Rachele Bastreghi – Psychodonna (Atlantic/Warner, 2021)

Qualche tempo fa, ci siamo occupati dell’esordio solista di Francesco Bianconi, e raccontavamo di come quest’ultimo si fosse divertito a rimettere in gioco la sua cifra artistica tirando fuori “Forever”; un album che suonava quasi come una raccolta di lieder, con timbri diametralmente opposti da quelli che l’ascoltatore medio dei Baustelle si potesse immaginare. Ecco, a distanza di quasi un anno, anche l’altra metà della band di Montepulciano, Rachele Bastreghi, ci regala quello che è il suo vero esordio solista, se consideriamo che “Marie”, anno 2015, era un Ep. Esordio solista che si condensa in “Psychodonna”, nove canzoni per poco meno di quaranta minuti di musica che, al contrario di quanto fatto dal collega baustelliano, spingono sull’acceleratore della musica elettronica, che diventa moderata tempesta (giusto per citare un’altra bravissima cantautrice del nostro panorama) e perfetto veicolo per raccontare una storia fatta di contrasti, femminilità ed irrequietezza, introdotta alla perfezione dallo sfocato della splendida copertina, quanto mai esemplificativo. Lavoro che si apre con le tinte esistenzialiste, fosche ed acquose di “Poi mi tiro su”, introdotta da un piano arpeggiato sporcato dall’elettronica di sottofondo, in simbiosi con la seconda voce megafonata che doppia la prima. Un altro arpeggio, questa volta di chitarra acustica, apre “Lei”, la cui esplosione nel ritornello sottolinea ne sottolinea la vorticosa linea di basso, mentre gli squarci di synth di sottofondo lanciano un outro fotonico. Segue il ritmo incessante di “Not for me” (“Quando scoppia in te una guerra/Quando non vuoi vincere/Quando godi ma è un inferno/ Quando scappi ma sei fermo”), scandita dai timbri elettronicamente marcatissimi di synth e tastieroni, cui fanno da perfetto contraltare i contrappunti di archi e fiati. “Come Harry Stanton” poggia su un tappeto di synth da cui fuoriesce un arpeggio di pianoforte riempito dallo strumming della chitarra, in un pezzo che esplode dalla seconda strofa, trasformandosi in un vortice di elettronica scatenata. Introspettivamente splendida la prima strofa, “E ritornano sempre le stesse parole/Quando chiudo con tutto e scrivo la mia canzone/Preferisco il silenzio, per poi fare rumore/Preferisco l’inverno, il freddo che cerca il sole/E rimangono sempre le stesse parole/ Sotto un cielo di bombe, mi fermo e butto fuori”. Giro di boa è “Penelope” (“Ore e ore dentro il compito/ Dentro un marchingegno psychoscenico/Un vestito, un’armature/ cantare contro la paura. Ore e ore dentro al compito/ Che poi muore/ Un infinito panico/ Una scusa che consola/Una scusa che ci inchioda”), primo singolo estratto dall’album. Un basso martellante ed ossessivo si staglia potente sul reticolato di synth che scandisce il pezzo, mentre gli squarci di chitarra elettrica sono note di colore che caricano la dinamica. La coda, quasi orchestrale, è chiusa dal bel recitato di Silvia Calderoni. Per “Due ragazze a Roma” arrivano i contributi di Meg e Chiara Mastroianni, che prestano le loro voci ad un pezzo che è un continuo trip allucinato di sintetizzatori ed elettronica, con la chicca dell’apertura affidata ad un clavicembalo e con un perfetto incontro fra la caleidoscopica linea di basso ed i fraseggi di elettrica che sporcano l’atmosfera, le cui tempeste vengono diradate da un finale cinematografico ed immaginifico. Segue la title track, colorata di acidissime venature dissonanti e di atmosfere quasi da disco, per un brano dall’effetto stroboscopico, che procede a flash ed immagini violente ed immediate. Arriviamo a “Fatelo con me”, cover dell’omonimo pezzo di Anna Oxa, che viene fuori come una splendida cavalcata punk, con un basso cavalcante, un pattern di batteria ossessivo, una chitarra elettrica sgraziatamente distorta e dei ricami di synth ed elettronica a dare eleganza alla dinamica. A chiudere il lavoro ci pensa “Resistenze” (“Mamma ti voglio bene/anche se tremo/Se vivo male/Babbo ti voglio bene/ Vorrei parlare/ Ma dentro piove), un interessantissimo muro di sintetizzatori ed elettronica riempito ulteriormente dai contrappunti degli archi, che regala al brano nuances classiche e ricercate, soprattutto nella coda di pianoforte. Per concludere, siamo di fronte ad un album intriso di un interessantissimo sound internazionale, colorato di venature urban, ma con visibili radici classiche. Un ricercato pop d’autore che dovrebbe far da lezione a molti. 


Giuseppe Provenzano

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