A metà del concerto al teatro Candiani di Mestre il 10 febbraio, Bassekou Kouyaté racconta Garana, il villaggio maliano bagnato dal fiume Niger, a 60 chilometri da Ségou, dove è nato nel 1966. Racconta di come, proprio osservando i pesci ed il flusso dell’acqua, sia nata “Miri”. In bambara (o bamana), “miri” si riferisce sia a sognare sia a riflettere, a questa seconda accezione Bassekou Kouyaté ha voluto dedicare la composizione che dà il titolo al nuovo album: un tema strumentale che è un invito a trovare lo spirito giusto, lontano dai frenetici ritmi e rumori urbani, per pensare a ricostruire in Mali la strada della pace, fra le persone e con la natura. Un brano che mette in evidenza le qualità melodiche e armoniche dello ngoni, lo strumento a quattro corde piccolo nelle dimensioni ma enorme nelle potenzialità espressive, di cui Kouyaté è in costante esplorazione, sia sul versante acustico che elettrificato sia, ancora, in dialogo con le versioni media e bassa del liuto saheliano.
Dopo due album aperti ad influenze più rock (“Jama Ko” nel 2013 e “Ba Power” nel 2015), Bassekou Kouyaté torna ad incidere per la Out Here Records e ritorna al contesto rurale Mandé di “Segu Blue” (2007) e “I Speak Fula” (2009). Nel frattempo, con l’eccezione di Amy Sacko, moglie e splendida cantante, sono cambiati i membri del gruppo Ngoni Ba, divenuto un solido sestetto, con due percussionisti (Mahamadou Tounkara e Moctar Kouyate) e due suonatori di ngoni (Abou Sissoko e Mamadou Kouyate). Le belle foto a colori del libretto ce li restituiscono in studio di registrazione, ma anche per le vie di Garana, circondati dai bambini del villaggio. A loro Amy Sacko dedica “Nyame”, un invito a conoscere e rispettare la storia della propria famiglia. Un simile rispetto mostra Bassekou Kouyaté condividendo con il cantante di Sikasso Abdoulaye Diabaté, classe 1952, nei cui gruppi Kouyaté ha mosso i primi passi, la registrazione di “Fanga” (potere) e “Wele Ni” (dedicata ad un re narciso). Quest’ultima canzone è stata anche l’occasione per registrare lo ngoni con la tecnica slide, utilizzando un tubetto di metallo con la mano sinistra: il risultato è ottimo, tanto da divenire un’abitudine anche dal vivo.
Come avvenuto per gli album precedenti, oltre a Diabaté gli ospiti sono numerosi e tessono una ricca geografia, che attraversa il continente africano e l’Atlantico. “Wele Cuba” testimonia il felice matrimonio fra Africa occidentale e son cubano, qui affidato alla voce di Yasel Gonzalez Rivera (Madera Limpia). Altri due brani ospitano cantanti maliani di primo piano. “Tabital Pulakku” narra il conflitto ancestrale che vede nomadi e agricoltori contendersi la terra: dopo il frenetico incedere ritmico iniziale, mette al centro il dialogo fra coro e voce solista, affidata ad Afel Bocoum, storico membro del gruppo di Ali Farka Touré. Anche l’accattivante “Kanto Kelena” lascia ampio spazio al coro femminile. Qui il protagonista è Habib Koité, compagno di avventure di Kouyaté da oltre trent’anni e, di recente, di nuovo in tour insieme. Il ritmo sostenuto e la voce roca e calda di Koité quasi nascondono il grido di dolore espresso dalle parole («non abbandonarmi, annego nella tristezza») e, soprattutto, dai passaggi blues nelle parti strumentali. La ricerca dell’amore è anche il soggetto di “Kanougnon” che apre album (e concerti): in questo caso, a prestare alla canzone voce e oud è Majid Bekkas, protagonista di gruppi che hanno scritto la storia della musica marocchina come Ji, Nass El Ghiwane, Gnaoua Blues Band. «Solo la morte separa gli amici» canta Amy Sacko in “Deli” (Amicizia) rispondendo alle melodie dello ngoni e questa sembra essere la cifra che meglio fotografa questa quinta prova, vivace e matura, di Bassekou Kouyaté & Ngoni Ba.
Alessio Surian
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