Sviluppato a partire dal progetto “Donne Ashugh e Dengbêj”, questo album fissa il significativo incontro tra Dengbêj Gazin e Âşik Leyli, due interpreti, una curda e l’altra armena, appartenenti alla tradizione dei dengbêj (in curdo) o degli ashugh (in area armena e azera): figure di cantori in cui convivono e si intrecciano la dimensione di cantastorie, di poeta epico e di informatore e commentatore sociale. Insomma, siamo di fronte a quei bardi d’Anatolia che in Turchia sono denominati âşik. Considerato che parliamo di una tradizione orale a prevalenza maschile, in cui il ruolo delle donne cantatrici è stato a lungo relegato alla sfera privata o circoscritta alle riunioni di sole donne, questo lavoro assume una spiccata rilevanza sociale oltre che culturale e musicale. Non secondaria la valenza politica del progetto, concepito nel 2014 come una ricerca sul campo di repertori della tradizione narrativa orale tra Turchia e Armenia, condotta dalla ricercatrice armena Lusine Nazaryan e dall’antropologa politica Marlene Schäfers, e come tre concerti della coppia di cantanti (esibitesi a Yerevan, Van e Istanbul). Il progetto ha ricevuto il sostegno finanziario di un programma dell’Unione Europea che si prefigge di favorire la normalizzazione delle relazioni turco-armene.
Il disco, realizzato per la preziosa etichetta turca Kalan (www.kalan.com), il cui catalogo è fonte di continue meraviglie, esce in un bel formato libro di cinquanta pagine tri-lingue (turco, inglese e armeno), contenenti una breve introduzione al progetto e sei interventi – tre da Marlene Schäfers e tre da Lusine Nazaryan (che è anche cantante e una dei due direttori artistici del lavoro, insieme al connazionale, Norasyr Kartashyan, compositore e plutistrumentista) – sul significato dell’incontro tra le due artiste e sulle tradizioni dei dengbêj e degli ashugh. Ben curate le illustrazioni delle performance delle cantatrici, nonché i testi dei canti (però, qui, a dirla tutta, avremmo preferito anche delle note esplicative in inglese sui canti).
Van è un’antica città turca dell’oriente anatolico (un tempo parte della regione armena della Turchia), oggi abitata in prevalenza da popolazioni curde; Yerevan è la capitale dell’Armenia. Le due città distano in linea d’aria all’incirca 400 chilometri, che diventano almeno il doppio quando per raggiungerle si devono aggirare le montagne che separano Turchia e Armenia. Non è un caso che all’interno delle procedure di distensione tra i due Paesi sia stato programmato un collegamento aereo tra i due centri. Di Van è originaria Dengbêj Gazin (al secolo Raziye Kizil), la quale ha inciso molti dischi e ha avuto una prestigiosa carriera di concertista, ma in quanto donna ha lottato a lungo per affermarsi come cantante, tenendo per molto tempo la sua famiglia all’oscuro della sua attività artistica. Gazin ha assimilato un vasto repertorio del genere di poesia cantata denominato in turco kilam, espressione in prevalenza tragica, basata su materiali trasmessi oralmente ma anche composti ex-novo dai cantastorie. La dedizione all’arte del canto narrativo ha spinto Gazin a dare vita, nella sua città natale, a un’associazione impegnata nella trasmissione della tradizione orale dei cantastorie alle giovani generazioni di donne. Non meno importante il ruolo dell’interprete armena Âşik (o Ashugh, se si preferisce il termine armeno) Leyli all’interno della tradizione dei cantastorie del paese caucasico.
Nel programma del disco, composto da dieci tracce (brani curdi e armeni di tradizione e d’autore, ma anche temi firmati dalle sue artiste), le due cantanti duettano o si propongono in solo; sono accompagnate da altre voci curde (tre voci provenienti dai laboratori di canto tenuti da Gizin) e armene e da differenti organici strumentali, che vedono la presenza di duduk, kanun, kaval, violino, clarinetto oud, basso e percussioni. L’elegiaca canzone iniziale, “Hinis/Javakhk'ima”, accompagnata da duduk e kaval, è il notevole biglietto da visita della coppia, impegnata in un dialogo tra culture orali che superano i confini nazionali. La voce curda brilla nella danzante “Hay Bêlim” e nella successiva “Bafille Gülo”, brano ricco di pathos. Le note argentee della cetra kanun aprono “Kuriko/Hoy Nar”, prima dell’ingresso delle due cantanti e del pieno strumentale: di certo uno dei pezzi forti del disco. Ashugh Leyli è l’interprete di “Uriş e Dardis”, mentre “Malan Barkir” si impone per l’insieme di voci femminili e il suggestivo incrocio tra violino e duduk. Le due interpreti sono di nuovo insieme in “Kîlo”; si dividono per “Dêra Axtamarê” (cantato da Dengbêj Gazin) e per “Ari Garip Can” (qui il canto è di Aşik Leyli); si ritrovano nel conclusivo tradizionale “Ninnim/Meyroke”, un altro highlight del disco, dall’andamento danzante.
“From Van to Yerevan “ è una produzione imprescindibile non solo per gli appassionati delle musiche di area anatolica, caucasica e mediorientale, ma per chiunque abbia interesse per le espressioni dell’oralità cantata.
Ciro De Rosa
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