Percorso musicale e contesto storico
Il nome di Secondo Casadei è legato al genere “liscio”, termine semanticamente depistante: «La nostra musica frizzante e briosa tutto mi sembra essere fuorché una cosa liscia», diceva. Di conseguenza, preferiva rifarsi genericamente al “folclore romagnolo” e alle sue funzioni sociali, tra cui quelle dei balli che aveva imparato a conoscere sin da bambino durante le feste contadine. Per meglio comprendere la musica di Secondo Casadei è utile riallacciarsi alla diffusione di alcuni balli utilizzati dalla borghesia nel XIX secolo e alla loro reinterpretazione da parte di musicisti locali. Nel caso della Romagna, nome di spicco per l’affermazione di un certo repertorio strumentale fu il violinista Carlo Brighi (1853-1915), affettuosamente soprannominato “Zaclén” (anatroccolo). Di formazione colta (sebbene non avesse compiuto studi sistematici), ebbe modo di lavorare con diverse orchestre, legate soprattutto ai teatri d’opera. Grosso modo a partire dal 1890, fondò un gruppo strumentale itinerante, con il quale, con successo, iniziò a suonare nei diversi paesi della Romagna, nelle sale da ballo o in feste locali, tra cui quelle familiari riferite, per esempio, a battesimi e matrimoni. Nel repertorio, eseguiva soprattutto valzer, polche, mazurche (e altri balli popolari), secondo vivaci esecuzioni che, gradualmente, andarono a caratterizzare la tradizione locale. L’organico: tre violini, clarinetto in do e contrabbasso. Il terzo violino venne poi sostituito dalla chitarra. Egli comprese l’importanza di organizzare sale da ballo stabili e sufficientemente capienti, per soddisfare la richiesta di numerosi partecipanti, provenienti dai diversi paesi della Romagna. Nel primo decennio del XIX secolo, a Bellaria (paese di origine della moglie), istituì il “capannone Brighi” e, successivamente, il “salone Brighi”. Amico e compagno di Andrea Costa, divenne attivista socialista. Morì a Forlì nel 1915. Proseguì la sua attività il figlio Emilio, nella cui orchestra, successivamente, entrò a far parte il giovane Aurelio Casadei, più noto come “Secondo”, nato a Sant’Angelo di Gatteo, nel 1906.
Il padre lo formò per proseguire la sua attività di sarto. Tuttavia, attratto dallo strumento, per alcuni anni prese lezioni di violino e, a sedici anni, iniziò a lavorare come musicista. Dopo l’esperienza nell’orchestra di Emilio Brighi, nel 1928, formò un proprio Gruppo, che si contraddistinse per l’aggiunta del sassofono e della batteria; in seguito, anche del cantante, indispensabile per dare spazio al genere della canzone romagnola. Lavorò intensamente e con passione. Tuttavia, l’avvento della Seconda guerra fu disastroso. Dal 1941 al 1945, la gente aveva altro a cui pensare. Vennero chiuse le sale da ballo e ritirate le licenze. In ristrettezze economiche, per alcuni periodi, Secondo sopravvisse vendendo stoffe. Alla fine della seconda Guerra, il clima musicale era cambiato. Sotto una dirompente spinta commerciale, l’ondata della musica americana aveva conquistato i giovani. Fu difficile ridare forza alla tradizione. Casadei raccontò di esecuzioni interrotte, a causa dei rumorosi fischi prodotti dai giovani. La sua musica veniva percepita come vecchia, del passato. Come in molte altre realtà italiane ed europee, ad armi impari, si consumò lo scontro tra “tradizionalisti e colonizzati”. Secondo insistette nel perseguire i propri obiettivi e non volle sapere di cedere all’americanizzazione dei balli o alle mode mediatiche del momento. Negli anni Cinquanta, arrivarono copiosi i successi anche grazie a felici collaborazioni con cantanti in voga e alla diffusione della musica attraverso radio, dischi e juke box. Riuscì a coinvolgere nella sua orchestra (fondata su principi cooperativi) il nipote Raoul (1937-2021) il quale, dopo aver conseguito il diploma magistrale, lavorò per diciassette anni come maestro nella scuola elementare. Inizialmente, operò come chitarrista e autore di testi. Quando Secondo Casadei morì, nel 1971, Raoul si licenziò e prese in mano l’orchestra, portandola ai fasti di cui tutti parlano trattando del genere “liscio” che, come noto, spopolò ben oltre i confini geografici della Romagna. Abbiamo riletto una sua intervista rilasciata a Clara Manfredi (1981), della quale riportiamo due brevi passaggi che ben fotografano le diatribe tipiche di quel periodo ed evidenziano la riconoscenza che provava verso il proprio mentore: «Mio zio ed io abbiamo sempre parlato non di fare successo, ma di fare la nostra battaglia. Sul nostro cammino abbiamo trovato gente che ha snobbato questo genere musicale perché è musica contadina; io dico: cultura popolare contadina; loro dicono: robetta. Beh, dico io, robetta no, è musica popolare nostra, non è musica d’importazione. Noi siamo dei colonizzati musicalmente ed io sono convinto di aver ragione (…)». E ancora: «Questa musica è nata dal cuore della gente, la gente che lavora, quella che si accontenta di poco, che torna a casa e vede le finestre illuminate, la cucina, la tavola grande. Si accontenta e gli sembra un miracolo trovare la famiglia attorno alla tavola. C’è gente che non ha mai provato chissà cosa, che non va a cercare l’impossibile. Questa gente qui è il mio pubblico e per me è il pubblico più bello che esista, il più vero, quello che ha i calli nelle mani, quello che vive intensamente, che lavora; non è il pubblico superfluo di quelli che hanno la puzza sotto il naso, quelli che hanno bisogno di élite a tutti i costi (…)».
L’esperienza degli “Extraliscio” e le radici di Secondo Casadei
Di recente, è stato pubblicato “Extraliscio. Una storia punk ai confini della balera” (La nave di Teseo, ottobre 2021), con introduzione di Ermanno Cavazzoni. È un testo che fa riflettere. Gli autori sono Mauro Ferrara (1948) - verosimilmente, il più noto cantante di “liscio” -, Moreno Conficconi (1958) - clarinettista, figura di spicco dell’orchestra di Roul Casadei -, Mirco Mariani (1969), contrabbassista, con significative esperienze come batterista jazz. Ha collaborato a lungo con Enrico Rava e Vinicio Capossela. È inoltre cantante e sperimentatore discografico. Da alcuni anni, opera con spirito libero per rinnovare la tradizione musicale, utilizzando anche un’originale strumentazione elettro-acustica ed elettronica.
In modo assai diretto (senza fronzoli linguistici), i tre autori hanno raccontato della loro esperienza umana e musicale, permettendo anche al lettore profano di cogliere lo spirito profondo delle orchestre romagnole e i motivi di apprezzamento da parte di tanta gente comune, nonostante i pregiudizi e gli stereotipi che, nei decenni, si erano venuti a sedimentare. Unendo forze e conoscenze, i tre musicisti sono impegnati a esplorare nuove strade espressive. Di recente, hanno ricevuto l’attenzione di Elisabetta Sgarbi in veste di regista e di produttore. Il loro sound non è definito, ma il campo d’azione e di ricerca è esteso e ricco di feconde novità. Nel capitolo “In missione per conto del liscio nei mondi inesplorati del suono”, Mariani ha chiarito che «Extraliscio è l’unico progetto musicale italiano che non poteva uscire dalla testa di un musicista. Perché, per il musicista italiano tipo, mettere musica e liscio nella stessa frase è quasi una bestemmia. L’idea di Extraliscio doveva venire da fuori, un fuori non troppo distante. Infatti viene da Riccarda Casadei, figlia di Secondo, cugina di Roul. Extraliscio non è un progetto musicale è un’esperienza di vita (…)».
L’avventura degli “Extraliscio” permette di ricongiungerci alle radici musicali di Secondo Casadei, al quale abbiamo dedicato la nostra “Vision”. Uomo che visse i drammi prodotti dai due conflitti mondiali e che, con tenacia, seppe valorizzare, a suo modo, l’identità di un popolo, avendo a cuore l’unità e la coesione delle comunità con le quali entrava in contatto. Con umanità, seppe dare integrità, visibilità, dignità e gioia alla sua gente. Con il suo agire, ricordò a intere generazioni che, solo piantando buoni semi e curandoli con la giusta attenzione, si potrà raccogliere abbondanti frutti. Commemorarlo con stima, ci è sembrato anche un modo per rammentare, a quanti hanno a cuore la promozione delle tradizioni popolari, l’importanza di orientarsi verso il futuro criticamente, tenendo ben presente le lezioni provenienti dal “passato”, pur avendo chiaro che, tra corsi e ricorsi della storia, «nec, quae praeteriit, iterum revocabitur unda, nec, quae praeteriit, hora redire potest». La Musica, tuttavia, continuerà a essere un bene dalle infinite risorse al servizio dell’umanità, con saggezza utilizzabile anche per rafforzare i concetti di conoscenza e coscienza storica, partendo dalle proprie radici culturali, grazie alle quali, secondo benefici principi di unicità e alterità, è possibile ravvivare le tradizioni locali e prospettare un proficuo e collaborativo incontro tra le diverse civiltà musicali nel mondo.
Paolo Mercurio
Tags:
Vision & Music