La voce di Charles Mingus

Il 22 aprile 2022 Charles Mingus avrebbe compiuto 100 anni. Come compositore, direttore e contrabbassista, ha impresso un segno indelebile sulla musica a partire dalla tradizione afroamericana, realizzando una quarantina di album a suo nome fra il 1951 e il 1979, anno della sua scomparsa. La Resonance celebrerà questo anniversario pubblicando “The Lost Album from Ronnie Scott’s”, un set di tre cd con i concerti londinesi registrati il 14 e 15 agosto 1972 dal sestetto di Mingus. Cresciuto a Watt (Los Angeles), si era perfezionato al contrabbasso studiando con Red Callender, a Los Angeles e poi con Hernan Reinshagen, primo contrabbassista dell’Orchestra Filarmonica di New York. Buddy Colette lo ricordava impegnato a suonare lo strumento “diciassette-diciotto ore tutti i giorni”. Impeccabile col proprio strumento, era solito dire che le due cose indispensabili nella sua vita erano il pianoforte e i fogli col pentagramma per poter scrivere musica: idee sonore e arrangiamenti unici che continuano a vivere attraverso la Mingus Big Band e i numerosi gruppi che traggono brani dal suo repertorio. 
Se è stato molto studiato come compositore e direttore, non altrettanta attenzione è stata prestata alla sua abilità come solista di contrabbasso: un po’ perché lui stesso ha privilegiato la “musica”, senza particolari concessioni al proprio strumento (il suo album più conosciuto “Ah um” non include assoli di contrabbasso), un po’ perché, pur essendo a suo agio con i brani standard del jazz, molti dei suoi assoli migliori riguardano brani di sua composizione – e chi si dedica a trascrivere ed analizzare assoli lo fa concentrandosi soprattutto sul corpus degli standard, spesso in funzione didattica. Questo ha fatto sì che, fino a pochi anni fa, gli unici due assoli di Mingus cui facesse riferimento erano quello breve del 1947 relativo ad un suo brano, “Mingus Fingers”, inciso da Lionel Hampton, e quello più esteso cui da corpo in “Haitian Fight Song”. Quasi nulla, a confronto con le trascrizioni dedicate a colleghi come Paul Chambers e Ray Brown, nonostante trent’anni di registrazioni di Charles Mingus, fra il 1947 e il 1977, ne abbiano documentato la perizia strumentale e la creatività. In parte, ha rimediato la tesi di laurea che Andrew Williams Stinson ha dedicato nel 2014 agli assoli di Mingus con il provocatorio titolo “Charles Mingus Played Bass?: Rediscovering a Jazz Soloist Through Transcription” dove ha presentato e analizzato dodici assoli realizzati dal contrabbassista fra il 1947 e il 1959. Ovviamente, partendo dal 1947, Stinson ha modo di evidenziare, nell'assolo di Mingus con il gruppo di Hampton, le influenze di Jimmy Blanton e, soprattutto, di Oscar Pettiford, fra i pochi contrabbassisti, con Ray Brown e Israel Crosby a disegnare orizzonti allora inediti per lo strumento. Mingus sapeva distinguersi per l’utilizzo delle note più alte della scala ed i cromatismi, tanto che fin dai primi anni Cinquanta venne considerato da Miles Davis “one of the greatest bass players who ever lived”. Accompagnato dal vibrafono di Teddy Charles e dalla batteria di Elvin Jones, la sua vena lirica emerge nell’assolo in chiusura di “Nature Boy” nell’album di Miles Davis "Blue Moods" (1955). 


Lo stesso anno Mingus incide col suo quintetto in compagnia di Max Roach una versione della composizione di Tadd Dameron “Lady Bird” in cui, dopo tre minuti e mezzo, si prende il suo spazio e si diverte a citare nell’assolo la linea melodica di “I’m an Old Cowhand”, composizione di Johnny Mercer. 


Il suo assolo in “Haitian Fight Song”, registrato per l’album del 1957 “The Clown” rimane il più conosciuto: il contrabbasso apre il brano e imposta la cornice ritmico-melodica. Poi, dopo sette minuti, Mingus interviene con un assolo che percorre sette volte questo blues in sol minore ed aggiunge altre due sezioni, citando nel finale “Blues in the Night” di Johnny Mercer e Harold Arlen. Della sua interpretazione, Mingus diceva “Per suonarla come si deve penso ai pregiudizi, all'odio e alle persecuzioni, a quanto siano ingiuste. Con tristezza e pianto e con determinazione. E termino pensando: ‘Ve l'ho detto! Spero qualcuno mi abbia sentito’”.  


Nello stesso album, nel brano seguente, dopo tre minuti e mezzo, anche questa volta dopo l’assolo di sassofono di Shafi Hadi, Mingus propone un assolo su un blues, “Blue Cee”, che “legge” per quattro volte, accompagnandone l’oscillazione fra la tonalità di do e quella di si bemolle con echi di canti liturgici e di Count Basie. Nel mezzo, trova un bel riff, che utilizzerà in seguito in due composizioni, “E’s Flat Ah’s Flat Too” e “Hora Decubitus”. 


Il 1959 rimane l’anno di grazia di Mingus, aperto con una serie di concerti dal vivo al Five Spot in compagnia di John Handy, Booker Ervin, Richard Wyands, e Dannie Richmond. Il sedici gennaio, tra un set e l'altro al Five Spot, il gruppo suonò alle 20.30 alla Nonagon Art Gallery (all’incrocio fra 6th Street e 2nd Avenue). Alcuni dei brani vennero registrati e, fra questi, “Nostalgia in Times Square” rimane fra le composizioni più conosciute del contrabbassista che, in mezzo al brano, dopo sei minuti e mezzo comincia in totale solitudine uno splendido assolo in cui fa capolino anche la linea melodica di “All God’s Chillun Got Rhythm” di Bronislaw Kaper e Gus Kahn. A tratti lo accompagnano anche il piano di Wyands e la batteria di Richmond con cui intesse una serie di “scambi”. 


A maggio del 1959 Mingus cominciò a registrare per la Columbia e ne vennero fuori album indispensabili come “Ah um” e “Mingus Dinasty”. Quest’ultimo include un blues in dodici battute, “Things Ain't What They Used to Be”, che completa un “poker” di assoli di contrabbasso insieme a “Haitian Fight Song,” “Blue Cee,” e “Nostalgia in Times Square”, ognuno a mostrare un approccio coerente e sempre in evoluzione. Mingus inserisce il suo breve assolo dopo cinque minuti e cinquantacinque secondi, dopo i due assoli di trombone (Jimmy Knepper) e tromba (Don Ellis), sostenuto dal charleston di Richmond. 


Mingus era anche un ottimo pianista e già nel suo album (registrato a fine 1961) “Oh yeah” aveva lasciato il contrabbasso a Doug Watkins per sedersi al piano per l’intera seduta di registrazione. Nel 1963 registrò al piano, in solitudine, undici brani, pubblicati l’anno successivo dalla Impulse! Con il titolo “Play Piano”. Accanto ad arrangiamenti di suoi brani e di quattro composizioni di altri autori, Mingus propone nuovi brani e ne dedica uno allo straordinario collega Rahsaan Roland Kirk. 


Risale al 1964 il tour più documentato del gruppo di Mingus in Europa da cui è possibile ascoltare assoli che percorrono una delle sue composizioni più belle “Orange Was the Color of Her Dress...”, in questo caso incisa dal vivo a Oslo con Jaki Byard (piano) e Dannie Richmond (batteria) che lo accompagnano nell’assolo, e cui offre alcuni riff anche la sezione fiati composta da Eric Dolphy, Clifford Jordan, Johnny Coles.  


A metà degli anni Settanta Mingus si presenta nuovamente con un quintetto stratosferico con cui registra per la Atlantic a New York City, a fine Dicembre 1974, “Changes” che uscirà ad ottobre dell’anno successivo. Ad aprire l’album è “Remember Rockefeller At Attica”, uno dei brani apertamente critici nei confronti di chi governa gli Stati Uniti: al centro, in questo caso, ci sono le rivolte che scoppiarono nella prigione di Attica nel 1971 con dure critiche alla gestione del governatore dello Stato di New York, Nelson Rockefeller. Dopo tre minuti e quarantotto secondi, Mingus si riserva l’ultimo, fulminante e cantabilissimo, solo, prima di chiamare a raccolta Dannie Richmond, Don Pullen al piano, George Adams al sax tenore e Jack Walrath alla tromba. 


Richmond e Walrath sono ancora in studio con Mingus a marzo del 1977 per “Three or four shades of blue”, insieme ai sassofonisti George Coleman, Ricky Ford e Sonny Fortune, ai chitarristi Philip Catherine, Larry Coryell e John Scofield e ai pianisti Bob Neloms e Jimmy Rowles. Un’occasione unica per confrontare diverse narrazioni ispirate al blues con ampio spazio per i diversi solisti. Mingus prende l’ottavo solo, dando continuità alle ultime battute ispirate da Coryell e giocando da par suo in chiave ritmica e fra registri acuti e gravi dello strumento.  


“I can’t get started”, di Vernon Duke e Ira Gershwin, è fra i brani che hanno accompagnato tutta la vita musicale di Charles Mingus. Questa versione lo vede particolarmente attento alla dimensione melodica, accompagnato dal solo Bob Neloms at piano, durante un concerto alla Carnegie Hall, a New York il 28 giugno 1977. Poche settimane più tardi gli venne diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica che gli avrebbe progressivamente tolto la capacità di suonare e la vita, a soli cinquantasei anni. 

Alessio Surian

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