Pier Paolo Pasolini: Canzoni in forma di rosa, Officina Pasolini, Teatro Eduardo de Filippo, Roma, 9 marzo 2022

La sfida era quella di far incontrare la canzonetta italiana della metà del secolo scorso con un universo intellettuale e poetico. L’aveva lanciata Pier Paolo Pasolini nel 1956 dalle colonne di Avanguardia, il giornale diretto da Gianni Rodari che si era mobilitato in una campagna dal titolo “Le parole dei poeti per la canzone”: “credo che mi interesserebbe e mi divertirebbe – si legge - applicare dei versi a una bella musica, tango o samba che sia”. Trovava la musica leggera italiana, seppur indissolubilmente legata alla vita quotidiana, “intellettualmente piuttosto volgare e di basso livello”. Amava i Beatles, i Rolling Stones e salvava “qualche cosa dell’Equipe 84”. Lo dice lui stesso in un’intervista di fine anni ‘60 a Marina Como a Radio Rai, che è stata recuperata ed è possibile riascoltare, insieme a tante altre rarità, all’interno di "Pier Paolo Pasolini. Appunti musicali", uno speciale curato da Elisabetta Malantrucco per Radio Techeté. E’ proprio da questo programma radiofonico, da questa pietra d’angolo, che ha preso ispirazione l’evento tributo realizzato in occasione dei cento anni dalla nascita del grande
 intellettuale italiano, “Canzoni in forma di rosa”, che si è tenuto il 9 marzo scorso a Roma, al teatro Eduardo De Filippo dell’Officina delle arti Pier Paolo Pasolini, diretta da Tosca. Nato da un’idea della stessa Malantrucco, di Piero Fabrizi, che ne ha curato anche la direzione musicale, e di Luciano Ceri, lo spettacolo ha raccontato, con musica e parole, il legame tra Pasolini e la canzone. Immagini, storie e ricordi sono stati affidati ai due ospiti della serata: il giornalista e storico della canzone, Enrico de Angelis, e la scrittrice Dacia Maraini che di Pasolini fu amica e collaboratrice. Da poco è uscito anche un suo libro, “Caro Pier Paolo”. L’autrice ha raccontato di un uomo diviso tra la dolcezza e la mitezza della vita privata e l’impeto provocatorio dei suoi interventi politici. “La gente – dice - non lo conosceva per quello che era: gentile d’animo e attento agli altri. In tanti anni di amicizia non ho mai sentito da lui una parola dura, mai un insulto. Maria Callas, che veniva da rapporti piuttosto difficili con uomini duri, imperativi, aveva trovato in Pier Paolo una persona talmente gentile che se ne era veramente innamorata,
incantata dalla dolcezza di quest’uomo”. Non è del Pasolini “politico” che si è occupata “Canzoni in forma di rosa”, ma del Pasolini artista della parola al servizio della musica. Un viaggio attraverso una discografia che, benché conti solo una decina di titoli, più alcune traduzioni, ha rappresentato per la prima volta l’unione di due mondi che fino a quel momento erano apparsi fin troppo lontani: la canzone e la poesia. Un matrimonio che vede la sua celebrazione nel 1960 con lo spettacolo “Giro a vuoto” per il quale Laura Betti decise di chiedere i testi dei brani da interpretare a intellettuali come Antonioni, Arbasino, Bassani, Buzzati, Calvino, Cederna, Flaiano, Moravia, Pasolini e altri ancora. Proprio a lei e al suo spettacolo dobbiamo la nascita di uno dei più bei trittici a tinte forti di donne ai margini, madonne dolenti e sfruttate eppure avvolte da un’aura di mansuetudine e innocenza: “Il valzer della toppa” e “Cristo al Mandrione”, affidate per la serata alla voce e all’interpretazione di una sanguigna Pilar, e “Macrì Teresa detta pazzia”. Ma anche “La ballata del suicidio”, eseguita impeccabilmente per l’occasione da Isabella Alfano. 
Tappa successiva di questo viaggio tra parole e note è quella con i due brani del premio Oscar Manos Hadjidakis, tratti dal film “Sweet Movie” di Dušan Makavejev, tradotti e adattati da Pasolini proprio con Dacia Maraini: “C’è forse vita sulla terra”, affidato ad un cantautore di razza come Carlo Valente, e “I ragazzi giù nel campo”, nella convincente interpretazione di Virginia Dioletta. “Avevano chiesto a Pier Paolo di curare il doppiaggio di questo film – ricorda Dacia Maraini - e lui mi ha chiesto di collaborare, avevamo fatto già una sceneggiatura insieme, ‘Il fiore delle Mille e una notte’. Il doppiaggio con lui era una cosa abbastanza complicata perché lui detestava le voci degli attori professionisti, quindi bisognava trovare delle voci dalla strada ma che sapessero doppiare. Lì c’erano queste due canzoni e bisognava tradurre e cantare anche quelle”. L’esperienza di Pasolini e le canzoni del cinema comprende anche lo stornello “Roma bella” del film “Mamma Roma”, riproposto sul palco del teatro Eduardo de Filippo dagli allievi di Officina Pasolini Isabella Alfano, Jacopo Bertini, Virginia Dioletta. 
Tra i momenti più godibili della serata la versione di David Riondino de “Il soldato di Napoleone”, brano di Sergio Endrigo tratto da una poesia di Pasolini in friulano che racconta una storia di famiglia del poeta stesso. “Fu censurata – ha raccontato de Angelis – a causa dell’immagine di un soldato che, per salvarsi dal freddo, sventra il suo cavallo e si ripara al suo interno”. Vicende, aneddoti, ricordi che non possono trascurare l’incontro tra Pasolini e Modugno e il brano “Cosa sono le nuvole”, scritto per il film “Capriccio all'italiana”, riproposto da Pilar. L’ultima fermata di questo serale viaggio pasoliniano è datata 1985, a dieci anni dalla morte di Pasolini, con “A Pa’”, canzone di Francesco De Gregori carica di affetto ed emozione. La canta Carlo Valente. Un ricordo amaro, una Roma lontana e il mare come uno schiaffo. “A Pa’, tutto passa, il resto va”. 


Daniela Esposito

Foto di Alberto Treglia - Meta Studio per gentile concessione

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