Prematuramente scomparso lo scorso 31 gennaio, Antonio Infantino è stato ed è ancora una delle figure più emblematiche della musica italiana, avendo dato vita ad un percorso artistico straordinario nel corso del quale ha spaziato dalla sua professione di architetto alle arti figurative, dalla poesia beat alle avanguardie per toccare la ricerca e la sperimentazione in ambito popolare. Nel caleidoscopio della sua visione musicale le radici della tradizione lucana si affiancano ad evocazioni di ritmi percussivi archetipali che rimandano all’ancestralità dei riti tribali e alla trance. Insomma, un vero e proprio genio dalla cultura straordinaria e dalla creatività magmatica che, in vita, ha scelto di vivere lontano dai clamori del grande pubblico, preferendo una dimensione più intima ed umana dove coltivare i suoi interessi artistici. Di tutto questo ce ne eravamo accorti intervistandolo a margine del Concertone del 2016 de La Notte della Taranta in quell’occasione ascoltammo una vera e propria lectio magistralis di alto profilo culturale che ci fece capire quanto il grande pubblico conoscesse molto poco la magmatica creatività. A celebrare la sua opera, oltre ai coccodrilli di rito post-mortem ed al pregevole pregevole documentario “Fabulous Trickster” di Luigi Cinque è l’agile volumetto “Nella testa di Antonio Infantino. Un viaggio multidimensionale col genio di Tricarico” firmato dal giornalista lucano Walter De Stradis. Aperto dalla prefazione di Giovanni Caserta e da una biografia artistica, in vero abbastanza didascalica, il libro ruota intorno ad una lunga ed interessantissima intervista, realizzata in momenti differenti ma che, nel suo insieme, ha il tratto di una unica ed ininterrotta conversazione nella quale Antonio Infantino parla a ruota libera della sua carriera, degli incontri che l’hanno caratterizzata ed in parallelo attraversa musica, arte, filosofia e religione, disvelando agli occhi del lettore la vastità della sua galassia culturale che affonda le radici in Pitagora e Parmenide e nella lezione di Carlo Levi ed Ernesto De Martino. Il momento topico del volume è, però, rappresentato dal passaggio in cui Infantino ci regala una delle definizioni più belle di Dio che magistralmente definisce “non è un’entità a sé stante, astratta, non è che arriva dal cielo come una ricostruzione da presepe. È un problema superfluo, inutile. A me non interessa sapere se Dio esiste o non esiste. Persino gli animali lo sanno: un cane grande non se la prenderà mai con un cane bambino”. Non meno interessanti sono i contributi e le testimonianze di quanti hanno avuto modo di collaborare con Antonio Infantino da Carlo D’Angiò a Peppe Barra, da Teresa De Sio a Giovanna Marini, da Tony Esposito a Vinicio Capossela, così come molto puntuali ci sembrano le acute riflessioni e i profili critici espressi nei capitoli “Allievi e complici in Basilicata”, “Il Genio di Tricarico sul grande schermo” e “Lo Sciamano: giocoliere della nota giusta”. La bibliografia e la discografia completano un libro intrigante e perfetto nel tratteggiare il profilo di un genio assoluto come quello di Antonio Infantino. Un atto d’amore necessario che merita certamente un attenta lettura.
Salvatore Esposito
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