Marco Sonaglia – Ballate dalla grande recessione (Vrec, 2021)

Si racconta che la ballerina polacca di origine ebraica Franceska Manheimer Rosenberg - più nota col nome d’arte di Lola Horowitz - mentre lentamente si spogliava davanti alle camere a gas di Auschwitz, riuscì a sottrarre la pistola al suo aguzzino e a sparare, incitando così le sue compagne di cattiva sorte alla rivolta. Franceska naturalmente fu uccisa ma ebbe il coraggio di scegliere come morire. Lo racconta il cantautore marchigiano Marco Sonaglia in “Ballata a una ballerina”, nel suo nuovissimo album Ballate dalla grande recessione, il terzo della sua produzione da solista. Sono dieci brani inediti con i testi scritti dal poeta Salvo Lo Galbo. E si è scelto di partire da questo brano non casualmente: perché se Marco (con Salvo) celebra il coraggio di chi “ancora sceglie come morire”, a lui va innanzitutto riconosciuto il coraggio di saper scegliere come vivere: come vivere artisticamente e professionalmente, come interpretare il proprio ruolo nella società, come individuare il proprio impegno e la propria linea di azione. La musica di Sonaglia è militante, la sua lettura del mondo è partecipata; per abusare ancora una volta del povero Gramsci, Marco odia gli indifferenti e canta per raccontare storie di coraggio, di partecipazione, di lotta, e per condannare soprusi e ingiustizie. Una lotta che in ogni luogo e in ogni tempo si somiglia: perché racconta di oppressi, di diseredati, di abusati, ma anche di impegnati e di coraggiosi. La rivolta in ogni tempo, come quella del macchinista della locomotiva gucciniana si fa epica e poesia in ogni lembo di terra. Ogni rivolta ha la sua storia e le sue modalità: quella di Mimmo Lucano (“Ballata dello Zero”) o della ballerina ebrea già citata, ma anche quella di Claudio Lolli, simbolo della stagione rivoluzionaria della nostra canzone d’autore, o ancora quella del giovane sindacalista e bracciante Sacko Soumaila, ucciso a Vibo Valentia mentre cercava lamiere per costruire dei giacigli per i suoi compagni di lavoro; quello che è certo è che Marco Sonaglia e Salvo Lo Galbo si sono incontrati per dare voce e forza a queste e alle altre storie del disco, dove non manca l’attacco al capitalismo, la condanna della perdita dei diritti dei lavoratori e della coscienza di classe, l’orrore per il sopruso della cosiddetta giustizia sul povero corpo di Stefano Cucchi, il dolore per il tradimento della rivoluzione cubana; ma è la struggente “Primavera a Lesbo”, nel suo racconto del dramma dei profughi in fuga, a colpire a affondare chi ascolta. Neanche per un minuto tutto questo si trasforma in retorica, o in polveroso rimpianto del passato, magari di una sinistra ottusa e manichea che forse neanche esiste più. No. Il bello di questo lavoro è che la voce di Marco Sonaglia arriva forte, sferzante addirittura, e mai compiaciuta nel dolore o nella condanna. Arriva con l’orgoglio di chi crede ancora nella forza della lotta e riconosce un ruolo all’intellettuale e all’artista nel partecipare, sostenere, denunciare, protestare. Così. Sfrontatamente. Senza mediazioni. E, trattandosi di ballate (è un disco intero di ballate), la musica accompagna il racconto, appoggia, non travolge: è essenziale e studiata proprio per dar forza alla voce, senza appesantire mai. Marco fa davvero quasi tutto da solo: canta, suona la chitarra e l’armonica, con l’aiuto delle tastiere e l’elettronica di Paolo Bragaglia, che ha prodotto artisticamente il disco. C’è spazio anche per il violoncello di Julius Cupo in questo letto sonoro per un vero cantastorie. Il cantautore marchigiano, che già nei due album precedenti aveva dato segni di grande vitalità artistica e scrittura, ha fatto davvero tesoro di tutti i suoi anni di insegnamento presso l’Accademia dei Cantautori di Recanati e della sua esperienza nei Sàmbene – gruppo nato proprio nell’ambito di questa scuola di formazione - di cui è anima, scrittura e suono, insieme con l’instancabile direttrice Lucia Brandoni. Ci troviamo di fronte infatti ad un lavoro autorevole, mai timido. Dare intonazione e colore alle parole è infatti una faccenda davvero complessa. E lo è ancora di più se quelle parole sono intense e piene di significato come quelle di Lo Galbo. Sonaglia ci è riuscito pienamente. Con classe e decisione. Con temperamento. E così lascia anche il campo alla riflessione fondamentale su come bisogna leggere il presente, il passato e il futuro. È davvero tornato il momento dell’impegno. Grazie a Marco per avercelo ricordato così bene. 


Elisabetta Malantrucco

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