Bonga – Kintal da Banda (Lusafrica, 2022)

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Sono passati cinquant’anni dal memorabile “Angola 72” e Bonga li celebra da par suo con il trentatreesimo album a suo nome. A metà degli anni Sessanta, quando l’Angola era ancora una colonia portoghese, José Adelino Barcelo de Carvalho correva e otteneva la medaglia d’oro di campione “nazionale” dei 400 metri in Portogallo dove avrebbe avuto una promettente carriera nell’atletica, se non avesse già scelto, con il nome di Bonga Kuenda di impegnarsi nel Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola, dov’era nato nel 1942, a Kipiri. Quando il regime di Salazar scoprì le sue attività decoloniali, Bonga fu ancora una volta il più veloce di tutti e trovò asilo a Rotterdam. Come sostenere la lotta dai Paesi Bassi? A Rotterdam incontrò l’etichetta discografica Morabeza (oggi distribuita da Lusafrica) e un gruppo di musicisti capoverdiani: con loro registrò proprio “Angola 72”, sorta di colonna sonora della lotta per l’indipendenza del suo Paese, in particolare l'emblematica e dolorosa "Mona Ki Ngi Xica".  Due anni dopo era a Parigi, dove registrò il secondo album, quell’ “Angola 74”, che lanciò “Sodade”, che divenne la canzone-bandiera di Cesaria Evora quasi venti anni dopo. Nel suo penultimo album, “Recados de Fora” (2016) ci aveva proposto un viaggio nel tempo e attraverso l’Oceano Atlantico, perenne sfondo integratore della sua poetica musicale: un’occasione per percorre la sua crescente consapevolezza della colonizzazione
portoghese durante gli anni giovanili e l’avvicinamento alla musica angolana grazie al padre, l’amore per il semba, simbolo dell’identità nazionale angolana e per la kizomba, versione attualizzata del semba. “Kintal” è il giardino di casa ed è qui che approdano le undici nuove canzoni, in un danzante contesto domestico subito evocato dall’armonica a bocca che amplifica una delle caratteristiche della sua voce, all’occorrenza capace di “graffiare” come un’ancia. Il secondo brano “Kudia Kueto” e le note suadenti del flauto traverso invitano ad entrare ulteriormente nell’ intimità domestica, a sedersi a tavola (il titolo significa “il nostro pasto”), a dialogare insieme, così come lui fa con il coro e con Camélia Jordana, invitando la cantante franco-algerina a scoprire kitaba, bombó com ginguba e meia ndungu. Il regista è come al solito, come nelle ultime tre decadi, il chitarrista e produttore Betinho Feijó. Insieme hanno scelto “Ti Zuela” come singolo per lanciare l’album, con corde, percussioni e coro a stendere un tappeto ben ritmato, in sintonia con la vena narrativa del cantante. 
Per lo più Boga canta in kimbundu, una delle sette lingue nazionali angolane, parlata soprattutto nelle regioni settentrionali-occidentali, compresa la capitale Luanda. Cinquant’anni di viaggio musicale approdano a Kipiri, all’infanzia, agli occhi di un bambino, il "nipote del capitano Jacinto", e alle esperienze impresse nella sua memoria. In “Mukua Ndange” tutto vibra, anzi tutto trema (“teketa”, che in kimbundu significa "tremare") come il ponte Panguila, quello che i machimbombo (gli autobus) dovevano attraversare per raggiungere Kipiri. Alle nuove generazioni, Bonga offre “Sembenu”, invito esplicito ad ascoltare e danzare il semba: “La mia unica bandiera musicale”, come ama ripetere, e a riscoprire la dimensione e il valore del “kintal” perché “ha una importanza straordinaria, anche se molti già l’hanno scordato e altri non ne hanno mai avuto esperienza, magari chiusi in palazzi di dieci piani senza ascensore”


Alessio Surian

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