Pino Marino – Tilt (O’Disc/Pineta Produzioni, 2020)

Sin dagli esordi agli inizi degli anni Novanta, Pino Marino si è segnalato come un cantautore dalla originale cifra stilistica, frutto di un articolato background culturale ed artistico come dimostrano i suoi primi passi discografici mossi “Dispari” del 2000 e “Non bastano i fiori” del 2003, entrambi pubblicati dalla NuN Entertainment, e seguiti dal pregevole “Acqua Luce e Gas” del 2005. Limitare l’attività del cantautore romano al solo songwriting è, però, riduttivo in quanto, la sua natura eclettica, lo ha condotto a vestire anche i panni dell’operatore culturale con l’Associazione Apollo 11 e l’Orchestra di Piazza Vittorio, nonché a fondare nel 2008 il Collettivo Angelo Mai e nel 2011 il Collettivo del Pane con i quali ha dato alle stampe due album. Non è tutto, perché, parallelamente ha coltivato anche la sua attività di autore per colleghi come Niccolò Fabi, Nicki Nicolai & Stefano Di Battista Jazz Quartet, Carlo Valente e Agnese Valle, ha collaborato alla produzione di diversi spettacoli, ma soprattutto ha intersecato più volte il suo percorso con il teatro firmando le musiche delle pièce Uno Zio Vanja” (ricontestualizzazione dell’opera di Cechov) e “I Soliti Ignoti” (dal film omonimo di Mario Monicelli) per la regia di Vinicio Marchioni con il quale ha lavorato anche al docu-film “Il terremoto di Vanja”. A distanza di cinque anni da quel gioiellino che era “Capolavoro” del 2015, Pino Marino torna con “Tilt”, quinto album in carriera e che celebra il traguardo dei vent’anni di carriera. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la genesi e le ispirazioni alla base di questo nuovo lavoro. 

"Tilt" è il tuo quinto album in carriera e rappresenta l'espressione più compiuta e matura del tuo songwriting, sospeso tra la leggerezza di certi arrangiamenti e la profondità delle riflessioni racchiuse nei testi. Ci puoi raccontare come nasce questo disco?
Io scrivo sempre, prendo appunti e metto le mani sul pianoforte tutti i giorni. Che siano a me destinate o poi affidate ad altri interpreti, le canzoni o la loro forma in bozza, finiscono in un cassetto senza serratura. Quando nasce un filo conduttore narrativo, apro il cassetto e pesco quelle in grado di camminarci sopra in equilibrio e a quel punto scrivo ciò che manca per arrivare all’altro capo del filo. Anche Tilt nasce in questo modo. E ti ringrazio per aver riservato a questo nuovo lavoro, la considerazione e le parole espresse in apertura di domanda.

Qual è stato il percorso che ti ha condotto a "Tilt"?
La necessità di raccontare un filo apparso con alta definizione. L’Arte è l’industria pesante di questo paese, anche se i suoi governanti tendono a non valutarlo adeguatamente, quindi gli artisti sono anche (nella quota che gli spetta) i suoi imprenditori e i suoi politici. Raccontare il nostro capitolo storico fatto di grandi contraddizioni sociali, di decadenza culturale, di comunicazione risibile e modi interpersonali a dir poco confusi, è un dovere istintivo di chi in questo contesto vive nella qualità di “carburatore”. E un carburatore assorbe (anche impurità), filtra e riproduce un moto da ciò che il circostante ha portato nel serbatoio. Tilt rappresenta il fine corsa di tutto quello che a saturazione è stato condotto, ma all’interno del Tilt esiste sempre il punto esatto di rinascita: vedi copertina dell’Album. E detto per inciso, lo scatto di Emad Nassar “Gaza Bath Time”, è stato concesso dall’autore perché fosse parte integrante di questo lavoro.

Quali sono le differenze con i tuoi album precedenti?
Il dover dimostrare sempre meno. Il tempo che passa è tiranno da un lato e liberatorio dall’altro. Le responsabilità aumentano così come crescono le consapevolezze, quindi il bilanciamento fra queste cose produce uno sganciamento fra quello che vorremmo arrivasse agl’altri (necessità tipica degl’anni riservati ad un piazzamento e alla collocazione sul mercato) e quello che invece indipendentemente da questo, è semplicemente ciò che è. Che poi io abbia amato le condizioni precedenti così come amo quella attuale, mi spinge a credere che sarò disposto ad amare quelle future (che per ora, ovviamente, ignoro). Gli arrangiamenti poi sono figli della ricerca legata ai tempi in cui viene praticata.

Dal punto di vista degli arrangiamenti come si è indirizzato il lavoro con Pino Pecorelli?
La produzione del disco in studio è stata affidata a Fabrizio Fratepietro, grande musicista, amico e collaboratore storico. Lavorare con lui e arrangiare Tilt insieme, è risultata essere al tempo stesso una zona di confort e una zona di sollecitazione fortissima. Pino Pecorelli è il terzo componente dello storico Trio e anche con lui il confronto diretto è tornato ad essere fondamentale, rinnovato e attivo.

Il titolo rimanda alla situazione attuale della nostra epoca. Nella presentazione del disco scrivi che "siamo ad un bivio collettivo di rottura", un momento in cui sono necessarie delle scelte per riprendere a vivere in un modo diverso. Come hai maturato il concept alla base del disco?
La maturazione è solo consapevolezza. E solo la consapevolezza spinge all’urgenza di raccontare il disastro con scrupolo senza omettere la via praticabile verso una nuova destinazione. Questo avviene singolarmente in ogni traccia dell’Album, ogni canzone contiene un Tilt e nella stessa canzone esiste la visione e la proposta che sposta verso l’uscita e automaticamente verso una nuova entrata.

"Calcutta", singolo che ha anticipato il disco, è senza dubbio uno dei brani emblematici del disco per il susseguirsi in ogni verso di immagini che rimandano alla nostra contemporaneità, dal dramma della guerra evocato anche nella copertina, alle ambulanze che attraversavano le nostre città durante i giorni del lockdown a marzo. Come nasce questo brano?
Calcutta, più che come una canzone l’ho concepita come un film per immagini indotte (indotte dalle parole), sulle quali poi Marco Arturo Messina ha costruito un altro vero e proprio film, divenuto il video ufficiale di questo primo singolo estratto. Calcutta è un’invettiva contro il degrado umano, narrativo, di modo e culturale che la mia città rappresenta. Questo però è stato solo un pretesto di partenza, perché anche le immagini del regista poi hanno coinvolto mezzo mondo, quel mezzo mondo che si riscatta sempre e solo con un linguaggio poetico. La poesia è la salvezza anche di chi non la conosce per come intesa.

In "Pensiero Nucleare" ritorna il tema della guerra, della corsa al nucleare e quello dell'uranio impoverito che ha causato la morte di tanti soldati impiegati per le "missioni di pace" e in contrasto nella seconda parte elenchi gli stereotipi del nostro piccolo mondo dalle borracce ai motorini truccati. Sarebbe suggestivo che ci raccontassi le ispirazioni alla base di questo brano...
Questa è la canzone che considero più “leggera” nel modo di porsi, anche se pure nella leggerezza non mi sono tirato indietro dal raccontare una sostanza. Ed è l’unica canzone con un tributo sonoro e umorale ad uno dei nostri maggiori riferimenti nel panorama della canzone moderna italiana: Lucio Dalla. La ragazza con il violino e i guantoni da box è mia figlia e le “generazioni che generano nazioni fuori le stazioni” o che cavalcano un cellulare al posto del nostro motorino generazionale, sono loro e per loro intendo quelli della sua generazione, che dell’uranio impoverito sanno veramente poco solo perché tirato via dalle mode che la comunicazione di mercato esercita e impone.

Il ritratto di "Caterina Volentieri" apre uno spaccato sul mondo dei giovani, le loro insicurezze e fragilità. Questo brano è legato ad una persona in particolare oppure ogni riferimento a fatti o persone è da ritenersi casuale?
Caterina esiste veramente e si chiama proprio così, anche il bancone anonimo di quel Bar esiste e il compagno di Caterina (suo compagno in quel momento) è un personaggio noto. Questa è la ragione per cui non aggiungerò mai altro rispetto a quanto già detto, io mi sono solo limitato ad osservarli, non sapendo in diretta che osservarli mi avrebbe portato a scriverne. 
Ma io, noi, questo facciamo: osserviamo e raccontiamo.

Altro ritratto è quello di "Maddalena" che canti in duetto con Ginevra Di Marco. Ci puoi raccontare questo brano?
Questa è l’occasione in cui Maddalena decide di raccontare il suo Tilt, il momento esatto in cui a lei è saltato tutto ed è cambiata la vita. Decide di raccontarlo proprio a quelle due signore che pregandola, la osservano fra i fiori di una nicchia. Cosa racconta e perché, sta nella canzone e quindi non ne parlerò ora. Ma per quel ruolo (io nella canzone sono solo il narratore al suo fianco) occorreva una personalità e una voce femminile, pulita, limpida ed emotiva ma senza enfasi. L’ho trovata in Ginevra, che abbraccio e ringrazio.

Nel disco torna spesso il tema della libertà, quasi a voler evidenziare che la nostra libertà è solo apparente e che, in fondo, non siamo liberi come canti ne "La statua della libertà"...
La libertà non porta il nome di nessuno, nessuno l’ha mai avuta e nessuno mai l’avrà, anche se in molti l’hanno presa e consumata in processione ai fari spenti della loro disumana verità. Anche il mare libero non è, e come un dito di caffè è contenuto in una tazzina, lui vive e si agita solo raccolto in una tazzina molto più grande. Ti ho risposto con le parole della canzone, credo le più adatte a farlo.

Altro vertice del disco è "Roma Bella" che hai scritto per Tosca che ne regala una interpretazione magistrale. Com'è nata questa collaborazione?
Questo è un altro capitolo fondamentale. Questa canzone fa pace con la mia città e fa da contraltare all’invettiva contenuta in Calcutta, che apre il disco. In questa canzone c’è un patto fra donne, la protagonista e la sua città. Un patto così consapevole e forte da essere in grado di riscrivere il finale di una storia già scritta. E solo Tosca avrebbe potuto interpretare questa parte. Solo lei. Le ragioni sono nella canzone. Con Tiziana ci conosciamo da anni e da anni teniamo nel mirino la stima e la considerazione reciproche.

Il disco si conclude con "Tilt" che vede alla voce recitante Vincio Marchioni con cui tu hai lavorato anche in altri progetti. 
E' un po' la summa di tutto il disco, una sorta di outro teatrale. Quanto sono state importanti nel tuo percorso le intersezioni con il teatro al livello narrativo?
Molto. Il teatro è luogo di vita diretta, un luogo sacro e laico dove mettiamo in scena le prove e i tentativi più disparati del nostro campare. Ha un’importanza vitale. Gli anni in cui non ho prodotto dischi, li ho utilizzati per lavorare per, con, sul e nel teatro. La collaborazione con Vinicio poi è ormai un sodalizio privilegiato. Abbiamo realizzato (lui come regista ed io come compositore delle musiche originali) “Uno Zio Vanja” di Checov, con un micidiale adattamento testuale e temporale di Letizia Russo. Abbiamo realizzato il film “Il terremoto di Vania” e messo in scena “I soliti ignoti”, la prima versione teatrale del film omonimo di Mario Monicelli. Anni di fortunate tournee e tantissimi teatri pieni di entusiasmo (il tutto momentaneamente sospeso il 7 marzo del 2020 per questo piccolo incoveniente pandemico di cui avrete sentito parlare). A Vinicio ho affidato la rilettura di tutti i Tilt verificatisi canzone per canzone, il risultato è lì, sta nella traccia 10 del disco di cui stiamo parlando.



Pino Marino – Tilt (O’Disc/Pineta Produzioni, 2020)
Nel gioco del flipper, il tilt è la reazione di sistema che attraverso un contatto elettrico interrompe il gioco in seguito ad una mossa scorretta da parte del giocatore. Questo termine inglese, usato anche in riferimento ai dispositivi elettrici, e scelto da Pino Marino come titolo del suo quinto album in carriera, racchiude e sintetizza perfettamente il concept alla base dei dieci brani in scaletta. Si tratta, infatti, di un affresco in musica dei nostri tempi in cui abbiamo perso ogni certezza e punto di riferimento, un periodo storico, in cui proliferano intolleranza razziale, conflitti bellici ma anche politici, ideologici, economici e sociali, e nel quale ci troviamo di fronte alla scelta di ripensare o meno la nostra esistenza per riprendere a vivere in modo completamente differente. Il cantautore romano si interroga e ci interroga su ciò che la nostra società è stata e ciò che è oggi ma soprattutto quali sono le sue prospettive future. Significativa in questo senso è anche la scelta di utilizzare come copertina la foto scattata da Emad Nassar nel 2015 dal titolo “L’ora del bagnetto, Gaza” e che ritrae Salem Saoody mentre sta facendo il bagno a sua figlia Layan e sua nipote Shaymaa nella vasca da bagno, unico pezzo della casa rimasto illeso dai bombardamenti. Prodotto da Fabrizio Fratepietro (batteria, vibrafono, basso moog, synth, programmazione) ed arrangiato con quest’ultimo dallo stesso Pino Marino (voce, pianoforti, CP80, moog, synth) con la collaborazione di Pino Pecorelli (basso elettrico e contrabbasso), il disco vede la partecipazione di Giovanna Famulari (violoncello), Fernando Pantini (chitarre), Vincenzo Vicaro (sax baritono), Roberto Angelini (voce) e Agnese Valle (controcanti) ed è impreziosito delle voci di Ginevra Di Marco, Tosca e Vinicio Marchioni. Rispetto ai precedenti, questo nuovo album rappresenta il vertice della produzione artistica di Pino Marino sia dal punto di vista musicale sia da quello prettamente compositivo, ma soprattutto coglie i diversi ambiti artistici in cui si muove spaziando dal songwriting al teatro passando per la sua attività di autore. Ciò che non è mutata è quella capacità di Pino Marino di affrontare lo storytelling con quel rispetto che si deve al gioco, quella leggerezza che sottende riflessioni profonde e che rappresenta la peculiarità principale del suo songwriting. L’ascolto svela un disco frutto di un intenso lavoro compositivo in cui ogni elemento narrativo è contestualizzato dal punto di vista musicale con arrangiamenti originali nel quale atmosfere acustiche ed elettriche si intersecano armonicamente con l’elettronica dei synth. L’ascolto dei vari brani passa attraverso i diversi tilt che caratterizzano la nostra epoca, cortocircuiti che Pino Marino racconta per immagini, istantanee evocative che si susseguono di verso in verso, lasciandoci intravedere la speranza in un restart, una rivoluzione copernicana necessaria per ambire ad un futuro diverso e migliore del nostro presente. Si parte con il primo singolo estratto dal disco, quella “Calcutta” che ci ha sorpreso sin dal primo ascolto per il suo ritmo trascinante ed incisivo, per il sound moderno e classico al tempo stesso e per la straordinaria capacità affabulativa del suo testo distopico ed attualissimo. Il ritmo si fa meno sostenuto con “Pensiero nucleare” il cui fischiettare iniziale sembra fare da preludio ad un brano meno impegnato invece con l’ingresso dell’elettronica cominciano a susseguirsi riflessioni profonde sui giovani la cui attenzione è rapita da cose futili. Il bel ritratto di “Caterina volentieri” colorato dall’elettronica e dai synth ci introduce alla “La statua della libertà” nella quale Pino Marino ci regala uno dei testi più intensi con il lirismo del verso: “La libertà non è restare soli o avere tempo, la volontà dei fatti lega l’edera al cemento, la parola che non ha radici fa grammatica nel vento.” Un altro ritratto è il duetto con Ginevra Di Marco in “Maddalena” nelle cui trame chiaroscurali è racchiuso tutto il dolore della protagonista per la perdita di un amore. La sequenza con le introspettive “Io non sono io” e “La mia velocità” e la sofferta “Crepacuore” fa da preludio alla struggente “Roma Bella”, altro vertice del disco, in cui la scena è lasciata alla voce di Tosca che ci regala una interpretazione superba, accompagnata dal piano e dal violoncello di Giovanna Famulari. E’ una dedica a Roma, brano che ritorna spesso nelle pieghe dei vari brani, e che qui è ritratta in tutta la sua bellezza e il suo fascino ma anche nelle contraddizioni più intime che la caratterizzano. Chiude il disco il recitato “Tilt” in cui la voce di Vinicio Marchioni raccoglie i frammenti dei vari brani e ne fornisce una narrazione unitaria, un congedo perfetto per un disco di grande spessore da tenere in conto per le prossime Targhe Tenco.


Salvatore Esposito

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