Uno dei protagonisti delle stagioni del folk revival emiliano, Maurizio Berselli, consegna un importante lavoro di taglio documentativo e divulgativo sul fenomeno folk revivalistico. Organettista e ricercatore, membro di Suonabanda e Orchestra Buonanotte Suonatori, Berselli ha diretto, tra il 1984 al 1990, lo “STRAbollettino”, un organo informativo “dal basso” attento a quanto avveniva nell’Italia settentrionale e centrale nell’ambito del circuito musicale e coreutico del folk.
Il sottotitolo del volume, “Il folk revival nell’Italia settentrionale e centrale raccontato dai protagonisti”, ne rivela la struttura polifonica, perché Berselli non soltanto si è avvalso di idee condivise (con Roberto Tombesi e Corrado Corradi) ma ha assemblato una messe di testimonianze raccolte dando voce ai musicisti e operatori del settore.
Leggiamo con partecipazione che il libro porta una dedica a Roberto G. Sacchi che per molto anni ha diretto e curato il mensile cartaceo “Folk Bulletin”, che da foglio ciclostilato di riferimento per gli appassionati di folk britannico e irlandese, proprio grazie a un operatore culturale, giornalista e musicista come Sacchi, diventò a tutti gli effetti una rivista di riferimento del movimento folk, finendo per unirsi sinergicamente con lo stesso “STRABollettino”. La malattia ha da lungo tempo allontanato Roberto dalla scena del folk, e tanti artisti che gli sono debitori sembrano averlo dimenticato. A dirla tutta, a chi scrive non ha fatto piacere che in una recente pubblicazione discografica, vincitrice anche di riconoscimenti nell’ambito della canzone d’autore, in cui erano tracciate, pure in ottima sintesi, le diverse stagioni del folk revival italiano il suo nome non sia stato menzionato affatto nel parlare dell’esperienza editoriale di “FB”.
Ad ogni modo, nel discorso della critica giornalistica, di tanto in tanto condivisa anche da studiosi delle musiche popolari, si tende ad attribuire il rinnovarsi dell’interesse verso le musiche di tradizione orale al ruolo influente svolto dal Mediterraneo inventato da Pagani e De André con la pubblicazione di “Creuza de Mä”, (1984) o all’uso di dialetti e di cliché etnofonici da parte delle Posse negli anni Novanta, mettendo completamente da parte, se non rimuovendolo, il percorso autonomo del movimento folk per tutti gli anni Ottanta, che se da un lato era anche debitore nei confronti di ricerche e pratiche dei decenni precedenti, dall’altro procedeva elaborando nuove estetiche in tempi di forti mutamenti nella fruizione e circolazione delle musiche folk e popular. Pur riconoscendo l’onda lunga dell’influenza di “Creuza” sui suoni world italiani, qui parliamo di una diversa filiazione, di un contesto di crescita del circuito dei festival folk italiani (al nord e al centro soprattutto) ed europei che vedono spesso protagonisti una nuova generazione di artisti, come Ciapa Rusa e Tre Martelli (amati nel circuito britannico), Riccardo Tesi (e i Ritmia, che suonano a Vancouver davanti a 10.000 spettatori nel 1987), i Suonofficina (con Mauro Palmas e Elena Ledda), La Macina, Ambrogio Sparagna, Musicalia, Re Niliu. Si assiste alla nascita di riviste specializzate, alla costituzione di centri di pratica e diffusione della danza popolare, si impongono nuovi revival di strumenti (organetto diatonico, in primis, ma anche zampogne, cornamuse e ghironda, solo per citare altri due strumenti iconici, anche legati proprio al bal folk), iniziano a formarsi musicisti più preparati sul piano tecnico, prendono il volo gli studenti usciti dai corsi universitari di etnomusicologia dei “padri” Carpitella e Leydi, questi ultimi sovente non teneri nei confronti del nuovo revivalismo di seconda o terza mano o ispirato dal celtismo, eppure attenti a riconoscere chi andava lavorando con dovizia (penso a Ciapa Rusa, Baraban, Gruppo Emiliano di Musica Popolare). Dunque, si tratta di una stagione fertile, che porta al prosperare di gruppi e artisti, al raccordo tra revival e comunità locali, al revival di feste e rituali popolari, anche per l’intervento di ricercatori e di musicisti locali.
Insomma, se è vero che recenti contributi di antropologi e musicologi (in primis Plastino, Tomatis, Fanelli) hanno finalmente svecchiato una certa idea di folk revival con importanti contributi critici, sembra ancora mancare un’indagine analitica che affronti con dovizia le ragioni estetiche e culturali di quel periodo comunque cruciale per il movimento folk che sono stati gli anni 80-90, che a molti critici sembrano silenti. Perché molte narrazioni sembrano adagiarsi in maniera semplicistica sulla cesura tra il tempo rigoglioso degli anni ’60 e ‘70 e il decennio successivo, assorbito dalla ristrutturazione capitalistica post-fordista, dal cosiddetto riflusso, dalla sconfitta dei movimenti antagonisti e da altri suoni.
Sulla scorta di queste considerazioni non si può che plaudire alla pubblicazione di “Storie Folk” da parte di un autore militante, che si può fare forte della “street credibility” (per usare una locuzione mutuata dall’universo hip hop), che gli conferisce l’auctoritas necessaria per delineare un multiforme scenario sonoro, dove trovano spazio artisti di riproposta che seguono l’idea del ricalco, musicisti che si collocano nell’ambito della continuità con i musicisti tradizionali, quelli che interagiscono con le musiche anglo-scoto-irlandesi, con quelle francesi o che propongono forme creative ispirate alle espressioni di tradizione orale.
Dopo una presentazione dell’etnografo Gian Paolo Borghi, un inquadramento delle radici del folk revival degli anni ’50 e ’60 e un intervento di Gualtiero Bertelli sul canto sociale tra ricerca e nuove canzoni, il volume si rivolge al panorama del “nuovo folk revival” degli anni ’70 e ’80 nell’Italia settentrionale e centrale, passa in rassegna il fenomeno della danza e degli stage residenziali, i concerti e i festival, focalizza alcuni strumenti e le riviste specializzate. E qui dobbiamo gioco forza fare un appunto, considerato che non c’è traccia del magazine “World Music” (in seguito “World Music Magazine”), che sebbene è un periodico nato nel 1991, comunque rappresenterà un’esperienza editoriale duratura e di alto profilo scientifico-divulgativo per le musiche folk, trad e world. Naturalmente si parla di case discografiche e di radiofonia non di stato, con alcune figure centrali il cui ruolo nella divulgazione musicale delle musiche di tradizione orale non è stato di poco conto. C’è poi la rassegna dei protagonisti regione per regione, dal nord al centro e scendendo – e purtroppo lì arrestandosi - al Lazio. Sono scandagliati profili di musicisti, gruppi, ricercatori ed operatori culturali in quella che si snoda come lettura tanto sintetica quanto puntuale. Tuttavia, a mancare è proprio una riflessione che provi a analizzare le molte dimensioni della composita fonosfera delle musiche di ispirazione tradizionale degli anni Ottanta e Novanta: credo si tratti di un’urgenza musicologica e culturale inderogabile.
A sottolineare la centralità dell’aspetto aggregativo di musica e danza, l’ultimo capitolo del lavoro di Berselli focalizza il fenomeno del bal folk e della “mazurka clandestina”, entrando quindi nel variegato interesse verso le danze popolari maturato negli ultimi decenni non solo in Italia ma in gran parte d’Europa.
Un qrcode consente di accedere direttamente ai siti dei testimoni, mentre la USB card allegata contiene fotografie, schede, siti web, locandine, manifesti e riferimenti alle case discografiche.
In definitiva, “Storie folk” va accolto come imprescindibile punto di riferimento per chiunque, da appassionato o da studioso, voglia conoscere di più il fenomeno o intenda intraprendere sempre più necessari percorsi di ricerca sugli scenari contemporanei delle musiche trad e folk in Italia. Info su www.artestampaedizioni.it
Ciro De Rosa
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