Pianista e compositore di formazione classica, Marco Rollo è uno dei talenti di punta della scena musicale salentina, non solo per il suo solido background artistico, ma anche per la sua peculiare indole artistica che sfugge ad ogni classificazione o steccato. Nel corso degli anni, infatti, si è mosso con disinvoltura attraverso ambiti musicali differenti, spaziando dalla musica trad con il mai abbastanza lodato progetto Triace, all’incursione nei territori balkan con i Vudz, per toccare le diverse collaborazioni in ambito jazz con Cesare Dell’Anna, Roy Paci, Raffaele Casarano e Paolo Fresu, e la canzone d’autore insieme a Massimo Donno. La costante tensione verso la sperimentazione, gli ha consentito di ampliare il raggio delle sue ricerche musicali, esplorando le intersezioni tra il jazz e sonorità moderne come dub-step, elettronica e le atmosfere nordiche di Esbjorn Svensson e Tord Gustavsen. Dal punto di vista compositivo, i dischi di Morcuf, Erik Truffaz, Cinematic Orchestra e Zero hanno rappresentato una solida base su cui Rollo ha costruito la propria cifra stilistica, come traspariva in modo netto già nell’opera prima “Fluid”, ma anche nel gustoso Ep “Drops” che ha fatto registrare oltre centosessantamila ascolti. A distanza di tre anni dal debutto, ritroviamo il pianista salentino con “Pinwheel”, nuovo album nel quale ha raccolto dieci brani autografi composti e registrati durante il lockdown di marzo 2020 su uno straordinario pianoforte Steinway del 1918. Nel presentare il disco, Rollo afferma: “Il pianoforte nelle mie composizioni è sempre stato punto centrale. E durante il lockdown è stato la mia salvezza. In una notte di quel marzo 2020 ho iniziato a comporre. Solo. Anzi, accompagnato dal pianoforte. Io e Lui. Una danza in due, appassionata. I ricordi dell’infanzia, gli studi di Chopin, Rachmaninoff, Schumann sono riecheggiati nella mia mente, come se volessero ritornare più forte che mai. Un brano dopo l’altro, one take. Questa volta niente melodie a loop, vere e proprie songs, un tema melodico che si sviluppa e ritorna. Un brano legato all’altro in una forma di continuità, sinuoso, avvolgente, quasi infinito”. L’ascolto svela un disco dal sound minimalista solo in apparenza, ma entrando nel vivo di ogni composizione si scopre la ricchezza della sua ispirazione. Quasi fosse una naturale reazione alla solitudine e all’isolamento dei giorni del lockdown, ogni brano avvolge l’ascoltatore in modo totale guidandolo attraverso melodie cantabili dalla tessitura elegante e delicata tanto nei momenti più riflessivi e profondi, quanto nelle aperture più ariose e solari. Significativo in questo senso è anche il titolo del disco che rimanda alla circolarità di una girandola di colori in cui ognuno corrisponde ad una composizione legata a sua volta ad uno stato emozionale. A riguardo, il pianista salentino ricorda: “Quando ero alle prime armi con lo studio del pianoforte, da bambino, sulla finestra di fronte a me ce ne era una, variopinta, sembrava ballasse sulle mie note. Ogni colore rappresentava una diversa emozione”. Si parte con l’amore, il mistero e la magia racchiuse nella trama soffusa di “Violet” per passare alla luce brillante del crescendo di “Yellow” e perdersi nell’azzurro del cielo di una nuova primavera evocata nel singolo “Light Blue”. Se “Blue” incarna il desiderio di serenità ed armonia, la successiva “Orage” è la composizione più eclettica del disco con la prima parte quasi oscura che si scioglie poi in una linea melodica accattivante. Il climax accattivante di “Red” ci introduce alla dolcissima ninna nanna “Lulluby” e a quel gioiellino che è “Green”, uno dei vertici compositivi di tutto il disco. Il gioco dei contrari di “White” e “Black” chiude un disco di grande spessore che rappresenterà certamente un riferimento importante per la produzione artistica futura del pianista salentino.
Salvatore Esposito
Tags:
Contemporanea