Sono dell’idea che in sedi come questa sarebbe più opportuno occuparsi quasi esclusivamente di novità discografiche ma è auspicabile che nessuno se ne abbia a male se questo scritto è dedicato ad un album uscito poco più di un anno fa. Si tratta infatti del lavoro più recente di un artista che merita assolutamente di essere conosciuto anche dal pubblico nostrano, specialmente quello attratto dal folk o dalla musica celtica.
Jim Malcom è infatti un veterano della scena musicale scozzese ed è considerato da sempre una delle voci più belle e calde che si possano rinvenire al di là del Vallo Adriano. Oltre ad essere stato per diversi anni il cantante dei rinomati Old Blind Dogs, come solista ha realizzato circa una dozzina di album (compresi i due registrati dal vivo, l’ultimo in quel di Perth) e si esibito con regolarità non solo in Australia ma anche negli USA e diversi paesi europei. Nel corso della sua carriera personale, avviatasi discograficamente nel 1995, l’anno prima di entrare a fare parte di quel gruppo, si è perlopiù cimentato con materiale derivato dalla vasta tradizione musicale scozzese ma non ha mai mancato di proporre anche sue composizioni originali dimostrandosi una penna sensibile e dotata. Di norma si accompagna alla chitarra acustica, in cui mostra un buon tocco, talvolta lievemente percussivo e apparentemente privo di un’ostinata ricerca di virtuosismi ma ideale per armonizzare le complesse ed intricate melodie del suo canzoniere. Ma la sua caratteristica peculiare, ed assolutamente unica, è che da sempre, sia dal vivo che su disco, lo si trova contemporaneamente impegnato anche all’armonica a bocca: il modo in cui usa questo strumento tuttavia è lontano a dir poco anni luce da quel che fanno molti colleghi cantautori e dona grande ricchezza ad ogni esecuzione poiché il suo utilizzo lo rende molto più simile, nel suono e nelle intenzioni, al suono proprio di una concertina.
Da qualche anno l’artista ha cominciato a lavorare su basi stabili insieme alla propria consorte, Susie (Allan), la quale non è propriamente una novizia avendo all’attivo un album a proprio nome, “Tipsy Courting” pubblicato nell’ormai lontano 1998, prima che le esigenze famigliari probabilmente la costringessero a dedicarsi a ben altro (i due coniugi hanno una figlia, anch’ella cantante).
L’accoppiata di una voce maschile ed una femminile ha spinto qualcuno oltremanica a dar luogo a paragoni con Richard & Linda Thompson ma il confronto, a mio modesto parere, appare piuttosto forzato: prima di tutto differente è il repertorio ma soprattutto lo sono le voci, così calda e profonda quella di Jim tanto da farne in assoluto uno dei migliori cantanti folk scozzesi, sottile e delicata quella di Susie, e quindi perfette per incastrarsi fra loro e dar vita ad armonie molto efficaci. Diverso è anche l’approccio, specialmente in questo album dove uno dei coniugi canta la prima strofa da solo alternandosi nelle successive alle due voci in coppia, una rotazione che si riscontra ovunque tranne che nel brano di origine più recente incluso in questo disco, “John C. Clark”, una composizione di Karine Polwart (ex Malinky ed oggi apprezzata cantautrice) eseguita dalla sola Susie (e qui suo marito, essendo libero da impegni vocali, fa davvero faville al controcanto con la sua armonica).
The Berries” è il secondo album del duo e non si discosta di molto nell’insieme dal precedente, il non meno riuscito “Spring Will Follow On” del 2017. Anche in questa più recente pubblicazione ci sono soprattutto brani della tradizione scozzese oppure provenienti da autori a questa molto prossimi, come Hamish Henderson” (John MacLean’s March”), Belle Stewart (“The Berry Fields o’Blair”), Ewan MacColl (“Come A’Ye Fisher Lassies”) e, inevitabilmente i due sommi poeti di Scozia, Robert Burns e Robert Tannahill (rispettivamente “Lassie Lie Near Me” e “Gloomy Winter”). Gli arrangiamenti sono estremamente vari e rendono l’ascolto assai gradevole perché agli strumenti di Jim, che già sarebbero stati sufficienti per supportare le due voci, si sono aggiunti quelli portati da Pete Clark (violino), Dave Watt (tastiere) e l’ex Capercaillie Marc Duff (bodhrán e tin whistle). Susie inoltre suona l’arpa scozzese (clarsach) in “The Banks of Inverurie”, da lei descritta nelle note come una sorta di “folk song miracle” poiché sembra una delle poche ballate tradizionali ambientate sulla riva di un fiume che non termina in tragedia. In altre tre canzoni invece spicca l’intervento di una tromba ma, non essendo rinvenibile nel booklet alcun musicista accreditato a tale strumento, c’è da supporre si tratti di un campionamento; il risultato però non è affatto da disprezzare e di certo aggiunge più che detrarre alla diversità ed al valore dell’opera che restano infatti molto elevati.
Infine è da sottolineare la scelta delle canzoni in quanto si dipana fra brani più lenti, e talora drammatici, ad altri dall’incedere un poco più ritmato, e nondimeno perché diverse di queste, specie quelle che hanno un autore, appaiono legate da una sorta di filo conduttore che riguarda la gente comune, il lavoro, la vita quotidiana ed altre storie di assortita umanità. E’ doveroso a tal proposito una particolare menzione per l’iniziale “The Berry Fields o’ Blair”, che rievoca la storia dei lavoratori immigrati nel nord della Scozia, l’altrettanto succitata “John MacLean’s March” – dedicata ad un insegnante, oratore ma soprattutto rivoluzionario socialista, particolarmente attivo a cavallo fra i due secoli precedenti come fervido sostenitore dei diritti e il benessere delle classi più deboli – e infine “Lonely in the Bothy”; quest’ultima proviene dal padre di Susie, Charlie Allan, e racconta la sua esperienza di solitudine, propria dei giovani braccianti scapoli alloggiati di consuetudine in piccoli casolari tipici delle lande celtiche (chiamati appunto “bothy”), non sempre adiacenti alle fattorie. Questa ed altre immagini di rurale sono magnificamente illustrate anche dalla copertina e le belle foto che appaiono nel libretto di in “The Berries”, un piccolo ma prezioso scrigno di emozioni, voci e melodie assolutamente da scoprire, come la coppia che lo ha realizzato.
Massimo Ferro
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