Kadialy Kouyate – Aado: Senegalese Kora (Naxos World/ARC Music, 2021)

Sentire Kadialy Kouyate tornare alle radici del repertorio Mandinka è una vera ventata d’aria fresca. Lo dico senza voler screditare il suo lavoro precedente né per creare un espediente per elogiare l’innovazione di un album che non cerca di riscrivere canoni ma solo di esporsi ed esporre chi lo ha registrato. “Aado: Senegalese Kora” respira: respira la musica, allo stesso tempo densa e rilassata, respira la kora con la sua squisita varietà dinamica ma, soprattutto, sembra respirare Kadialy nel condividere un lato più intimo di sé, con un repertorio che ci parla dei suoi valori e dei valori della sua gente. Kadialy è un fuoriclasse della kora appartenente al lignaggio dei Kouyate, la più importante famiglia jeli fin dai tempi di Sunjata Keita, fondatore dell’impero del Mali (1235-1645). Trasferitosi a Londra e laureatosi presso la Guildhall School of Music and Drama, Kadialy ha cominciato una brillante carriera che lo ha portato su innumerevoli palchi, affiancando artisti del calibro di Baaba Maal, Mumford and Sons, e Afro Celt Sound System. Da anni insegna kora alla SOAS University of London, dove è diventato una figura centrale per l’educazione alla performance. Nel suo disco precedente, “Nemo”, si è cimentato con un lato meno esplorato (almeno a livello discografico) della sua identità artistica. Con il supporto di una band, ha costruito un piacevolissimo disco afro-pop che rievoca le sonorità afro-latine di storiche band maliane e non, come la Rail Band e i Les Ambassadeurs. “Aado: Senegalese Kora” propone, invece, composizioni originali e reinterpretazioni di brani del repertorio jeli, la genealogia di musicisti e oratori a cui Kadialy appartiene. Il ruolo del jeli va ben oltre quello del musicista, sono infatti narratori, oratori, e portatori di consiglio. In modo poco convenzionale, in questo disco Kadialy ha deciso di ricoprire questi ruoli senza proferir parola. Col brano “Sora” - un brano tradizionale dedicato all’arte - celebra la famiglia Cissoko, una delle famiglie jeli più importanti e con cui lui è imparentato. “Thiosano” si rifà alla parola Senegalese “thiosane”, la tradizione che condividiamo. Si racconta poi di ospitalità in “Buña”, si augura buona fortuna con “Kontondiro” e “Nganiyo” e si scoprono le buone qualità delle persone in “Daña”. Questa kora si fa portavoce non solo di un pezzetto di Kadialy, ma anche di ciò che in Senegal chiamano proprio “Aado”, i valori morali. Non a caso, il disco si chiude con “Janjon Ba”, l’interpretazione di uno dei brani più delicati del repertorio Jeli. “Janjon” racconta la storia di un grande guerriero chiamato Fakoli, che si schierò con l’imperatore quando suo zio cercò di soverchiare l’impero. Il brano è tuttora suonato per celebrare coloro che compiono atti virtuosi, una celebrazione, in un certo senso, di chi segue i valori che l’album intero cerca di trasmettere. Il ritorno alle radici è quindi doppio, da una parte Kadialy torna ad esprimersi col suo talento con la kora, da un’altra riemerge quella necessità di raccontare, di comunicare non solo storie ma consigli, valori, messaggi che possano beneficiare il prossimo. Visto in questo senso, “Aado” porta un po’ di Senegal a chi popola il trambusto britannico e si avvicina a questa musica per il timbro ammaliante dello strumento, ignorando quanto sia importante e stratificata la cultura che invoca. Considerando l’intero contesto in cui questo disco si colloca – un contesto occidentale di un’industria musicale che ha in molti modi snaturato e ripensato la kora in trent’anni di world music – è un grande piacere vedere che l’attività del jeli non si ferma, ma trova nuove vie per comunicare parte di sé ad un nuovo pubblico. 


Edoardo Marcarini

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