#blogfoolksession: Cuncordu e Tenore de Orosei

Nell’articolato panorama del canto polivocale sardo, Cuncordu e Tenore de Orosei rappresentano una delle formazioni più note ed apprezzate a livello internazionale, tanto per l’unicità della loro cifra stilistica, quanto per la peculiarità del loro repertorio che combina il corpus di canti sacri (Gotzos, canti della Passione e Morte di Cristo) con quello profano (serenate e balli tradizionali), legati alla tradizione di Orosei, località della Sardegna dove le due modalità di canto, quella “a tenore” e quella “a cuncordu”, non hanno conosciuto interruzioni nel tempo. Formatisi sotto la guida degli anziani cantori, di cui conservano fedelmente il lascito musicale e cresciuti tra la scuola delle confraternite religiose di Sas Animas, Santa Rughe e Su Rosariu e nei tzilleris (bar), Cuncordu e Tenore de Orosei vantano un lungo percorso artistico intrapreso nel 1995 e che li ha condotti a confrontarsi con stili, tradizioni e generi musicali differenti. Del 1999 è, infatti, l’album “Colla Voche” nato dall’incontro con il geniale violoncellista Ernst Reijseger e il percussionista scozzese Alan Purves “Gunga”, mentre al 2004 risale il tour in cui hanno portato in scena la rilettura in chiave musicale di “Tamburini” di Marcello e la partecipazione al concerto “Il rito e la memoria” di Paolo Fresu con protagonisti il pianista olandese Diederick Wissels, il quartetto d’archi Alborada, il Cuncordu di Castelsardo, il Cuncordu ‘e Su Rosariu di Santu Lussurgiu, Elena Ledda e Dhafer Youssef. 
Sempre, nello stesso, anno li ritroviamo ancora una volta al fianco di Ernst Reijseger e del cantore senegalese Mola Sylla, alle prese con la partecipazione alle colonne sonore di due pellicole del regista tedesco Werner Herzog, “The wild blue yonder” e “The white diamond” che, nel 2006, andranno a comporre il cine-concerto “Requiem for a dying planet”. Parallelamente, accanto ai dischi prodotti per l’etichetta tedesca Winter & Winter (“Amore Profundhu”, “Miserere”, il doppio album “Voches de Sardinna”, “Colla Voche” e “Requiem for a dying planet”) non sono mancate le collaborazioni con artisti come Vittorio Montis, Riccardo Dapelo, Andrea Saba, Luigi Lai, Totore Chessa , i Tenores de Bitti, Nguyen Le, Luciano Biondin, Enzo Favata (nel primissimo “Voyage en Sardaigne”), gli incontri musicali con il Coro di Voci Bulgare “Angelitè”, con gli Hu Hun Hurtu della piccola Repubblica di Tuva e con i cantanti mongoli Ganzoring e Tsogtgerel per il progetto “Voci Nomadi”. Del 2015 è, invece, “Novaera”, ultimo disco in studio e nel quale spiccano le partecipazioni di Paolo Fresu e Ernst Reijseger. Nel corso dell’edizione 2019 dei Seminari di Canto, Musica e Danza di Mare e Miniere, abbiamo incontrato la formazione sarda e, insieme a loro, abbiamo proseguito e completato l’intervista “in itinere” intrapresa qualche anno fa. 
Ad accompagnarci alla scoperta del repertorio e del gruppo è Piero Pala (voche e mesuvoche), che ci introduce nelle vicende artistiche del gruppo: «Veniamo da esperienze musicali diverse ed in particolare io ho cominciato a cantare in questa formazione nel 1997». Gli fa eco Massimo Roych (voche del Cuncordu, trunfa, pipiolos, benas) che racconta: «Sono la voche del cuncordu e i primi passi li ho mossi in altre formazioni a partire dal 1979, mentre con Cuncordu e Tenores de Orosei canto dal 1995». Da parte sua Mario Siotto (bassu, trunfa) ricorda: «Ho cominciato a cantare durante il servizio militare e da allora non ho più smesso. Sono entrato nel gruppo nel 1995 e non avevo mai cantato in altre formazioni». La presentazione di rito si completa con Tonino Carta (voche del tenore), che dice: «Anche io vengo da altre esperienze in passato, ma sono dieci anni ormai che canto con Cuncordu e Tenores de Orosei», e con l’ultimo arrivato, Gian Nicola Appeddu (contra), la cui esperienza musicale è iniziata durante la sua adolescenza «a undici, dodici anni». Sull’unicità del repertorio di Cuncordu e Tenore di Orosei, Pala sottolinea: «Ci chiamiamo in questo modo perché nel nostro repertorio proponiamo le due grandi modalità di canto di Orosei, quella “a cuncordu” e quella “a tenore”. 
La nostra è una tradizione che non si è mai interrotta e che ci è stata tramandata dai cantori che sono venuti prima di noi in maniera orale. Ognuno di noi ha fatto un proprio percorso. C’è chi ha cominciato a cantare durante il servizio militare e chi ha frequentato le confraternite sin da quando era bambino. Oggi ci ritroviamo ad avere un gruppo con generazioni ed età diverse a confronto e questo non può che rappresentare per noi una fonte di ricchezza». Entrando più nel dettaglio del repertorio Piero Pala presenta il canto a cuncordu (cum cordis): «Questo canto nasce con la colonizzazione della Sardegna da parte degli spagnoli con i quali, a partire dal 1600, si diffuse la tradizione delle confraternite religiose. Fino al 1700 il canto ha avuto il suo momento di principale sviluppo e creazione. Si tratta di un canto polifonico per quattro voci maschili a emissione normale, che prevede quindici modalità diverse e accompagna i vari momenti dellʼanno liturgico, per trovare il vertice della sua espressione durante i riti della Settimana Santa. Tali canti, chiamati Gotzos (in catalano goigs e in castigliano gosos) prevedono testi, solitamente in sardo o latino, di poeti colti o sacerdoti che esaltano le virtù dei santi o consentivano a coloro che non capivano il latino, lingua usata nelle liturgie della chiesa, di vivere più intensamente il racconto della Passione e Morte di Cristo e la sofferenza della madre Maria. Oltre ai canti della Settimana Santa, nel nostro repertorio sono presenti anche canti liturgici come il Santus o inni come quello dedicato alla Madonna del Rimedio. È probabile che le origini del canto a cuncordu vadano rintracciate nel canto a tenore e lo dimostra il fatto che, in tanti paesi, i due repertori siano eseguiti nella forma gutturale. 
Solo Orosei fa eccezione, avendo mantenuto distinte le due forme». Sul canto a tenore, Pala rileva: «Questo canto polivocale ha origini arcaiche che alcuni fanno risalire al periodo nuragico, ma quello che è certo è che è una forma primordiale perché imita i suoni della natura, gli animali e il vento e per questo motivo l’UNESCO l’ha dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità. È una forma di canto unica al mondo, che trova esempi simili solo nella Repubblica di Tuva in Russia e in Mongolia. La sua struttura prevede una voce solista, “sa voche”, che intona testi improvvisati al momento, spesso di saluto, o versi di poeti sardi colti. Sul ritmo della voce principale cui si innestano “sa contra” che ha un emissione di voce gutturale, “su bassu” che ha un emissione sempre gutturale ma un po’ diversa. Si tratta di due voci forzate che con la laringe producono un suono che, all’orecchio, risulta raschiato e con la voce naturale “su mesuvoche” che completa un accordo che ricorda vagamente il suono delle tre canne delle launeddas. A differenza del “cuncordu” questa forma di canto, prevede nove modalità diverse, è assolutamente in Fa o Fa diesis ed è utilizzata in ambito profano, nei momenti di festa con l’accompagnamento dei balli, nelle serenate d’amore e nel lavoro in campagna. Ci sono, poi, anche canti can cadenza più lenta come “sa voche seria” o ancora più lenta come “sa voche antica”». Chiediamo, poi, a Piero Pala se esistono differenze stilistiche del canto a tenore nelle diverse zone della Sardegna: 
«Il canto a tenore viene distinto dagli etnomusicologi per zone in quanto cambiano le sillabe e i colpi di glottide. In sostanza varia un po’ tutto e questa è una cosa normale perché in Sardegna nel giro di pochi chilometri si hanno costumi diversi da un paese all’altro e questo rappresenta un valore aggiunto per la nostra terra. Generalmente viene individuato il canto a tenore della Baronia, quello della montagna ma è nella provincia di Nuoro che è sostanzialmente concentrato, anche se esiste qualcosa di simile anche nella provincia di Olbia. Oliena e Orgosolo cantano in maniera differente pur essendo vicine, Orosei e Galtellì che sono a sei chilometri di distanza hanno un modo di cantare diverso che si somiglia solamente». Parlando dell’improvvisazione nel canto polivocale sardo, Pala rileva: «L'improvvisazione è presente in tutto il canto sardo. Abbiamo anche altre forme di canto dove si improvvisano dei passaggi e questo viene dal fatto che sono canti di tradizione orale. Non abbiamo uno spartito davanti a noi o un direttore che ci guida, ma ogni voce è solista. Non abbiamo voci raddoppiate perché uno fa la prima, l'altro la seconda, l'altro la terza, e uno ancora fa il basso. Ognuno è solista per sé. Questo ci lascia liberi anche di fare piccole variazioni, dei gorgheggi che non vanno a stravolgere il motivo musicale del canto che lo vanno a ricamare ed impreziosire”. Ci soffermiamo poi sulla particolare posizioni utilizzata durante le esecuzioni: “Noi ci disponiamo in questo modo per avere alla destra e alla sinistra sempre una voce. Quindi io devo avere Gian Nicola che fa “sa contra” affianco a me quando faccio “sa mesuvoche” del cuncordu e devo avere vicino Mario quando cantiamo a tenore. 
Quando cantiamo si sviluppa tanto volume e per ascoltarci dobbiamo stare vicini e di supportarci. Quasi sempre appoggiamo la mano vicino all'orecchio per ascoltare la nostra voce e avendo l'altro orecchio libero per sentire le altre. Abbracciarsi crea unità e un amalgama canora ed umana. Non siamo soliti cantare facendo dei piani o dei forti, ma cantiamo sempre con una voce di petto molto forte per cui, all'interno del coro, si sviluppano volumi molto alti. Sono anche canti soggetti a variazioni anche improvvise in cui ci ascoltiamo molto fra di noi e siamo pronti a subentrare ed integrare la variazione che viene fatta dall'altra voce. Se Massimo o Tonino decidono di fare una variazione, ma sempre sulla falsariga di quel motivo musicale, io devo essere pronto a subentrare con accelerazione di ritmo». Altro elemento fondamentale nel percorso di Cuncordu e Tenore de Orosei è stata la continua tensione verso la sperimentazione con altre forme musicali e le collaborazioni internazionali: «In questo senso abbiamo sempre privilegiato il dialogo con altri suoni e stili dal jazz per arrivare alle collaborazioni con le voci mongole o quelle, a noi più vicine, della Corsica. Tutto questo ha caratterizzato il nostro percorso, ci ha arricchito ma non ha mai intaccato il nostro approccio alla tradizione. Abbiamo incontrato tanti artisti e ci siamo a loro tenendo fede alle nostre radici musicali, integrandole con strumenti, voci appartenenti ad altre esperienze musicali». In questo senso Cuncordu e Tenore de Orosei incarnano perfettamente il concetto di tradizione in movimento: «Non credo molto a chi dice che la tradizione deve rimanere fissa perché non è possibile che dal Seicento ad oggi non vi sia stata una evoluzione nel canto. Chi ha più esperienza e ha vissuto la vita delle confraternite sa benissimo che i solisti intonavano i canti personalizzandoli in qualche modo. Certo, si segue un modello, una struttura che resta quella ma se andiamo ad ascoltare le registrazioni del 1930 sono diverse da quelle del 1950 o del 1960. I canti cambiano, si evolvono grazie a chi li esegue. Non esiste una tradizione che resta fissa, come gli uomini non restano sempre fermi: nascono, crescono, cambiano, muoiono. È, dunque, normale che la tradizione sia in movimento se si tratta di perfezionarla, integrarla e proseguirla, ma non se quest’ultima deve essere stravolta». Concludendo, non possiamo non farci illustrare da Piero Pala il rapporto con il pubblico: «Abbiamo lavorato per tanto tempo all’estero e la risposta è stata sempre entusiastica. C’è da dire che, a differenza della Sardegna o dell’Italia in generale dove c’è un approccio più scontato, all’estero abbiamo trovato una risposta più forte dal punto di vista culturale con un pubblico più esperto e più informato sulla nostra tradizione»


Salvatore Esposito

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