Francesco Di Cristofaro – Vardapet Komitas. Piano Works (1906-1911)/Antonello Paliotti – Long Shadows (Le Ombre Lunghe) (Da Vinci, 2019)

Omaggiano Leonardo l’etichetta discografica e le edizioni musicali con sede a Osaka, in Giappone. Da quando è nata (nel 2015), la Da Vinci realizza produzioni di gran classe, ascrivibili, in linea generale e con tutti i distinguo, ai repertori classici, jazz e contemporanei. Due significative pubblicazioni targate 2019 portano la firma di artisti campani. Partiamo da Francesco Di Cristofaro, originario di Sant’Arpino, a metà strada tra Napoli e Caserta, musicista versatile, polistrumentista (flauti, oboi popolari, cornamuse, pianoforte) di formazione colta con approfondimenti nelle musiche tradizionali extraeuropee. È attivissimo in molti progetti artistici (Brigan in primis), sia da protagonista che da session man. Al piano solo, Di Cristofaro propone i lavori di Vardapet Komitas, personalità di indiscusso valore, la cui vicenda umana è stata davvero tragica. È stato un compositore e studioso del patrimonio musicale armeno, che si adoperò per custodire e diffondere. Ricordiamo i lusinghieri concerti parigini del 1906, in cui Padre Komitas presentò le “Sei danze” che tanto impressionarono Debussy e suscitarono, poi, l’interesse di Stravinskij. Racconta Di Cristofaro: «Mi sono avvicinato alla musica armena attraverso i workshop di duduk tenuti dal maestro Gevorg Dabaghyan alla fondazione Cini di Venezia. Da allora ho iniziato a studiare il duduk e il mondo musicale armeno e, inevitabilmente, sono arrivato alla conoscenza di Komitas. Tra il 1899 e il 1903 viaggia attraverso tutto il Caucaso, raccogliendo, analizzando e pubblicando canti e melodie popolari, soprattutto di area armena. Decide di trascrivere per pianoforte una parte di queste melodie, sia per una maggiore diffusione sia per avvicinarle il più possibile al mondo occidentale, con il quale da sempre è stato in contatto». Dalle pagine pianistiche di Komitas il musicista campano ha selezionato le “Sette canzoni”, i “12 pezzi per bambini su temi popolari”- frammenti di melodie popolari pensate a scopo didattico e divulgativo sulla scorta del solco pedagogico di contemporanei come Bartòk e Khachaturian - e la sequenza delle sei “Folk Dances”, che per Di Cristofaro sono « il suo più importante e articolato lavoro, in cui Komitas cerca di simulare al pianoforte sia le ritmiche di alcune danze dell’area armena sia i linguaggi dei vari strumenti come dhol, svhi e tar». Sul piano esecutivo Di Cristofaro ha voluto, da un lato, conservare la motivazione principale di Komitas di riproporre sullo strumento temperato i linguaggi del canto, delle ritmiche e di alcuni strumenti della tradizione popolare armena, dall’altro «inserire sempre con rispetto e attenzione la mia personalità e il mio gusto artistico cercando di dare un colore nuovo». In tal senso, va inquadrato anche l’inserimento nel palinsesto di “Nairi”, suite originale in sei movimenti che il pianista ha composto in omaggio ai modi della musicalità armena e alla figura dello stesso Komitas che coniugava classicismo occidentale ed espressività tradizionale. Nel complesso, un’onesta, ispirata e intrigante proposta discografica che focalizza un universo sonoro fascinoso da non trascurare. 
Musica popular brasiliana, jazz, immaginario cinematografico, classicismo e stilemi folklorici si incontrano nel secondo album che passiamo in rassegna: si tratta del vivido e intenso “Long Shadows (Le Ombre Lunghe)”, programma di soli per chitarra e di opere cameristiche a firma di Antonello Paliotti. Chitarrista, compositore e orchestratore, da tempo collaboratore di Roberto De Simone per il quale ha sistematizzato tante partiture, Paliotti ha scritto musica per Michael Brecker e Hamilton de Holanda, ha incontrato, tra gli altri, l’esplosivo mondo di ‘E Zezi, la creatività dell’Art Ensemble of Chicago, ha realizzato, inoltre, produzioni con il San Carlo di Napoli, l’Opera di Lione e quella di Madrid. Un musicista nobile per idee e stile, per raffinatezza sonica, eleganza compositiva ed eccellenza tecnica, personalità a tutto tondo, fortemente interessata alle musiche di tradizione orale (non solo della sua area di provenienza), che diventano ispirazione per una scrittura colta. Paliotti è un ammiratore dichiarato di Egberto Gismonti e delle musiche tradizionali e popular del Sud America, ma naturalmente non può prescindere dai compositori novecenteschi: Bartòk in testa ma anche Cage, tanto per citare alcune stelle polari di un artista di rara intelligenza. Per introdurre il nuovo album, lasciamo la parola allo stesso Paliotti: «La musica delle ombre lunghe è una musica pomeridiana, si riferisce, cioè, a quella parte della giorno, soprattutto nelle stagioni miti, in cui la luce del sole, persa la violenza e l’irruenza del mattino, diventa più calda, più morbida e invita alla riflessione, alla meditazione, al confronto con sé stessi; è una luce ancora forte ma si ritrae un po’ in se stessa, disegnando delle ombre lunghe. Ora, anche i suoni del nostro immaginario ci seguono come un’ombra costante e fedele, un’ombra che porta con sé tutto il nostro vissuto personale e collettivo, la nostra cultura, le nostre abitudini, quello che si dice tradizione orale e via dicendo; è, insomma, la nostra ombra lunga, il nostro angelo custode. Nel mio immaginario sonoro, nella mia ombra, non c’è solo la musica del mio paese ma anche quella brasiliana e nordamericana. È il frutto della mia lunga esperienza nel mondo della tradizione orale e della sua “corruzione colta”; è musica pensata e eseguita da me solo ma anche in ensemble con ottimi musicisti/improvvisatori; è musica astratta ma anche pensata per immagini o visioni». Il portato di quanto osservato dal compositore napoletano si avverte fin dalla prima composizione, “Preambulo, for guitar”, esemplare introduzione al gioiello discografico di Paliotti, un tema in cui il chitarrista si muove con grande libertà armonica. Seguono i “Four Studies in Alternate Tunings, for Guitar” (“Le Notti Bianche”, “Sans Titre”, “Monoliti” e “Batuque Zona Norte”), caratterizzati da un insieme di variazioni, dal sapiente gioco sugli intervalli e sui tempi. Qui Paliotti usa due accordature: Eb-Bb-G-D-A e E-B-G-D-Ab-Eb. La suite si conclude con le cadenze carioca di “Batuque”, in cui si omaggia il samba che ha avuto origine nelle espressioni musicali portate in Brasile dagli africani, ma dove pure si insinuano sequenze arabeggianti. Invece, “Giulia” è incanto di un minuto e ventiquattro secondi (il brano ritorna in scaletta più avanti in versione ampliata per organico di chitarra, piano, clarinetto, contrabbasso e percussioni). Danno forti suggestioni anche le libere interpretazioni sulle “Variations on a theme by John Coltrane”, ma attenzione: per uno come Paliotti l’improvvisazione è una forma di studio di composizione. Particolarmente bella l’incalzante “Emboladas Nordestinas” (da notare l’ accordatura B-B-G-D-G-D!), ispirata alle sfide poetico-musicali dei fini dicitori di strada del Brasile nordorientale, mentre “Se todos Fossem Iguais a Você” è il necessario tributo a Jobim. Con “François et Jean-Pierre” l’organico si allarga ad Armanda Desidery (piano), Luigi Petrone (clarinetto), Dario Franco (contrabasso) e Roberto Bastos (percussioni). Come accade in “Les Quatre-Cents Coups” le pagine musicali omaggiano il regista Truffaut e Léaud, interprete della pellicola del regista francese. Il trittico non vuole essere una riscrittura della colonna sonora, piuttosto è una «rimembranza musicale», chiosa Paliotti, il quale ricorda come «nel finale del film c’è una lunga sequenza in cui questo ragazzo corre, verso non si sa dove, e corre, corre e alla fine arriva davanti al mare, che non aveva mai visto e finalmente, davanti alle onde, volge lo sguardo verso la macchina da presa in un fermo immagine meraviglioso in cui sembra dire: e ora che faccio? Ecco, il mio pezzo non vuole essere descrittivo, non vuole descrivere la corsa in sé stessa ma la pulsione nevrotica, lo stato d’animo diciamo così, che l’ha generata e che ne è conseguenza». Andando avanti, si riproduce l’emozione brasileira con “Modinha” e con la bossa-jazz “Se”. Diffonde calore “Giulia”, riproposta in versione estesa a mo’ di ballad, in cui in maniera molto libera l’ensemble produce una struttura jazzistica di tema e improvvisazione. Nel presentare questo brano dal vivo Paliotti sottolinea come la musica non sia solo intrattenimento, «è anche un invito al pensiero. Più che ascoltare, è fondamentale ri-ascoltare, crearsi un’esperienza di ascolto che permetta di entrare più in profondità nel tessuto musicale, di interiorizzare la musica, di metterla in sintonia con i nostri suoni interiori, quelli fisicamente prodotti dal nostro corpo». La finezza conclusiva del viaggio di Paliotti è “O Casamento de Don Miguel”, un altro tema basato su materiali di tradizione orale brasiliana, che rimanda al forrò nordestino, realizzato con significative variazioni ritmiche e melodiche. Musica appagante, oltre l’asfissia delle definizioni e della categorie rassicuranti. 



Ciro De Rosa

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