Assistere allo scempio di un istituto culturale, come direbbe Ernesto de Martino, è la fine di un mondo. Di questo siamo stati testimoni il 28 agosto: sul palco della Notte della Taranta davanti a mille spettatori, sotto l’occhio di una telecamera, si è consumato l’ultimo atto della demolizione di uno degli eventi musicali che solo sino a quattro-cinque anni era tra i più significativi e innovativi nel panorama mondiale della World Music (e non solo).
Curioso: guardando attonito lo spettacolo che si dipanava davanti ai miei occhi, la mente è corsa a un fotogramma del documentario La Taranta, girato da Gianfranco Mingozzi nel 1962: si vede una "tarantata" correre nella piazza di Galatina, levare gli occhi in alto e gridare “affanculu a mammata” alla telecamera che la stava riprendendo dall’alto di un palazzo. Il cameraman stava violando il rituale, stava spettacolarizzando la sofferenza per venderla, stava annientando la devozione sua e di tutta una comunità. È questo l’episodio, precisamente questo fotogramma, che decreta, tra gli studiosi, la fine del tarantismo e del rito. Dal 1962 in Salento la sofferenza e la rabbia si esprimono altrimenti, magari in un ospedale psichiatrico.
Lo stesso “affanculu” di protesta avrei voluto urlarlo il 28 agosto, non tanto al cameraman (è il suo lavoro) che riprendeva il concerto per RAI1, ma a tutti coloro che hanno prodotto, favorito, promosso, finanziato quel triste spettacolo.
Li ho immaginati tutti in fila su quel palco, schierati però davanti ad un pubblico diverso: quello delle vere Notti della Taranta e quell’ "affanculu" l’avrebbero urlato in moltissimi. Ho immaginato poi di vederli imputati in un processo celebrato dinanzi ad una corte composta da quell’esercito di talentuosissimi musicisti, artisti, operatori culturali, professionisti della cultura e dello spettacolo che hanno contribuito negli anni a fare del Concertone un momento magico di musica, di festa, di comunità, ma anche di memoria e d’impegno. Chiamiamola la corte degli esclusi o dei dissidenti: è l’esercito di tutti coloro che a malincuore o sbattendo la porta hanno voluto (o dovuto) rinunciare al brivido della folla ammaliata, alla festa di Melpignano, del Salento e della musica, alla gioia di lavorare insieme, alla ricerca comune di idee e suoni. Sono andati tutti via quando la Fondazione della Notte della Taranta ha intrapreso la via del meretricio e del tradimento della sua missione ideale e culturale vergata a chiare lettere nei suoi stessi statuti. Condanna senza appello!
Ma tornando alla realtà (e al futuro), mi domando: come a Galatina nel 1962, la violazione televisiva dell’istituto culturale della cultura salentina e del patrimonio immateriale di questa regione, violazione perpetrata l’altra sera davanti al Convento degli Agostiniani in nome della svendita televisiva a RAI1 e al pacchetto pubblicitario ad essa connesso, condurrà anche in questo caso a determinarne l’estinzione?
È questo che il pubblico, i musicisti, gli appassionati e i turisti vogliono? Non c’è forse ormai l’urgenza e la necessità – chiedo a chi decide dall’alto, nell’empireo della politica – d’intervenire seriamente e una volta per tutte per salvare la Taranta, la sua memoria, la sua creatività, il suo impegno? Altrimenti “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti" (Fabrizio de André).
“L’altra sera abbiamo visto cose che voi umani…”: la patetica conduzione di Al Bano che fa pure atto d’impegno ecologico evocando con una lacrimuccia il dramma (vero) della Xylella; il Volo stonante (aiuto!) che si accanisce su quel capolavoro che è Kalinifta; un maestro concertatore saltellante come un canguro imbarazzato e imbarazzante (la rima è voluta); ancora stonature, impacci, interruzioni, ripetizioni, attacchi sbagliati; e una coreografia che ricorda quelle dei varietà televisivi degli anni Settanta, con un pizzico di folk. Si salva, a sorpresa, Madame, soprattutto quando balla.
Eppure lo avevamo già detto e chiesto in tanti con un “appello alla decenza” nel 2019, quando la dea Belen Rodriguez salì sul palco di Melpignano accompagnata dal bel Di Martino e da Gino Castaldo (guarda caso la firma che su Repubblica si è prodotto nei giorni scorsi in un elogio esaltante della serata del 28). Critiche severe s’erano poi levate quando l’orchestra e i ballerini al soldo della fondazione hanno suonato e danzato in molte filiali di una
banca di cui la fondazione, a sua volta, è al soldo (presumo per accordi economici e contrattuali). Queste sono state tutte violazioni del patrimonio culturale salentino, coltellate, svendite appunto.
Per tutto questo e per quanto ho visto la notte del 28 agosto, invocherei ora, per davvero, il processo immaginato quella sera, denunciando “il danneggiamento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali”, del patrimonio salentino per la precisione, come previsto dal disegno di legge “Riforma dei reati contro il patrimonio culturale” approvato alla Camera nel 2017, ma ancora impigliato nelle maglie delle procedure parlamentari. Aspettiamo fiduciosi l’approvazione al Senato.
Dopo un’ora di concerto, a Melpignano, come tanti altri e altre, mi sono alzato e sono andato via sgomento, arrabbiato e con un nodo alla gola. Vedremo stasera insieme come RAI1, alle 23h15, avrà confezionato il pacchetto “Notte della Taranta”, eponimo ormai del folklore salentino pop-trash in vendita in questi giorni al miglior offerente.
Andrea Carlino
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