oof3 – North (Magattera, 2018)

Il trio oof3 è formato da Nicola Perfetti (chitarra), Federico Gerini (piano e fender rohdes) e Massimiliano Furia (batteria). Il disco “North” è composto da dieci tracce armoniose, in linea con il principio dell’improvvisazione incastrata dentro la composizione. L’immagine che si ricava da questo jazz trio – sia attraverso il sito della band sia dai suoni che assemblano – è limpida e definita, spesso asciutta e asciugata dentro una scrittura e un’esecuzione condensata in poche frasi melodiche. Spesso si ha l’impressione di ascoltare un suono compatto, le cui articolazioni aderiscono a un timbro ricercato ma diretto. La title track, posta in apertura della scaletta, ne è un esempio, nella misura in cui introduce un andamento molto riflessivo, sebbene puntellato dagli zampilli di una batteria soffusa e cadenzata. Soprattutto la chitarra e il piano aderiscono a questo profilo di coerenza esecutiva e formale. Difatti le poche note che cesellano si abbracciano senza nessuno sforzo, ispessendo con delicatezza un flusso di suoni fine e profondo. Sembra quasi di ascoltare la voce di un solo strumento, tanta è la grazia con cui i suoni si sovrappongono. E questa traiettoria viene ripresa anche in “Lapse”, il brano successivo. Al contrario del precedente, l’esecuzione qui è affidata alla sola chitarra elettrica la quale, con un sostegno leggero della batteria, sembra voler chiudere lo scenario definito in apertura. A ben vedere questo brano, di una durata di meno di due minuti, si configura come un passaggio sospensivo. Perché la formula accennata in apertura si ripropone, con alcuni passaggi più decisi, nel terzo brano in scaletta. Si intitola “21:34” e si ascolta con grande piacere, perché sembra che, giunti a questo punto, si abbia già il privilegio di condividere a pieno il profilo narrativo del trio. Dopo un breve prologo chitarra e piano camminano insieme in un percorso piano, con poche note che sembrano rispondersi l’un l’altra, scegliendo le frasi più brevi ma più significanti di un confronto pacato e armonico. Come ci dice il trio in una breve frase che apre la sua homepage, ciò che si fa qui, nell’ambito di un classico trio jazz (“just another jazz trio”), può essere ricondotto a una semplice coordinazione di suoni. E noi sottolineiamo che ciò che va indagato è proprio il dato di partenza, piuttosto che il processo. Perché improvvisare su un canovaccio (tutti brani sono scritti da Perfetti e arrangiati insieme) fa chiaramente riferimento alla struttura della band. Ma la scelta degli elementi di base, in un contesto “tradizionale” e jazz come quello definito da chitarra, piano e batteria, rappresenta davvero l’elemento più significante. Un elemento che racchiude in sé una visione ben precisa, che chi ascolta e analizza può riconoscere non solo nel timbro o nell’andamento generale delle dieci tracce, ma nell’idea che ne definisce il carattere. Questa idea rimane sulla superficie di tutti i brani, anche quando si costruisce una ritmica più piena e, in generale, un profilo sonoro più denso e di impatto. “Mohr” è un brano che può essere ricondotto a questo ispessimento, pensato e agito però in coerenza a quell’esecuzione che riconosciamo in tutte le composizioni dell’album: mai piena e mai vuota, legata a passaggi fondamentali (a volte una frase melodica, un accenno di pattern ritmico, una spennata di chitarra) che orientano, con gradualità, ogni frammento dei brani. Se la prima parte di questa lunga composizione si adagia su pochi suoni, verso la metà del brano la batteria inquadra tutto in posizioni più marcate: la chitarra più fluida ma distorta, il piano più pieno e fermo. Chi volesse concentrarsi in un ascolto avvolgente e godere dell’immagine di un grande spazio può indugiare su “Ingrid in violet”, il lungo brano che chiude la scaletta. La chitarra nell’incipit è stupenda, perché con pochissimi effetti risucchia tutto quello che si è ascoltato lungo il percorso. Il piano aggrega poche frasi apparentemente sparse in una dimensione vagamente onirica, per poi adeguarsi ai cenni di batteria, che in alcuni tratti sembrano quasi dei soffi, dei gorgogli. Tutto si addensa nella seconda parte, riconoscendo reciprocamente la qualità e la forza delle voci dei tre strumenti, per poi asciugarsi gradualmente. Potrebbe non finire mai. E infatti rimane un’eco piacevolissima. 


Daniele Cestellini

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