“In altre parole io sono tre”: sono le prime parole dell’autobiografico “Peggio di un bastardo” (1971) e fotografano le tensioni interiori e l’espressività musicale di Charles Mingus, protagonista di centinaia di dischi, di decine di libri, di una toccante graphic novel in bianco e nero di Louis Joos. A quarant’anni dalla sua morte, la sua musica ha “casa” a New York (la città che nel 1966 l’aveva sfrattato dal suo appartamento) al 116 E della 27a strada nel “Jazz Standard”: dal 2008, ogni lunedì sera, è il turno del Mingus Monday, animato da un ampio e dinamico ensemble che nel 2010 si è aggiudicato il Grammy award 2011 per il Best Large Jazz Ensemble Album con il disco “Mingus Big Band Live at Jazz Standard” (Audio & Video Labs, 2010). Nato a Nogales in Arizona il 22 April 1922 (e cresciuto a Watts, vicino a Los Angeles), Mingus è stato protagonista di quattro decadi del jazz, dai primi anni Quaranta al 5 gennaio del 1979, quando muore a Cuernavaca, in Messico, affetto da sclerosi laterale amiotrofica). Da bassista, pianista, compositore, direttore e produttore discografico ha lasciato un’eredità di più di cinquanta dischi da leader improntati all’improvvisazione collettiva nel solco di una sua personale rilettura e della “musica folk afroamericana”, come l’ha definita lui stesso, meticcio con progenitori africani, nativi americani, cinesi, tedeschi. Altrettanti dischi ha registrato come bassista, collaborando con Louis Armstrong, Duke Ellington, Bud Powell, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Rahsaan Roland Kirk, John Scofield.
Virtuoso forte di una formazione che spaziava dal jazz di tradizione orale alla musica orchestrale sia swing, sia classica occidentale, dal 1957 al 1978, il suo contrabbasso è stato tutt’uno con la batteria di Dannie Richmond, dando vita ad un sodalizio irripetibile e costantemente innovativo. Tre dischi imperdibili all’interno della sua vasta discografia rimandano agli anni in cui il suo ensemble comprendeva 8-11 musicisti. Forse il suo disco più noto è “Ah Um”, registrato e prodotto dalla Columbia nel 1959, con il conosciutissimo “Goobye Pork-Pie Hat”; è disponibile sia in versione originale sia con bonus tracks (dal minuto 57) nella versione rimasterizzata recentemente. Dello stesso periodo è ”Blues & Roots”, che regala all’Atlantic una prova di grande energia. Più meditato, complesso e teatrale è “The Black Saint and the Sinner Lady” pubblicato nel 1963 (l’anno in cui Pepper Adams gli dedica “Pepper Adams Plays the Compositions of Charlie Mingus") dalla Impulse, che fa uso di sovraincisioni e include note di copertina scritte dall’analista di Mingus, Edmund Pollock. Qualche anno più tardi, il 29 Settembre 1969, Duke Ellington, rese omaggio a Mingus facendo interpretare alla propria orchestra “The Clown”, con Duke stesso alla voce recitante (il testo è di Jean Shepherd). I documentari di Don McGlynn “Charles Mingus Triumph of the Underdog” (1998). e “Charles Mingus Weird Nightmare” (1991) di Ray Davies, con interviste che con la chitarra di Bill Frisell in apertura, ci offrono diverse finestre e dialoghi parlati e sonori per entrare in questo universo tanto ricco e complesso.
Una creativa eredità
Mentre lottava con la sclerosi laterale amiotropica, impossibilitato a suonare il contrabbasso, non aveva smesso di comporre e produrre dischi. L’anno in cui muore, il 1979, escono due dischi che lasceranno il segno: “A Chair in the Sky” della Mingus Dinasty con Charlie Haden al contrabbasso,
e “Mingus” (Asylum), l’album che segna l’incontro con Joni Mitchell e che vede le composizioni del contrabbassista interpretate da Jaco Pastorius, Wayne Shorter, Peter Erskine, Don Alias, Herbie Hancock, con “Goodbye Pork Pie Hat". E’ Joni Mitchell a tradurre sapientemente in strofe cantate l’assolo di sax inciso nel 1959 da Booker Ervin e dedicato a Lester Young. Quasi dieci anni dopo saranno due giganti come Gil Evans Steve Lacy (il 30 Novembre e il 1 Dicembre 1987 a Parigi nel Family Sound Studio) a dedicare quasi un intero album a questa e altre due fra le più note composizioni di Mingus: "Reincarnation of a Lovebird" e "Orange was the Color of Her Dress Then Blue Silk". In quei dieci anni era stata soprattutto la Mingus Dynasty a continuare a far ascoltare le composizioni di Mingus e ad incidere sette nuovi album, prima di allargarsi, nel 1988 anche alla formazione per big band e dar vita a tre Mingus repertory groups: Mingus Dynasty, Mingus Big Band e Mingus Orchestra. Da allora la Mingus Big Band ha inciso dieci ottimi dischi, ognuno dei quali fotografa un lato della personalità di Mingus e meriterebbe una storia a parte: "Nostalgia in Times Square" (Dreyfus, 1993), "Gunslinging Birds" (Dreyfus, 1995), "Live in Time" (Dreyfus, 1996), "Que Viva Mingus!" (Dreyfus, 1997), "Blues & Politics" (Dreyfus, 1999), "Tonight at Noon: Three of Four Shades of Love" (Dreyfus, 2002), "I Am Three" (Sunnyside, 2005), "Live in Tokyo at the Blue Note" (Sunnyside, 2006), "Mingus Big Band Live at Jazz Standard" (Audio & Video Labs, 2010), "Mingus Sings" (Sunnyside, 2015). Per grande orchestra, il capolavoro mingusiano rimane “Epitaph” due ore di musica intensa e ricca di idee e tensioni armoniche divise in 4.235 rispolverate da Andrew Homzy e, grazie al lavoro della vedova, Sue Graham Mingus, restituite ad un’orchestra di 30 musicisti che è stata condotta sia in concerto, sia in sala di registrazione (per Columbia/Sony Records) da Gunther Schuller: prima alla Alice Tully Hall del Lincoln Center il 3 giugno 1989 e poi in tour mondiale nel 2007.
Molti dei musicisti che hanno attraversato questi gruppi (Eric Dolphy, Jimmy Knepper, George Adams, Don Pullen, Jack Walrath…) hanno poi lasciato un segno permanente in alcuni dei progetti musicali più innovativi dagli anni Sessanta ai nostri giorni: dalla partecipazione di Pullen ai quintetti di David Murray alla versione di “Better Get Hit in Yo' Soul” che nel 1992 il trombettista Walrath include nell’album ”Serious Hang” con Pullen al piano e Michael Formanek al contrabbasso. Vale la pena ascoltare Formanek in un’intervista recente rilasciata a Musica Jazz. Alla domanda se riscontrasse un “influenza della musica di Charles Mingus” nelle proprie composizioni, Formanek risponde: “Si. È fortissima. E per me questo è un grande complimento. Enorme. (…) Non posso mettere in piedi un brano in cinque minuti: ho bisogno di lavorarci sopra col cesello. Devo prima pensare a lungo alla musica, averla in testa, considerare i musicisti da usare per le varie voci strumentali. Poi la musica per grande organico di Mingus mi ispira moltissimo per l’uso dei colori, del movimento nelle strutture”. Altrettanto evidente è l’influenza contrabbassistica nei nuovi virtuosi, come Vjekoslav Crljen che nel suo album solo del 2017 per la Hitchtone Music include una magistrale versione di “Haitian Fight Song”. Proprio questo brano ha costituito un ponte con altri generi musicali, dalle versioni del New York Ska Jazz Ensemble al British folk rock dei Pentangle.
Le composizioni di Mingus ispirano anche il lavoro di Hal Willner del 1992 riunito nell’album “Weird Nightmare: Meditations on Mingus” (Columbia) con interventi di Chuck D, Keith Richards, Henry Rollins, Dr. John. Particolarmente attento alle composizioni di Mingus è Elvis Costello che ha tradottoin versi vari brani, cantando "Invisible Lady" con Mingus Big Band nell’ album “Tonight at Noon: Three of Four Shades of Love” e registrando "Hora Decubitus" (da “Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus”) nel suo “My Flame Burns Blue” (2006), coinvolgendo anche chitarristi come Andy Summers e Bill Frisell in versioni di “Weird Nightmare” in studio e dal vivo.
Mingus in Italia
In Italia Charles Mingus ha suonato ripetutamente dal vivo e registrato. Una testimonianza dell’energia espressa dal suo gruppo a metà degli anni Settanta l’offre il concerto registrato a Umbria Jazz 1974 col quintetto che comprendeva Hamiet Bluiett, George Adams e Don Pullen. Legata a una colonna sonora mancata è la registrazione del suo album ”Cumbia & Jazz Fusion”, registrato nel 1976 (Sound WorkShop e Dirmaphon Studio di Roma, fra 29 e 31 Marzo), inizialmente commissionato come colonna sonora del film "Todo Modo" da Elio Petri che poi preferì Ennio Morricone.
L’album per l’Atlantic Records contenente due lunghe tracce ispirate dall’incontro delle musiche di matrice improvvisata con la cumbia e in cui, accanto a George Adams al tenore e al flauto, Jack Walrath alla tromba, Danny Mixon a piano e organo, Dannie Richmond alla batteria, suonano Dino Piana (trombone), Anastasio Del Bono (oboe e corno inglese), Pasquale Sabatelli (fagotto), Roberto Laneri (clarino basso), Giancarlo Maurino e Quarto Maltoni (sax alto). Il risultato è interessante, ma non ricco quanto il precedente “viaggio” latino “Tijuana Moods”. Le musiche di Mingus sono state al centro di organici allargati, per esempio quello di Tononi e Cavalcanti in “We didi t! We didi t!” (Splas(h), 2000) e proposte da contabbassisti come Paolo Damiani, a suo agio fra i contrasti offerti dalle armonie e dai cambi di passo mingusiani; Adriano Orrù, che dette vita con Tino Tracanna a "Conversation about Mingus" in occasione dei trent'anni dalla sua scomparsa; Massimo Moriconi, per esempio "Self-Portrait in Three Colors"; e Marc Abrams, che ricordiamo in “Boogie Stop Shuffle” con la Lydian Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale (con Fazzini, Pietro Tonolo, Emili, Gregory, Rossi, Duso, Birro e Beggio). Anche in Italia è “Goobye Pork-Pie Hat” il brano più interpretato, da Eugenio Colombo che lo propone col solo sax soprano in “Summertime” (Splas(h)1987) a Maria Pia De Vito che manifesta l’influenza di Mingus soprattutto nell’album “So Right” (Camjazz 2005) con Rea, Pietropaoli e Aldo Romano e che comprende anche “God Must Be a Boogie Man”, dall'album “Mingus” (1979), “un album che mi ha cambiato la vita, (…) audio paintings, ogni brano era un dipinto sonoro”. Ci sono poi notevoli dediche, come il brano “Charles Mingus” incluso dal quintetto di Giovanni Mazzarino (con Bosso, Bearzatti, Senni, Mappa) nel cd Evening in Blue (Splasc(h), 2002), trama generativa a cavallo fra hard-bop e aperture free, ideali per l’espressività di Bosso e Bearzatti. Tre anni più tardi sarà Pino Minafra a includere “Dedicated to Mingus” nel cd “Canto General” con i sax di Sandro Satta e Roberto Ottaviano.
E’ proprio Ottaviano ad aver realizzato nel 1988, con i Six Mobiles e Tiziana Ghiglioni uno dei dischi più convincenti interamente centrato sul repertorio mingusiano ed è fra i protagonisti della recente Mingus Suite di Adriano Clemente (2016), mentre la voce di Ghiglioni illumina gli archi arrangiati da Garlaschelli in “Mingus in Strings Vol. 1” del 2011. Notevoli sono anche i lavori dei Quintorigo nel 2008 e della Flight Band di Biagio Coppa (2010). Due lavori interamente dedicati a Mingus sono stati realizzati dal chitarrista, compositore e arrangiatore Roberto Spadoni: nel 1998 dirige "Mingus" (Splasc(h) Records) con la M.J.Ùrkestra impegnata in tre convincenti interpretazioni ("Fables of Faubus", "Reincarnation of a Lovebird", Boogie Stop Shuffle") e quattro brani originali: "Clima Preistorico", "Cinquantasei Balene Bianche", "Il "Diavole E l'Acqua Santa", "Buonanotte". Per il Metastasio Jazz festival curerà anche la produzione dell'opera "Epitaph" collaborando con Andrew Homzy. Nel 2003, poi, il festival Metastasio Jazz di Prato commissiona a Spadoni un’opera originale, per sestetto, con Satta, Scannapieco, Rossi, Rosciglione e Fioravanti e l'attore Paolo Triestino: nel 2004 diverrà un cd per Via Veneto Jazz con le note di copertina affidate a Stefano Zenni che si è distinto fra gli esperti internazionali di Mingus dando alle stampe testi quali “Charlie Mingus. Polifonie dell'universo musicale afroamericano” (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo 2002) e “The music of Charles Mingus in California, 1942-1949: an analytic survey”, dedicata alle composizioni degli anni 1942 -1949 (con 30 esempi musicali, contenuto in "Quaderni di Siena Jazz", I, 1, 1995). Quest’ultimo testo mette sotto la lente di ingrandimento le prime notevoli registrazioni (gennaio1946) di composizioni quali “Weird Nightmare” e “Shuffle Bass Boogie”. In questo secondo brano, che diverrà in seguito “Boogie Stop Shuffle”, il contrabbasso assume un ruolo inedito per quel periodo, “chiamando” i cambi armonici e ritmici, invitando il solista, mettendo in chiaro chi conduce le danze. In re minore, “Weird Nightmare” è una ballata mesta e complessa fin dall’introduzione. Stuzzica subito le orecchie: se ne sono andate solo le prime due battute e già basso e trombone accennano riff latini mentre l’orchestra si spartisce un accordo di LA7 con la quinta bemolle e la nona aumentata dando vita ad un’armonia statica, ma in tensione con cui saprà caratterizzare anche le sue ultime ballate.
Alessio Surian
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Suoni Jazz