporto al turismo, di contrasto allo spopolamento della montagna e delle zone rurali, di educazione all'inclusione sociale e a stili di vita sostenibili”. In questo contesto tra gli obiettivi del consesso c’è quello di “mappare e far emergere gli eventi di settore e la promozione di un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo che abbia la world music al centro”. Tali punti programmatici sono stati ribaditi e meglio estrinsecati nei vari interventi dei discussant; tuttavia, poco chiare sono apparse le modalità di intervento dell’associazione. Insomma, al di là delle nobili intenzioni, ci si sarebbe aspettato una maggiore incisività nell’evidenziare in che modo andranno promosse le attività dei vari festival, se e come si cercheranno interlocuzioni istituzionali, se vi sarà o meno una auspicabile apertura verso la scena internazionale, ma soprattutto qual è il minimo comun denominatore che possa tenere insieme realtà in sé
molto simili, ma concretamente diverse per impostazione, storia e pubblico. Certo va evidenziata la presenza di ben diciannove tra enti e associazioni coinvolte, collegate a loro volta a dodici regioni italiane, ma la Rete dovrà essere necessariamente più in inclusiva possibile e non già una “conventio ad excludendum” in partenza. In questo senso illuminanti e forieri di spunti di riflessione più attenta sono stati gli interventi di Jacopo Tomatis e Vincenzo Santoro e proprio a quest’ultimo abbiamo chiesto di illustrarci il suo punto di vista sulla neonata Rete Italiana della World Music: “La nascita di un coordinamento delle principali realtà italiane della musica “world – folk – popolare – tradizionale” (come è noto le definizioni sono molte e tutte parziali) è un'ottima notizia. Si tratta di un movimento estremamente diffuso, nei piccoli paesi ma anche nelle città medie e grandi, variegato e multiforme: ne fanno parte musicisti, danzatori, operatori culturali, costruttori di strumenti, associazioni, insegnanti, ricercatori accademici e non, festival, etichette discografiche, case editrici, ecc. Costituisce una grande ricchezza culturale e mobilita tantissime persone, animando i territori, rinsaldando le comunità e spesso costituendo anche un veicolo di promozione turistica, ma ha un riconoscimento mediatico e direi anche politico istituzionale certamente non all'altezza”.
Soffermandosi sugli obiettivi dell’associazione, Santoro precisa: “L'ambizioso tentativo della "Rete italiana di world music" di coordinare e mettere a sistema questo vasto movimento, per dargli una forza maggiore e per costruire in maniera partecipata una serie di richieste da sottoporre alle istituzioni, è dunque assolutamente da apprezzare. Il settore oltre a essere variegato è anche attraversato da divisioni non banali e, per questo, per raggiungere dei risultati concreti, occorrerà lavorare con spirito il più possibile inclusivo, cercando di contemperare le varie esigenze, con un occhio sempre attento ai forti divari territoriali che caratterizzano il nostro Paese. E cercando inoltre di definire delle proposte di ampio respiro, che non siano soltanto delle mere richieste di finanziamento per festival e spettacoli vari, ma che contemplino azioni più lungimiranti e strutturate come, ad esempio, il sostegno alle attività di base, la diffusione della didattica delle musiche di tradizione, la costituzione di archivi e biblioteche dedicati, la promozione di ricerche sul campo e così via”. I presupposti per una seria e rigorosa progettualità sembrano esserci tutti e la sfida da raccogliere è innanzitutto rendere più nette le linee programmatiche, ponendosi obiettivi minimi da raggiungere man mano, piccoli risultati che andrebbero a comporre le tappe di una più ampia e concreta azione di intervento. Un ultima nota la necessitano le battute finali dell’incontro affidate alle note degli ottoni di Bandakadabra con una rilettura strumentale di “Give Me The Night” di George Benson: una conclusione un po’ troppo fuori fuoco per un evento di tal genere che probabilmente avrebbe meritato, qualche riflessione in più e una sonorizzazione più attenta dei titoli di coda. Dal canto nostro, su queste pagine, non smetteremo di seguire, incentivare e sostenere tali iniziative, offrendo ai lettori il nostro punto di vista indipendente e, qualora richiesto, non mancheremo di dare contributi costruttivi. “Sor marchese, è l’ora!”
Salvatore Esposito e Ciro De Rosa
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