Ezio Guaitamacchi ci ha da tempo abituati a resoconti densi di informazioni, organizzati con sapienza e passione, strutturati in modo da concentrare l’attenzione del lettore sugli elementi fondamentali. Ha seguito questo metodo per trattare soprattutto le storie della storia del rock. In alcuni casi analizzandole nello specifico, avvicinando cioè un tema unico per osservarlo non solo attraverso ma anche dentro gli esiti più significativi. In altri casi le storie sono state analizzate nel loro insieme, nel flusso che gli elementi che le compongono costruiscono - più o meno direttamente - con l’argomento principale. A metà strada tra questi due approcci possiamo ascrivere dei resoconti inquadrati in una specializzazione metodologica, in un affinamento dell’indagine, nella quale l’autore definisce la traiettoria di uno sguardo trasversale. Qui le informazioni sono selezionate in base alla loro pertinenza con un argomento, come in alcuni dei volumi pubblicati con Hoepli: “Rockfiles. 500 storie che hanno fatto storia”, “Atlante rock. Viaggio nei luoghi della musica”, “Rock e arte. Copertine, poster, film, fotografie, moda, oggetti” (curato con Leonardo Follieri e Giulio Crotti). E, appunto, “Amore, morte & rock’n’roll. Le ultime ore di 50 rockstar, retroscena e misteri”, in cui l’autore fa i conti con la fine di alcuni degli artisti più importanti del Novecento. In questo contesto la prospettiva abbracciata da Guaitamacchi è molto ampia. Difatti, da un lato riferisce, con il supporto di dati storici e di cronaca, delle morti “leggendarie” (che ovviamente ci si aspetta di trovare nel volume) di numi tutelari come Jimi Hendrix, Brian Jones, Jim Morrison, Janis Joplin, John Bonam. Dall’altro, ci avvicina più alla contemporaneità (si parla di Emy Winehouse, Prince, Tom Petty, Dolores O’Riordan, Avicii) e, attraverso riflessioni organizzate in “raccolte” che aiutano il lettore a fare ordine nel processo di umanizzazione delle rock star (le cui morti, a seconda delle circostanze, confluiscono in categorie come “Rock’n’roll suicide”, “Leaving on a jet plane”, “Blood Brothers”, “Psycho killer” e “The needle and the damage done”), contribuisce a comprendere la complessità dei differenti contesti che siamo soliti osservare solo attraverso la musica. Questo aspetto metodologico colpisce, non solo perché traccia una linea netta tra la vita (le canzoni, la musica, l’arte, la visione) e la morte (i nuovi significati che assumono le canzoni e la musica, il vuoto dei luoghi e degli spazi, segnati inesorabilmente dai corpi di chi li occupava e ne determinava significato e valore), ma perché restituisce la complessità delle relazioni, la fatica del lavoro, la tenacia necessaria in una professione, la passione verso ciò che si fa (o che, come molti credono in relazione ai semidei del rock’n’roll, si è chiamati a fare). La parola “amore”, che campeggia nel titolo in supporto di quelle più forti e caratterizzanti, ha anche lo scopo di restituire autonomia alla vita di questi personaggi, riflettendone soprattutto l’aura, la forza, il messaggio in un più condiviso e comprensibile corso delle cose (“La morte serve a farci capire quanto amore ci ha legati alla persona scomparsa”, ci dice Laurie Anderson). Certo, vi è l’amore intenso, inteso come forza incontrastabile che travalica e amplifica il talento di artisti come John Lennon, Lou Reed, Leonard Cohen. Ma vi è soprattutto la traiettoria della vita piena e illuminata dal sentimento, dalla sensibilità, dalla passione.
Vi sono vite asportate e liberate dalle strutture strette della celebrazione di massa, e riconsiderate (come quelle di tutti noi) nel novero dei valori fondamentali che ci fanno andare avanti. Questo è uno dei contributi più importanti del volume, sul quale Guaitamacchi ha lavorato a fondo, organizzando una struttura narrativa onesta, sempre scoperta. Una narrazione che, nello stesso tempo in cui indaga i dettagli delle morti dei grandi artisti, restituisce alla storia e a noi contemporanei la profondità e l’ampiezza dei loro sguardi e delle loro vite. Ecco ciò che emerge con forza dal libro, oltre i dettagli, le analisi, le verifiche: la potenza delle persone di cui tratta. Una potenza non scalfita dalle indeterminatezze del contesto in cui sono vissute (Keith Moon “oggi verrebbe diagnosticato come persona affetta da disturbo bipolare - e come tale assistito”), né dall’umanità delle loro morti (“anche le infauste fini delle rockstar sono inscindibilmente legate ai loro grandi amori. O all’ancora più tragica e buia assenza dei medesimi…”). Ma eternamente presente, come spiega l’autore nelle prime pagine, nelle loro opere. Che vivranno in eterno.
Daniele Cestellini
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