“Pifferi, muse e zampogne”, il festival di musica popolare diretto magistralmente da Silvio Trotta, ad Arezzo, nei locali ormai storici del Circolo Culturale Arci Aurora ha realizzato la sua 23esima edizione nei giorni 6/7/8 dicembre riaffermando la valenza culturale della musica etnica e world con ospiti di grande rilevanza nel panorama del Folk italiano.
Il festival si è aperto giovedì 6 dicembre con la selezione nazionale di gruppi musicali o singoli artisti per la partecipazione al premio Folkest edizione 2019 - Alberto Cesa.
La formula del contest, non sempre presente nelle rassegne italiane, ha messo in evidenza la disponibilità a mettersi in gioco da parte di musicisti anche di una certa esperienza. La competizione aperta al confronto ci sembra abbia dato valore aggiunto alla prima serata; come non rammentare infatti che la parola ‘suonare’ in molte lingue africane ma anche europee significa allo stesso tempo ‘giocare’?
La giuria presieduta da Andrea Del Favero, direttore artistico di Folkest, ha scelto tra tre proposte di elevata qualità musicale: i “Sambene”, gruppo marchigiano, I Calimani, un giovane quartetto aretino con un repertorio pop/folk di loro composizione molto originale, orientato da una narrazione costantemente irridente,
attenta ai frammenti emotivi di esperienze quotidiane e gli Archive Valley, il trio romano che si è aggiudicato la vittoria con una miscela folk sperimentale intensa e imprevedibile ispirata alla musica tradizionale degli Appalachi americani.
L’atmosfera della seconda serata Venerdi’ 7, si è fatta calda e commovente appena Massimo Giuntini, abbracciato alla sua celeberrima uilleann pipe, ha iniziato a suonare. Impegnato in un repertorio tra tradizione e composizione, il musicista casentinese di origine ma irlandese nell’anima, ha regalato generoso ad un pubblico attento i suoi virtuosismi animati da una passione tenace e guidati da anni di esperienza sui palchi di tutta Europa. Affabile e ironico ha illustrato i suoi pezzi con la semplicità dei grandi e le sue dita sapienti hanno accompagnato una platea sorpresa e ammirata oltre i cieli d’Irlanda verso uno spazio dell’anima tutto europeo, in un’idea di musica a 360 gradi come egli stesso ama definirla.
Subito dopo i Calicanto, coriaceo gruppo della musica etnica italiana che dal 1981 lavora al recupero e alla valorizzazione della musica tradizionale veneta e nord adriatica. I fratelli Tombesi resistenti come la pianta che denomina, non certo a caso il loro gruppo,
coniugano declinazioni diverse che la tradizione assume nelle multiformi e stratificate espressioni locali da anni esplorate. Venezia, l’istria, i colli Euganei , pezzetti di Grecia paesaggi sonori colti e raffinati, ospitano evocazioni di antichi trovatori, mondi poetici petrarcheschi, tracce di canzoni fondative di una musica popolare non solo rivisitata dai Calicanto ma riscritta. Il loro repertorio è proiettato in un tempo differente e capace di modularsi su note nuove contemporanee, che donano vita e non solo celebrazione al passato. La voce di Claudia Ferronato è espressiva, calibrata e duttile, costruisce ponti e il pubblico applaude. Belle le sonorità dell’arpa tirolese del più giovane dei Tombesi, Alessandro che intreccia con la melodica e l’oboe i fiati sapienti di Francesco Ganassin, da apprezzare la precisione garbata delle percussioni di Arcolin. Il contrabbasso di Giancarlo Tombesi e la piva, gli organetti e la mandola di Roberto Tombesi, collegano ritmi e armonie e celebrano la loro “resistenza” verso i 40anni di musica insieme.
-“La tradizione non è adorazione delle ceneri ma salvaguardia del fuoco” questo l’intento del nostro far musica - così esordisce il giovane Francesco Berrafato, portavoce dei Musaica ospiti dell’ultima serata del festival aretino.
Dieci splendidi ragazzi, colmi di entusiasmo, innamorati della musica di tradizione, presentano orgogliosi il loro primo cd “Musaica” pubblicato dall’etichetta discografica Radici Music Records.
Invadono il piccolo palco dell’Aurora con i loro strumenti e i loro sorrisi, inondano la sala di gioia sana, senza arroganza tipica della giovinezza, vengono dal sud d’Italia si sono incontrati alla Sapienza in un laboratorio musicale tre anni fa, non si sono più lasciati.
Frequentano facoltà diverse, matematica, filosofia, economia, medicina, testimoniano la valenza interdisciplinare e la forza aggregante della musica. Trasudano vitalità, condivisione, amicizia in un linguaggio moderno potremo dire “mi piace” e ci piacciono ancora di più man mano che il concerto procede in una esuberanza ritmica di suoni e voci. Affrontano i brani tradizionali del sud con dinamicità originale entrano nella magia poetica di un repertorio di grande profondità e bellezza e sanno ridarlo al pubblico con energia e convinzione. Le tradizioni calabresi di Davide Ambrogio, bravissimo alla zampogna, abbracciano quelle pugliesi di Francesco Nicelli, e radici regionali diverse abruzzesi, laziali, sicule si fondono in un intimo incontro di voci e di suoni.
Citano e ringraziano i loro maestri: Alessandro Parente, I Fratelli Mancuso, Letizia Aprile, Ignazio Buttitta con una riconoscenza autentica che pensavamo quasi scomparsa nelle nuove generazioni. Ad un tratto sale palco Francesco Salvadore, componente dei Unavantaluna, e canta e recita con loro portando nuove suggestioni. Un concerto divertente, una serata da ricordare.
“Pifferi, muse e zampogne” si è distinto anche quest’anno per equilibrio di novità e tradizione, i progetti musicali scelti ben si inseriscono nella poliedricità a cui da anni Silvio Trotta ci ha abituato, confermano le molteplici declinazioni contemporanee della musica popolare e la dinamicità propria di questo tipo di musica capace di oltrepassare il tempo continuando a regalarci emozioni.
Gloria Sereni
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