Roberto Kunstler – Davanti alla fine del mondo #1 (Sony Music Italy, 2021)

Artista a tutto tondo, Roberto Kunstler è noto al pubblico per la sua attività di autore per molte voci della scena musicale italiana come Sergio Cammariere e Ornella Vanoni, a cui ha affiancato un personale percorso come solista, così come spesso ha incrociato anche altre forme espressive come l’arte figurative e la poesia in senso stretto. Emerso nella scena musicale capitolina alla fine degli anni Settanta, il cantautore romano ha mosso i suoi primi passi sul palco del Folk Studio per debuttare nel 1984 con il 45 giri “Danzando con la notte e col vento”/“Piccola regina del varietà” inciso per la it/RCA di Vincenzo Micocci. Un anno dopo arriva l’opera prima “Gente Comune” a cui seguono “Pilato non mi vuole più” nel 1989 e “Eclettico Ecclesiastico” nel 1991, mentre dall’incontro con Sergio Cammariere arrivano nel 1993 “Kunstler Cammariere Stress Band” e “I ricordi e le persone”. Proprio la collaborazione con quest’ultimo apre una lunga stagione come autore che frutta perle come “Dalla pace del mare lontano” e “Tutto quello che un uomo” con quest’ultima che giunge al terzo posto al Festival di Sanremo nel 2003 che frutta anche il premio per la critica. A partire dal disco omonimo del 2005, il cantautore romano torna a concentrarsi sul suo percorso come solista, culminato nel 2019 con la pubblicazione del pregevole “Senza dire niente” nel quale spiccano inediti e riletture di brani scritti con Sergio Cammariere. 
A distanza di tre anni, arriva “Davanti alla fine del mondo #1”, ottavo album in carriera, ispirato dal libro omonimo di racconti filosofici di Mauro Cascio. 
Abbiamo intervistato Roberto Kunstler per ripercorre con lui il suo cammino artistico e soffermarci su questo nuovo lavoro.
 
Partiamo da lontano, dai giorni del Folk Studio dove hai mosso i tuoi primi passi. Come ricordi questa esperienza?
Cominciai a cantare le mie prime canzoni al Folk Studio verso la fine degli anni Settanta quando ero ancora al liceo. Da lì erano venuti fuori Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Mimmo Locasciulli, Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano e molti altri cantautori della cosiddetta scuola romana. Con loro si instaurò da subito un rapporto di amicizia, nonostante la differenza di età. Con loro condividevo la passione per Bob Dylan di cui già all’epoca conoscevo e cantavo a memoria tantissime canzoni. Inoltre, mi dicevano che somigliavo a Dylan da giovane, ed io questo lo sapevo e ci avevo costruito sopra il mio modo di presentarmi al pubblico con la chitarra e l’armonica. Cantavo già, tra le altre canzoni, “Gente comune”, che darà poi il titolo al mio primo album nel 1985. E forse fu anche grazie a questa canzone che presto diventai amico di Francesco De Gregori e Mimmo Locasciulli che mi aiutarono a conquistare un mio spazio nella scena musicale romana invitandomi ai loro concerti come ospite. Da lì poi arrivai al contratto discografico con la it/RCA, al primo disco e al Festival di Sanremo. Il ricordo di quegli anni è indelebile. Erano anni anche difficili, erano gli “anni di piombo”, la fine di un periodo, e per certi versi, la fine di un sogno. 

Difficile raccontare il clima di quelle giornate. Le esibizioni acustiche senza microfono, seduto, davanti a un pubblico attento, sul famoso seggiolone rosso, lo stesso dove all’inizio degli anni Sessanta si era seduto anche un ancora sconosciuto Robert Zimmerman. Tutto il resto è storia. Una storia di cui non posso non essere felice di aver fatto parte.
 
Nel corso della tua carriera hai alternato dischi a tuo nome all'attività di autore, in particolare con e per Sergio Cammariere. Qual è la prospettiva espressiva che preferisci quella del cantautore o quella dell'autore?
Si tratta di due percorsi complementari e prolifici che ho scelto di intraprendere senza mai tradire me stesso. Anzi, è stata una sorta di dualismo creativo che mi ha permesso di scrivere sia da solo, come cantautore, che in due, proprio come nei gruppi che mi hanno ispirato da ragazzo e che hanno fatto la storia della musica dagli anni ’60 ad oggi. I Beatles, i Rolling Stones, tanto per citare i casi più eclatanti, dove la nascita di una canzone è quasi sempre il frutto di un lavoro di coppia tra due musicisti. Ed è proprio questo aspetto che mi ha spinto a volermi calare anche in questo nuovo e diverso contesto creativo, nel quale ho sempre continuato a portare il mio linguaggio e a trovare sempre nuove metodologie di approccio alla scrittura. 
A volte rivisitando mie canzoni del passato, altre partendo da un testo o scrivendo su armonie e melodie create da Sergio, dando grande importanza non solo al concetto, ma – trattandosi di parole in musica – anche al suono della parola stessa. Nella fase di scrittura proviamo, suoniamo e cantiamo il pezzo insieme fino a definire la chiusura di ogni singolo brano.
 
Facevamo riferimento a Sergio Cammariere, il vostro sodalizio risale al 1992. Avete inciso anche due dischi insieme "Kunstler Cammariere Stress Band" e "I ricordi e le persone" e tu hai firmato quelli che sono i brani più intensi del suo repertorio: "Tutto quello che un uomo” o “Dalla pace del mare lontano”. Ci puoi raccontare questa esperienza?
Innanzitutto, ci tengo a precisare che, fatta eccezione per due o tre canzoni, ho firmato tutti i testi e parte delle musiche di tutto il repertorio contenuto nei dischi di Sergio Cammariere. Raccontare in poche righe di una collaborazione che va avanti da quasi trent’anni non è semplice. Ad ogni modo, ricollegandomi alla domanda precedente, posso aggiungere che non amo molto le definizioni, etimologicamente si tratta di qualcosa che va a de-finire. Preferisco de-cominciare piuttosto che definire, o al limite, de-continuare. Ci tengo a cogliere questa opportunità per sottolineare che i “parolieri” sono una categoria di cui ho grande rispetto, ma si tratta di un’attività che ha poco a che vedere con la mia. Sono un cantautore. E quanto alla storia con Sergio Cammariere, che è quella che più mi ha reso noto come autore, anche lì, effettivamente, non mi limito a fare il paroliere. 
Non ho mai visto un paroliere che canta, suona e sale sul palco sin da quando ha sedici anni! Perché voglio togliermi questa definizione di paroliere? Perché è una definizione che mi va stretta! E non corrisponde a chi è veramente Roberto Kunstler. Anche nel lavoro con Sergio non mi capita sempre di scrivere un testo su una musica finita. Non lavoriamo così. Le prime canzoni che nascono dal mio incontro con Cammariere sono delle cover di pezzi miei. Gli ho dato, e continuo a farlo, l’opportunità di rivisitare delle mie canzoni. È un caso atipico nel nostro panorama musicale. In quanto la modalità compositiva si ricollega direttamente a quella dei gruppi, dove la nascita di una canzone è quasi sempre, come dicevo sopra, il risultato dell’incontro tra due musicisti, spesso anche cantanti. Incontrai Sergio Cammariere ai primi di giugno del 1992 una sera, al Bar della Pace, a Roma. Quella sera stessa, decidemmo di andare a casa sua e di suonare: suonammo tutta la notte, fino al mattino. Io cantai molte delle mie canzoni, e Sergio mi accompagnava con pianoforte, tastiere e delle sequenze di batteria elettronica, dandomi l’impressione di avere al mio seguito un’intera band. Decidemmo di rivederci anche il giorno dopo, ma poi questa full immersion durò due settimane. Buttai giù una quindicina di canzoni, tra cui alcune da finire e altre nuove (praticamente tutta la tracklist di quello che sarebbe stato da lì a poco il futuro album “I ricordi e le persone” – che conteneva, tra le altre, anche la prima versione di Dalla pace del mare lontano).
 
Nel 2019 hai dato alle stampe "Senza dire niente" un disco meraviglioso che segna un momento di ripartenza per il tuo percorso come cantautore. Quanto è stato importante per te questo disco?
“Senza dire Niente” è stato senza dubbio un disco per me importante. Dal punto di vista della realizzazione e della produzione artistica è arrivato come il frutto di dieci anni di collaborazione con Francesco Musacco con il quale ho prodotto e arrangiato tutti i miei dischi a partire da “Mentre”, pubblicato nel 2011, fino al nuovo “Davanti alla fine del mondo”, nel 2021. Per quanto riguarda invece la scrittura delle canzoni, pur non amando particolarmente fare bilanci o soffermarmi a dare io stesso una valutazione critica della mia poetica musicale, è intorno al 2009, con la scrittura di canzoni come “Mentre” o “Carovane”, che mi sono reso conto sempre di più che la scrittura è per me, come amo ripetere, un’azione non intellettuale, ma percettiva. Un pensiero che viene dall’ascolto del silenzio, da quella che potremmo definire una forma di meditazione spontanea. Un fiume che mi attraversa. Un fiume di cui non vediamo la sorgente, ma che ci conduce tutti nello stesso mare.
 
Come si è evoluto negli ultimi anni il tuo approccio alla canzone d'autore?
Il mio approccio alla scrittura delle canzoni è sempre stato più o meno lo stesso. E' tutta una questione di memoria. Col passare degli anni mi sono reso conto che pur scrivendo sempre di più mi sembra di scrivere sempre meno. 
E' la memoria che condensa i tratti essenziali e definitivi di ogni testo o musica. Quando il testo è vero e compiuto io lo so a memoria. E non so come funziona. E questo mi appassiona. Però prima, molto tempo fa, giravo sempre con piccoli quaderni neri bordati in rosso nelle tasche. Ho scritto poesie e canzoni con le matite e sulle matite, veri e propri archetti nella direzione di sinfonie letterarie che nel mio caso spesso finiscono con l'ispirare una musica. Ho sperimentato una scrittura che viene dal silenzio, dall'attenzione, dalla concentrazione e dall'ascolto di tutto quello che il rumore della modernità ha sommerso. Considero il mio scrivere come un “farsi antenna”, un rice-trasmettitore di segnali liberati nell'universo dai tempi di Socrate e di Platone. E ancora prima, dalle antiche civiltà orientali e mediorientali. Risalendo fino all'epoca del mito.  Ed è per questo che ho sempre voluto che il mio scrivere, pur trattando anche di temi quotidiani, non avesse mai una collocazione nel tempo ma fosse in qualche modo inattuale e fuori dal tempo profano, bensì in un tempo di fondazione com'è appunto quello della mitologia. Così come molti personaggi e paesaggi delle mie canzoni sono calati in un’odissea privata, in una leggenda privata, in un tempo che è fuori dal tempo.
 
Sei un appassionato dei grandi cantautori ed in particolare di Bob Dylan di cui ha tradotto anche diversi brani in italiano. Che peso ha avuto la sua poetica nella tua cifra stilistica?
Proprio come disse Dylan a proposito di Woody Guthrie, mi piace dire che Bob Dylan è stato per me “il mio primo ed ultimo idolo”. Quanto all’influenza della sua poetica sulla mia scrittura posso affermare che non è un dato poi così rilevante. Non più di quello che ha rappresentato per tutti i songwriters di tutto il mondo. Questo perché le mie canzoni sono sempre autobiografiche al cento per cento. Scaturiscono da un lavoro continuo di introspezione. Quindi sono i fatti, le esperienze e le vicende della mia vita a fornirmi “l’ispirazione” e non prendo spunto da altro. Poi, certo, potrei concludere dicendo che con Dylan ho condiviso letture formative molto importanti, da Walt Whitman fino a Wiliam Blake e soprattutto Arthur Rimbaud, con cui tutti gli artisti contemporanei, come sottolineò lo stesso Dylan nelle note alla copertina di Desire, hanno in qualche modo un debito.  Sì, in definitiva la mia cifra stilistica è stata influenzata più dalla poesia e dai poeti che ho più amato da ragazzo, ma anche dai miei studi sulla Storia delle religioni, sulla mitologia e, più in generale, su tutto quello che ha a che fare con la spiritualità.
 
Nel tradurre un brano dall'inglese, quali sono gli elementi poetici che metti in risalto?
L’elemento che per me è più importante nella traduzione di un testo, dopo ovviamente quello di rendere l’idea del contenuto del testo e salvaguardarne l’impatto poetico, è quello di “rispettare” il suono delle parole e il numero delle sillabe di ogni verso. 
Se aggiungi o togli una sillaba hai modificato la melodia! Questo è quello che ho sempre cercato di fare. Come nell’ultima canzone che ho tradotto e potete trovare on line nella mia versione in italiano, “Hallelujah” di Leonard Cohen.
 
Come nasce il progetto "Davanti alla fine del mondo #1"? Come mai hai scelto di realizzare un Ep e non un disco sulla lunga durata?
Questo nuovo lavoro discografico è nato nella scorsa primavera, in pieno lockdown, dall’incontro con il filosofo Mauro Cascio, autore di un omonimo libro di racconti filosofici e che mi ha chiesto se volevo ispirarmi liberamente ad alcuni di questi racconti per scrivere delle nuove canzoni. Un'incontro voluto da Massimo Ricciuti, amico, giornalista e scrittore, che ha avuto questa originale e brillante idea. Così in pochi giorni, come per magia, sono arrivate le prime tre canzoni. La title track “Davanti alla fine del mondo”; e poi “L'ultimo viaggio di Ulisse” e “Canzone di Abelardo”. Tre canzoni che prendono spunto da altrettanti racconti contenuti nel libro. Ne arrivano poi altre tre, che hanno un'origine autonoma che ci riconduce al mio mondo poetico. “Getterò alle spalle”, “Echi del Tempo” e infine “Acqua nell'acqua”.  Il disco, sebbene distribuito dalla Sony, è stato auto-prodotto e quindi la scelta di un EP con sei canzoni è stata una scelta forzata. Non c’erano più i fondi per produrre altre cinque o sei canzoni. E questo è un po’ un peccato, perché i soldi non c’erano più, ma altre canzoni sì! Per questo anche abbiamo avuto l’idea di continuare il discorso, si spera, con un prossimo EP a cui potremmo dare il titolo di “Davanti alla fine del mondo #2”. Per dare una sorta di carattere “seriale” alle pubblicazioni.
 
"Davanti alla fine del mondo", la title-track sembra un'istantanea dei giorni del lockdown. Come nasce questo brano?
La canzone è nata in pochissimo tempo, non avevo ancora finito di leggere l’omonimo racconto di Mauro Cascio quando Massimo Ricciuti mi ha inviato un sunto con quelli che potevano essere gli aspetti principali del racconto da riprendere e riportare in forma canzone. Anche per la parte musicale ho ricevuto un importantissimo contributo da Francesco Musacco, che ha curato gli arrangiamenti e la produzione artistica. Francesco mi ha inviato un loop di basso e batteria che aveva appena creato e mi ha detto di provare “a giocarci un po”. Ho cominciato a suonare la chitarra e a cantare seguendo quell’andamento ritmico e in due ore è uscita fuori la canzone!
 
Quali suggestioni poetiche e letterarie hanno ispirato "L'ultimo viaggio di Ulisse"?
Le suggestioni qui sono arrivate direttamente dal racconto di Mauro Cascio. Anche questa volta grazie a un preziosissimo input di Massimo Ricciuti, che da ottimo scrittore qual è, mi aveva inviato anche in questo caso una sua bozza contenente alcuni versi che poi ho finito di elaborare e messo in musica.  Si tratta di un Ulisse più Dantesco che Omerico. Questa del viaggio per mare è una figura che ricorre spesso anche in altre mie canzoni, vedi “Dalla pace del mare lontano”.
 
Quanto c'è di autobiografico nei brani di questo Ep?
Come ho già avuto modo di dire tutte le mie canzoni sono sempre autobiografiche. In particolare, tra quelle di questo nuovo disco “Acqua nell’acqua” e “Getterò alle spalle” sono prettamente autobiografiche in quanto non risentono dell’influenza dei racconti di Cascio che hanno invece liberamente ispirato tre canzoni di questo EP. (Davanti alla fine del mondo/L’ultimo viaggio di Ulisse/Canzone di Abelardo).
 
Concludendo, come si evolverà il progetto "Davanti alla fine del mondo #1"? La presenza del numero 1 lascia intendere che ci sarà un seguito?
Auspicabilmente con dei concerti e con la successiva pubblicazione di nuove canzoni. Stiamo seguendo anche l’idea di un cofanetto contenente disco e libro. Ma sono tutte ipotesi. L’importante come sempre è stare nel “qui ed ora”.  E non farci trovare impreparati davanti alla fine di un mondo che si spera possa finalmente spalancare il futuro a un mondo migliore.
 


Roberto Kunstler – Davanti alla fine del mondo #1 (Sony Music Italy, 2021)
Ci sono dischi che segnano un punto di svolta nel percorso artistico di un cantautore, vere e proprie piccole rivoluzioni copernicane che invertono prospettive, sovvertono stilemi e sonorità, o che semplicemente rimescolano le carte in tavola. E’ il caso di “Davanti alla fine del mondo #1” di Roberto Kunstler, album realizzato durante la primavera dello scorso anno, nel pieno del lockdown ed ispirato dalla lettura del libro omonimo del filosofo Mauro Cascio, conosciuto grazie all’amico comune, il giornalista e politologo Massimo Ricciuti. Quella serie di appunti filosofici, vergati sotto forma di storie, ha colpito profondamente la sensibilità del cantautore romano e nel giro di poche ore hanno preso vita tre brani nuovi, tre riflessioni sulla contemporaneità dell’uomo, figlio di un tempo complesso e difficile da decifrare. Primo capitolo di un più complesso progetto che vedrà susseguirsi le uscite, senza una precisa periodicità, questo nuovo disco raccoglie sei brani inediti che, come suggerisce il titolo, non descrivono uno scenario apocalittico di una prossima fine del mondo, ma mirano a sollecitare una rinascita necessaria dell’uomo per riconciliarsi con l’amore e la grande architettura dell’universo di cui facciamo parte. Rispetto ai precedenti lavori la scrittura di Kunstler si è fatta ancor colta, densa di lirismo e intrisa di suggestioni che toccano l’anima dell’ascoltatore. In questo senso fondamentale è stato il lavoro di Francesco Musacco che ha prodotto il disco, riuscendo a costruire una perfetta cornice sonora, arrangiando i brani con grande cura ed eleganza, esaltando le suggestioni dei testi. Accolti dalla bella copertina firmata dallo stesso cantautore romano che evoca l’Arca di Noè come archetipo di speranza e rinascita, il disco si apre con il trascinante folk-rock della title-track, nella quale si intrecciano riflessioni sul futuro del mondo, l’amore e il destino e ci conduce alle atmosfere jazzy della raffinata “Echi del tempo” nella quale spicca con maggior risalto il sostrato filosofico che l’ha ispirata. Se l’intensa e riflessiva “L’ultimo viaggio di Ulisse” è una ballata dalla struttura folk in cui il cantautore romano si sofferma sui ricordi del passato, la successiva “Canzone di Abelardo” rialza il ritmo regalandoci il vertice del disco con i fiati ad impreziosire il tutto. Lo storytelling di “Getterò alle spalle” e la ballata intimistica “Acqua nell’acqua, completano un disco denso di poesia, da ascoltare con grande attenzione, lasciandosi trasportare dalle sue potenti suggestioni poetiche.


Salvatore Esposito

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