Il Nilotika Cultural Ensemble coltiva a Kampala (Uganda) i ritmi e le percussioni ugandan: l’engalabi (imparentato col djembé), i namunjoloba (piccoli tamburi dal suono acuto), l’empuunyi (insieme di grosse casse dal suono grave), l’ensaasi (sorta di shaker). Complice il locale festival Nyege Nyege, nel 2017 hanno incontrato e hanno cominciato a suonare con Jacob Maskell-Key (Spooky-J), batterista e produttore, e Peter Jones (pq), ingegnere del suono e tastierista, alfieri della techno inglese. Il dialogo fra le cupe sciabolate techno e le ossessive ondate del quartetto di percussionisti - formato da Alimansi Wanzu Aineomugisha, Jamiru Mwanje, Henry Isabirye e Henry Kasoma - ha funzionato e già nel 2018 e nel 2019 ha prodotto i primi due EP (per l’ugandese Nyege Nyege Tapes): “Nihiloxica” e “Biiri”. Il sestetto ha preso il nome di Nihiloxica e l’anno scorso l’etichetta Crammed ha colto al volo l’occasione di un concerto a settembre, in cui hanno suonato al Printworks di Londra prima di Aphex Twin, per portarli a registrare a Bradford, nello Yorkshire, il loro primo album. Il titolo è “Kaloli” che nella lingua luganda indica la specie marabou delle cicogne ed è diventato il simbolo del gruppo. A Kampala è un uccello che si può notare sui rami degli alberi. Spesso sono impegnati a nutrirsi nelle discariche a cielo aperto, organizzati in stormi nelle aree periferiche, lontani dai luoghi naturali da cui provengono, adattati ad una vita ai margini della città. Ma i Nihiloxica ci tengono a sottolineare che «una volta che si librano in aria, questi uccelli enormi sanno rivelare la loro grazia e, in questo senso, offrono una metafora del gruppo. Come per il kaloli, la nostra musica nasce da uno strano rimescolamento, da un tumulto, ma si protende verso un bel volo».
A Bradford, negli studi Hohm, con Ross Halden hanno registrato otto tracce. I membri del Nilotika Cultural Ensemble sintetizzano così l’esperienza: «Registrare in trasferta è stata una bella sfida. Fino ad allora eravamo abituati ad altri ritmi, più rilassati. Ci siamo ritrovati molto sotto pressione di fronte ad uno studio di registrazione europeo dove ogni giornata conta. Ma è stata anche una tappa necessaria, avevamo bisogno di andare oltre Kampala per poter contare su una produzione più rilevante, pur senza rinnegare nulla di quello che abbiamo registrato nei nostri primi due EP. Certo, quando abbiamo registrato i nostri primi quattro brani, quelli usciti nel 2018, l’abbiamo fatto in un soggiorno: questa volta volevamo un grande suono».
Nelle registrazioni per la Crammed a Bradford Alimansi Wanzu Aineomugisha, Jamiru Mwanje, Henry Isabirye e Henry Kasoma hanno percorso idealmente con i loro ritmi diverse regioni ugandesi, da Busoga ad est, a Bwola al nord alla regione centrale, Buganda. A questi ritmi incalzanti Jacob Maskell-Key ha sposato la sua batteria elettronica, mentre il sintetizzatore di Peter Jones ha aperto nervose perturbazioni per un risultato che è al tempo stesso carico di energia e di inquietudine. La voce umana non è contemplata in questo amalgama, se non come veloce e quasi casuale tendina, a segnalare il passaggio fra le tre isole di cui si compone il disco grazie all’inserimento, fra le otto tracce prodotte in studio, di tre brevi registrazioni dal vivo identificate con un numero che è probabilmente la data di registrazione (ad agosto 2019). In questo modo, l’apertura, scura, è affidata alla tensione fra sintetizzatore e percussioni di “Supuki” e “Tewali Sukali”; mentre la seconda isola riparte dal solo ensemble percussivo protagonista in “Gunjula” e “Black Kaveera” con il sintetizzatore e la batteria elettronica a ricavare atmosfere, più quadrate, da club; ed, infine, la terza isola di quattro brani, quelli che sfoderano la maggiore varietà di percorsi e timbri percussivi, con “Salongo” che apre una finestra di minimalismo e “Bwola” che proprio in coda al brano più espressamente techno mette una voce, di passaggio, per poi letteralmente spegnerla a favore della terza traccia di suoni ambientali dedicata a suoni di flauto, un sentiero verso un pianeta diverso.
Alessio Surian
Tags:
Africa