L’undicesima edizione del Premio Andrea Parodi ha visto l’affermazione della band napoletana La Maschera. Il brano vincitore, “Te vengo a cercà”, racconta di migrazione, di integrazione, di guerra e di incontro; una scelta non casuale e comprensibile per ragioni di attualità o forse più semplicemente di verità: al di là di slogan e paure, la realtà è più semplice di quello che si possa credere e si riassume nelle parole in wolof che aprono la canzone: “veniamo dallo stesso posto, entrambi torneremo nello stesso posto. Tu hai una mamma ed un papà ed il sangue è uguale”. Nel disco “Parco Sofia” del gruppo partenopeo, quelle parole sono interpretate dal senegalese Laye Ba, autore del brano insieme con Roberto Colella, che le ha cantate al posto suo sul palco del Parodi. Colella e tutti i suoi compagni hanno una marcia in più dal vivo: vanno avanti a memoria, sono in perfetta sintonia, in intimità tra loro. Soprattutto guardano avanti: il loro sguardo è ben puntato verso il pubblico e verso il futuro. E infatti si sono aggiudicati anche la menzione per la miglior musica e la migliore interpretazione. Hanno vinto principalmente perché sanno dare emozioni. E a che serve la musica se non sa dare emozioni?
Il premio della giuria critica se lo è aggiudicato Monsieur Doumani, trio cipriota (tzouras, chitarra e trombone) nato nel 2011 e con all’attivo tre album e molti riconoscimenti internazionali.
Non è un caso, perché - in maniera largamente condivisa dagli addetti ai lavori - alla loro musica è stata riconosciuta l’anima world, che sembrava meno evidente in altri partecipanti al contest. I Monsieur Doumani sono in realtà stati quasi travolti dalle menzioni: si sono infatti aggiudicati quella per il miglior arrangiamento, quella dei ragazzi in sala e soprattutto la menzione per la miglior cover di un brano di Andrea Parodi: “Abacada”. Il premio dei critici internazionali è invece andato al gruppo Kor e alla loro “Albore” (cantata in logudorese): cinque cantanti e musica vocale a cappella, una proposta molto elegante, un gruppo dalle grandi capacità e possibilità, che ha raccolto molto apprezzamento. La menzione che gli stessi concorrenti si assegnano è stata un ex aequo tra I Feral Cor con la genovese “La sajetana” e il siciliano Giuseppe di Bella con “Ncucciarisi”, scritta a quattro mani con la cantautrice Valeria Cimò. A lui (anzi, ad entrambi) anche la menzione per il miglior testo. Una scelta azzeccata: se è giusto dare attenzione ai progetti, più che ai singoli brani, va detto che di Bella ha particolarmente meritato l’apprezzamento dei presenti: ottima la performance di giovedì 8 novembre, in cui ha dato il meglio di sé. E quella serata - in cui i concorrenti portavano, oltre al brano in gara, anche un altro pezzo del loro repertorio - è stato il momento in cui l’emozione, le paure, le difficoltà si sono espresse maggiormente in quasi tutti. È proprio questo tratto umano a rendere vere queste manifestazioni, a creare sintonia e sinergia tra chi ascolta e chi esegue.
Soprattutto in un contesto come quello del Premio Andrea Parodi: la prima impressione che se ne ha appena si mette piede in teatro è l’estrema serietà di chi seleziona, di chi organizza, di chi suona. Erano quasi tutti giovani, con qualche eccezione. Erano tutti bravi. Tutti appassionati. Tutti concentrati. Tutti presenti per amore di musica, in un mondo che tutto può essere tranne che facile. Vedere Francesco Busso dei piemontesi DinDùn (la loro proposta era davvero interessante ma non è riuscita ad arrivare fino in fondo al pubblico nella sua dimensione live) suonare la ghironda elettro-acustica deve far venire subito a chiunque la voglia di sapere perché un giovane fa questa scelta, coraggiosa e importante. Che lascia immaginare studio e humus culturale sano. Il mondo ha bisogno di questo: di bellezza, di serietà, di passione. È ovvio e banale farlo notare scrivendo di una manifestazione di world music e anzi c’è chi si lamenta del fatto che a tutto questo venga dato meno spazio e che sempre meno giovani sembrano interessati a questo tipo di approccio alla musica e a certe sonorità. Eppure probabilmente, se la si vede da un altro punto di vista, se ci si colloca in cima a una ipotetica e alta torre e si osserva tutto questo dall’alto e da fuori, si riesce ad avere una visione più ampia di quello che c’è intorno e si capisce anche che in tempi di crisi e di ristagno, come quelli in cui ci capita di vivere, ciò che conta innanzitutto è che tutto questo esista, resista e convinca.
E che esistano luoghi sani di salvaguardia, che sappiano ritrasmettere a livello nazionale e internazionale; è proprio il caso felice del Premio Andrea Parodi, che non casualmente vede la direzione artistica di Elena Ledda, che su tutto questo la sa lunga e direttamente sulla sua pelle.
È stato bello vederla sul palco prima della premiazione, sabato 10, in una jam session con gli ospiti della serata: c’erano gli inossidabili Mauro Palmas, Andrea Ruggeri e Silvano Lobina ad accompagnarla, insieme con il peruviano Jorge Pardo, e il suo chitarrista Francisco Rey Soto (emozionante e viva la loro esibizione: avremmo voluto sentirne ancora un po’ e riuscire quindi a essere presenti anche all’anteprima del Premio, mercoledì 7, al Jazzino di Cagliari, dove i due si sono esibiti in concerto); c’erano poi il bravissimo e virtuoso polistrumentista macedone Stracho Temelkovski e il Duo D’Altrocanto, composto dalle venete Elida Bellon e Giulia Prete. Su di loro - sul loro lavoro di ricerca nell’immenso mondo del canto di tradizione popolare non solo italiano - andrebbe fatto un discorso a parte. Hanno parlato dei loro progetti, del loro essere appena tornate da un mese di ricerca in Georgia, del fatto che “Pensavano di fare tutt’altro nella vita e invece...”
E invece erano lì a regalare piacere. E piacere lo ha regalato la sera del venerdì anche la vincitrice della scorsa edizione, Daniela Pes, la cui bravura indiscussa è ormai sulla bocca e nelle orecchie di tutti.
Un talento naturale e una energia sul palco invidiabili. In effetti però è evidente come la sua strada non sia più quella della world music; la immaginiamo su palchi diversi.
Fantastico il momento dell’assegnazione del Premio Albo d’oro 2018 - da parte di Elena Ledda e Valentina Casalena Parodi - a Daniele Cossellu, fondatore dei Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu”, sia per il racconto spassoso di quando disse di no a Peter Gabriel e poi cambiò idea, convinto proprio da Andrea Parodi, sia per la proiezione del filmato amatoriale in cui gli storici Tenores cantano meravigliosamente, in presenza di un folto gruppo di donne che sembravano arrivare da un altro secolo.
Prima di concludere è bene accennare anche agli eventi intorno al premio. Venerdì 9, oltre ai seminari del Nuovo Imaie e dei Diritti d’autore, c’è stata una doppia proiezione dell’elegante videoclip di Patrizia Cirulli, con la sua riuscita versione di “Pitzinnos in sa gherra”, presentata dai Tazenda a Sanremo nel 1992 e riproposta dalla cantautrice milanese nel suo ultimo album Sanremo d’autore. Il videoclip ha avuto il patrocinio della Fondazione Andrea Parodi. Sempre venerdì è stato presentato il brano “Il sogno”, tratto dal disco di Gigi Marras “Quando sarò più giovane”: la canzone è interpretata da Marras e da Andrea Parodi. A seguire la presentazione, con la moderazione di Claudio Agostoni, dei volumi “Ribelli e ostinati – i suoni del ‘68” di Felice Liperi e “Amico Faber. Fabrizio De Andrè raccontato da amici e colleghi” di Enzo Gentile.
Sabato 10 invece la presentazione in musica – curata da Jacopo Tomatis e Duccio Pasqua - del nuovissimo album “Palma de Sols” di Mauro Palmas: è stato solo un assaggio felice; saremmo rimasti ancora ad ascoltare, ma bisognava dare spazio alla giornata di studi a cura dello stesso Tomatis sul tema: “Dall’autentico al cliché. Stereotipi nella World Music”. Gli interventi sono stati di Ignazio Macchiarella, Marco Lutzu, Ciro De Rosa, Timisoara Pinto, Andrea del Favero e di Mauro Palmas. Infine, prima dell’ultima serata, il dialogo tra Marco Lutzu e Ottavio Nieddu (che con Gianmaurizio Foderaro ha condotto instancabilmente le tre serate) sul tema “Il canto a chiterra”.
Prima di chiudere questa lunga cronaca – che in alcun modo può dar conto del clima e della bellezza di questi patrimoni (che abbiamo il dovere di salvaguardare dalla miopia di una società dove sembra esistere solo ciò che appare) - va detto dell’impressionante lavoro che c’è dietro un simile evento. E tutto questo grazie alla Fondazione Andrea Parodi, magari con la complicità di un’isola speciale come la Sardegna e di un autunno che sogna di restare sempre primavera.
Elisabetta Malantrucco
Foto di Elisabetta Malantrucco
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