È stato registrato nell’arco di tre mesi, tra novembre 2019 e febbraio 2020, “Ritmico non Ritmico”, nuova opera del polistrumentista compositore Max Fuschetto (oboe, sax soprano ed electronics). Nei trentasei minuti e 53 secondi del disco, suonano con lui fidati compagni di viaggio: Enzo Oliva (piano), Pasquale Capobianco (chitarra elettrica), Eleonora Amato (violino), Silvano Fusco (violoncello), Luca Martingano (corno francese), Giulio Costanzo (marimba) e l’ospite Luca Aquino (flicorno) in due brani.
Prima ancora che l’ascolto, a cogliere nel segno è l’originalità dell’artwork e, naturalmente, il titolo, che si rivela una provocatoria parafrasi di un quadro di Paul Klee, “Ritmicamente” (1930), in cui è rappresentata una scacchiera disegnata a mano. Da qui deriva il titolo del lavoro, spiega il musicista nelle note di presentazione: “Ritmico come disposizione architettonica degli elementi che realizzano una forma; non ritmico di dimensioni musicali che nascono da elementi fluttuanti, continuum sonori che si espandono liberamente”. Anche la copertina, che vanta un’immagine dell’artista serba Katarina Markovic Vukasin, rimanda al contrasto tra la costruzione musicale e le possibili deviazioni da un’architettura compositiva circoscritta.
Non nuovo, Max Fuschetto, al fare tesoro delle suggestioni pittoriche e letterarie; in “Ritmico Non Ritmico” si coglie appieno la sua poetica di “frontiera” svincolata da categorie prescrittive. Qui, l’artista opera delle “trasmigrazioni concettuali”, agendo per analogia, avvalendosi di impressioni che provengono da altri ambiti artistici: “Per forzare i limiti di un linguaggio, che può essere la musica, ci si può riferire a cose che vengono dal di fuori per non restare intrappolati, rischiando di riprodurre forme o contenuti più o meno standard, già utilizzati. Per esempio, nel momento in cui Debussy decide che le battute del “Prélude à l'après-midi d'un faune”, ispirato al poema di Mallarmé, devono essere quanto il numero di versi, decide per una forma che viene da un’altra parte, adeguando l’idea al contenitore. Anche Coltrane, in “A Love Supreme”, improvvisava leggendo una poesia dedicata a Dio; il tempo dell’improvvisazione coincideva con la preghiera rompendo battute standard del blues, riferendosi ad altri schemi”.
Sotto il profilo musicale, quella di Fuschetto è una visionarietà consapevole che attinge a linguaggi popular e classici o, ancora, a culture musicali altre padroneggiando i processi compositivi per poi procedere a un utilizzo che non è mera appropriazione da innestare sulla propria musica a fini “contaminativi”. Prendiamo la sequenza dei primi tre brani del programma: “Number 1”, “Number 3” e “Number 5”, concepiti a partire da un’idea ritmica di matrice centro-africana (penso ai lavori sui repertori dei Pigmei Aka). Le composizioni si muovono a partire da pattern percussivi in cui il ribattuto è interpretato dando una forma di suono determinato sul pianoforte. Temi fluttuanti e impressionisti segnati da armonie essenziali. Inattese variazioni, un suono lungo che interrompe il ritmo che poi riprende nello splendido “Number 3”, per il quale il compositore campano è debitore a “Il lampo fisiognomico” (1927) “in cui Klee rompe il cerchio con una linea. Quindi il cerchio perde la sua circolarità e la linea attraversando il cerchio perde la sua linearità: per Klee sono i due elementi geometrici che interagiscono”. Fermiamoci anche su “Number 5”, motivo per pianoforte solo, inizialmente dall’incedere accorto, poi in movimento verso un crescendo di dissonanze. La procedura di traduzione in musica di tecniche pittoriche continua, così la tecnica del “dripping” pollockiano trova pieno compimento in “Vortex, a Jackson Pollock”, in cui “frammenti di registrazioni sono diventati una forma in divenire, materiali inseriti in modo casuale nella sessione audio, come nel dripping, trovando delle connessioni: non ha una forma melodica, un senso che deriva dai frammenti. Questi frammenti vanno a condensarsi creando un vortice di pulsazione – da qui il titolo – che a un certo punto esplode e lì c’è un piccolo motivo quasi stravinskiano di carattere un po’ grottesco”. Sono gli archi ad elevare “Midsommar Choral”, composizione datata 2012 (scritta per l’omonimo cortometraggio di Monica Mazzitelli), che dopo la ricchezza timbrica della successiva “Trame” si ripresenta nella versione dominata dal fraseggio scuro del flicorno di Luca Aquino. Quanto alle inquietudini di “Iride, a Paul Klee”, dove si ascolta sullo sfondo un intervento vocale di Antonella Pelilli (non indicata nei credits del disco), si avverte la volontà di cercare il movimento caotico: “come quello di un gas”, chiosa il musicista beneventano, in una persistente tensione tra forma e disgregazione, concentrazione e svelamento. Giunti alla nona traccia, la conclusiva “A Lucio B.” (dove la B sta per Battisti), una melodia scritta in gioventù, si avverte in un certo senso la cesura rispetto alla dimensione sospesa, “spirituale” – la definisce Fuschetto – che ha attraversato gli otto brani precedenti. Come risolvere il problema di agganciare esteticamente un motivo melodico nato trent’anni fa? L’essenza si può rintracciare nella dimensione compositiva che già animava quel capo d’opera che è “Popular Games”. Rileva ancora Max: “Avevo registrato, a mo’ di field recordings, dei suoni nella metropolitana. Ho pensato di fare uscire il brano da questa botta di voci e di suoni di treno, come se la melodia venisse e fuori dall’inconscio collettivo. Ma c’è anche l’assonanza concettuale con il field recording che precede il brano di Battisti “Una donna per amico”. Inoltre, l’uso degli archi verso l’acuto, concettualmente ricorda l’uso che degli archi fa Riverberi. Nella seconda parte del brano, dove prende il sopravvento la matrice progressive, Fuschetto ha coinvolto “un musicista di talento e di livello… Ho pensato a Luca Aquino ed è nato un bell’interplay tra tutti i musicisti” e non si può che convenire su quanto accaduto.
Abilissimi tutti i musicisti, bravissimo Fuschetto, musicista non convenzionale per la sua instancabile e coerente ricerca accordata alla congiunzione di complessità ideativa e fruibilità nell’ascolto: un’arte rara.
Ciro De Rosa
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Contemporanea