Studio Murena – Studio Murena (Costello’s Records, 2021)

Tornare a casa è sempre un’esperienza piacevole per tantissime ovvie ragioni. Ma un piccolo personalissimo rituale che adoro dei rientri in patria è quello di sbirciare i palinsesti dei locali bergamaschi e meravigliarmi di come sia germogliata la vita musicale nella provincia che ho lasciato sette anni fa. Bergamo non è solamente una città di nuovi volti pop e indie, è un campo fiorito di progetti e iniziative, di locali che creano spazi e dialogo, di un pubblico che non si accontenta più di pochi stili stracotti e già masticati ma che si guarda attorno per reinventarsi. Mi piace pensare che Bergamo rappresenti lo stato della musica in Italia in generale, un’Italia che non è più chiusa in sé stessa ma che vuole osare, imparare, guardare in là per evolversi ed uscire dalla sua bolla. Tra le consolidate certezze musicali bergamasche ci sono il Filagosto, un festival estivo che si tiene nel comune di Filago, e l’Ink Club, un locale fondamentale per la scena emergente ed underground della città. Anche quest’anno, a causa della pandemia, il Filagosto si è dovuto reinventare, trasportato in diversi locali della zona. Uno degli eventi, il protagonista di questa recensione, si è tenuto proprio all’Ink Club, intersecandosi con un piccolo festival, il Funkorobic, organizzato dal locale per portare sul palco il meglio del funk e del soul della provincia, e non. La band di cui vi parlo oggi è della vicina Milano, e si porta sulle spalle l’identità poliedrica della città urbana. Studio Murena è una formazione a sestetto con un sound frenetico, ombroso e schietto, un ibrido contaminato, una sintesi perfetta di diversi volti del capoluogo Lombardo che esce dai conservatori ma si consolida sulle strade metropolitane. 
Il progetto è portato avanti da sei giovani: Amedeo Nan (chitarra elettrica), Maurizio Gazzola (basso elettrico), Matteo Castiglioni (tastiere e synth), Marco Falcon (batteria), Giovanni Ferrazzi (elettronica e sampler) ed MC Carma (voce). Nel loro sound ritrovo una componente a me particolarmente familiare, quella del Nu Jazz inglese che nell’ultimo decennio è cresciuto in qualità, portata e influenza internazionale. Ma dire che Studio Murena fa Nu Jazz all’Inglese è semplicistico e banale, perché la band condivide sì elementi estetici e l’attitudine urbana e creativa dello stile, ma li presenta con la sua voce, unica e già consolidata. L’incontro tra hip-hop, jazz, rap e certi aspetti del rock può infatti avvenire in molti modi, e Studio Murena ha trovato il suo. In particolare, il rap di MC Carma è un’ondata di aria fresca, non perché il rap non sia mai stato accompagnato da formazioni strumentali nella scena londinese, ma perché, a mio parere, non lo ha mai fatto con tale disinvoltura. Il cantante ha tante qualità che lo contraddistinguono dal marasma più o meno meritevole di rapper urbani della nostra generazione. In primis ha un’ottima proprietà ritmica non limitata al ‘mero’ flow, ma che si rinforza con allitterazioni, consonanze, e un eccelso uso del vocabolario che rinforza, piazzando le consonanti giuste nei posti giusti, lo scheletro ritmico dell’ensemble. 
Spezzo un’ulteriore lancia a suo favore, MC Carma rappa pure bene su tempi dispari. Il suo tono vocale, inoltre, va ad arricchire la pallette emotiva dell’ensemble che, forse per associazione romantica, a me fa davvero pensare in maniera quasi filmica alla Milano notturna. La band è stratosferica sia live che in studio. Sono musicisti che hanno palesemente speso tanto tempo non solo a studiare ma anche ad ascoltare, perché molto spesso chi suona tanto e non ascolta risulta sì tecnicamente sorprendente, ma piatto e asciutto. Loro invece hanno ascoltato tanto e con varietà, ma soprattutto si ascoltano quando scrivono o sono sul palco, concentrandosi sul sound e sul gusto collettivo anziché su loro stessi. Abbiamo quindi fantastici tappeti sonori dalle tastiere e dall’elettronica, ottime linee di basso che supportano il groove, e incastri chitarristici che aggiungono ma senza coprire. Ma personalmente il vero gioiello credo sia la batteria, che dà alla band quella marcia in più quando si tratta di dinamica e tridimensionalità sonora. Questo sestetto ha idee fantastiche e le usa bene, la scrittura non risulta quindi in un patchwork azzeccato di motivi sconnessi, ma in un torrente che scorre fluido, dove idee ed elementi si presentano a diverse latitudini rinforzandosi a vicenda. 
Niente va quindi sprecato, niente è inserito a caso, tutto contribuisce a questa macchina ben oliata che fa pensare ai testi e tremare le gambe, in particolare live. Il disco e lo spettacolo dal vivo hanno energie fondamentalmente diverse, cosa che ho riscontrato in altre formazioni vagamente simili. Il disco è curato, probabilmente pensato per consegnare storie dirette dalla voce con il supporto coreografico della musica che ne enfatizza le sfumature emotive. Il live, magari nemmeno per scelta, travolge la pancia con la sua mastodontica veemenza. Brani come “Arpa e Tamburo” e “Utonian” sbocciano dal vivo con la loro forte impronta ritmica. Il primo presenta un’ottima sinergia tra rap e pelli, che si rinforzano a vicenda costruendo dinamicamente il brano nella parte conclusiva dove il ritornello viene ripetuto come un ostinato. Il secondo brilla nella sua chiusura strumentale, una sezione in sette che oscilla tra drum’n bass e prog rock per culminare in energici drop e accenti spostati. Su disco, invece, spiccano brani più lirici come “Long John Silver”, brano che alterna quattro quarti e sezioni in quindici ispirato al pirata di Stevenson, e “Marmo”, pezzo più vicino all’hip-hop dove i musici dipingono un fantastico soundscape su cui si staglia la voce modulata con un vocoder.
Fortissimo anche “Vuoto Testamento”, dove all’ensemble si aggiunge il tenore di Riccardo Sala. Il brano alterna strofe tenebrose con linee vagamente dissonanti, un ritornello hip-hop che spinge, e stacchi strumentali che mi ricordano per certi aspetti i primi Area. Un’ultima menzione d’onore per “Password” brano che affronta temi attuali di identità personale e digitale. Ho visto Studio Murena live Sabato 7 Agosto e non ho ascoltato altro da allora. Ho un pensiero che continua a ronzarmi in testa, ed è che questo progetto in Inghilterra con testi in inglese farebbe davvero faville. Penso che sia un peccato che questo gruppo sia attivo in Italia perché merita la grande carriera che Londra potrebbe dargli in questo momento. Ma poi ripenso ai miei pensieri introduttivi, a quanto sia cambiata Bergamo negli anni e come lei, a modo loro, siano cambiate anche altre realtà del nostro paese. Penso che forse sia un bene che Studio Murena sia un complesso italiano, perché può aprire la pista per progetti simili qui da noi ed arricchire ulteriormente la colonna sonora che sta rivoluzionando questo paese. Ma soprattutto ogni progetto è figlio delle proprie circostanze e animato dai suoi contesti, e non posso fare altro che rallegrarmi pensando che la fioritura che vedo quando torno in Italia non è un’idealizzazione romantica in cui cado da emigrato nostalgico, ma un processo che ha radici ben piantate in un giardino creativo che profuma di nuovo. 


Edoardo Marcarini

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