Black People in a White World. An odyssey of images by Valerio Corzani: dal 4 al 31 ottobre a Roma allo Spazio 44

Dal 4 al 31 ottobre lo Spazio 44 a Roma ospiterร  la mostra fotografica “Black People in a White World. An odyssey of images by Valerio Corzani” che raccoglie una serie immagini scattate dal giornalista e voce di RaiRadio3 in giro per il mondo, da Roma al Marocco, dalla Colombia al Mali passando per Zanzibar, Portogallo, Francia ed Europa. A guidare l’obiettivo della macchina fotografica รจ l’esigenza di documentare la situazione del grande “popolo nero” in ogni latitudine ma anche cogliendone ogni sfumatura. Un vero e proprio racconto per immagini in cui si intrecciano speranze, sogni e difficoltร  della “Black Odyssey” e nel quale si colgono sorprendenti legami e sovrapposizioni ora in una posa, ora in uno sguardo ora ancora nella stessa attivitร  lavorativa. Ad intercalare il percorso sono cinque estratti dai testi delle canzoni di Nina Simone e Gil Scott-Heron, dai libri di James Baldwin e Toni Morrison e dalle dichiarazioni di Muhammad Ali. Di questo e di tanto altro abbiamo parlato con Valerio Corzani nel corso di una piacevolissima chiacchierata.

Partiamo da lontano. Da dove รจ nata la tua passione per la fotografia?
Ho avuto una specie di flirt adolescenziale con la fotografia che, perรฒ poi, ho abbandonato. Devo dire che la nuova infatuazione รจ dovuta soprattutto a questioni ed esigenze pratiche, molto concrete. Capitava spesso durante i miei viaggi, le mie escursioni per seguire i festival musicali che mi ritrovassi a dover cercare un fotografo per illustrare i miei articoli. A volte, la cosa era piacevole ed entusiasmante perchรฉ magari mi consentiva di fare nuove conoscenze, incontrare professionisti ed artisti dell’immagine. In altre occasioni, invece, diventava tutto molto molto complicato, faticoso, esasperante…A un certo punto ho deciso di cominciare a fare tutto da solo. In questo senso ha avuto un peso l'evoluzione tecnologica e l’inarrestabile onda digitale, sia per quanto riguarda la manovrabilitร  sia per l’efficacia del taglio che volevo dare ai miei reportage fotografici.

Nel racconto di un evento musicale, quanto รจ importante la connessione con l’immagine? 
Piano piano questa cosa mi ha preso davvero la mano. Ho scoperto che attraverso le immagini, anche attraverso una sola immagine, spesso si raccontano storie che si intrecciano in maniera molto profonda e rappresentano con molta efficacia l'umore dei luoghi che sto attraversando, delle musiche che sto ascoltando.

Cosa rivela una bella fotografia in piรน di un articolo?
Nel bene e nel male, in una fotografia c’รจ qualcosa di molto piรน diretto. Raramente una fotografia dร  un'immagine falsa di quello che sta succedendo. Attraverso filtri e postproduzione si puรฒ fare sempre di piรน, diciamo che si puรฒ agire abbastanza. Tuttavia se, fin dall'inizio, il fotografo ha avuto un approccio sincero, quello che ti rimbalza addosso da una fotografia. Anche quella di un musicista sul palco. Una buona foto ti restituisce l’integritร  del performer, la passione con cui quella musica viene suonata ed anche il contorno, apparentemente meno importante, dei colori con cui viene presentata, di come i musicisti si agghindano, di come si muovono e come sia stato preparato anche l’allestimento del palco.

Nei tuoi viaggi musicali in giro per il mondo, racconti anche ciรฒ che circonda un festival o un concerto. Quanto รจ importante cogliere il soundscape visivo?
Secondo me รจ fondamentale. Ed รจ per questo che ad esempio di un concerto mi piace raccontare anche il backstage o il soundcheck. Proprio perchรฉ, a proposito di veritร , questi momenti sono quelli che svelano altre cose, che alcuni artisti cercano di celare: debolezze, scazzi, momenti ombrosi. Per quanto riguarda il soundscape visivo e tutto il contorno che questi festival abitano, รจ ovviamente fondamentale. Lo รจ soprattutto quanto si tratta di posti lontani e differenti dai nostri, quando si tratta di un festival ad Addis Abeba o a Cartagena de Indias o addirittura a San Basilio de Palenque che รจ un paesino sperduto della foresta colombiana. In questi casi รจ utile perchรฉ sono posti belli da raccontare e da svelare. Allo stesso modo, lo รจ anche quando si va a seguire un festival a Marsiglia e ti trovi a raccontare un mercatino con il suo colore ecumenico, o meglio arcobaleno, o di come fanno a raccogliere la spazzatura, facendo andare giรน per le strade un rivolo d’acqua. Cose di questo tipo svelano un’indole che raddoppia con forza quello che รจ il mood stesso del festival.

Dai tuoi viaggi sonori arrivano in larga parte le immagini che compongono la mostra. Com’รจ nata l’idea di realizzare questa mostra?
In realtร  รจ un progetto che viene da lontano ma che, probabilmente, si รจ sviluppato in modo carsico dal punto di vista della mia consapevolezza.
Continuavo a fare questi ritratti, anche extra musicali. E anche se io ero lรฌ magari solo per seguire un festival, poi in realtร  m’inoltravo in altre traiettorie. Spesso i luoghi che fotografavo erano pieni di black people, in Africa e in centroamerica ovviamente รจ cosรฌ, ma allo stesso tempo mi sono accorto di avere anche una sorta di predilezione per questo tipo di fisionomie, pure se mi trovavo a Parigi, a Londra, a Marsiglia, a Oristano o a Roma (ci sono un paio di ritratti che arrivano dalle sue strade). La linea che ho tracciato per legare tutti questi visi, queste facce, questi territori del popolo nero รจ appunto “Black people in a white world” a parafrasare il titolo di un brano di Michael Kiwanuka che, perรฒ, si intitola “Black man in a white world”. Nel mio caso, ho allargato il range perchรฉ in realtร  la mostra racconta la storia di tanti popoli legati da questo connotato e anche un pochino dal fatto di essere - come ha scritto James Baldwin – “in debito con i regali di Dio”.

Una mostra che รจ anche un messaggio sulla necessitร  di riscoprire l’inclusione. Un tema di attualitร  prepotente...
Prima, ci ho tenuto a precisare che questo รจ un progetto che parte da lontano ed al quale pensavo da molto tempo, proprio per sottolineare l’assenza di qualsiasi tattica cinica nel programmarla proprio in questo momento. Ciรฒ non toglie che effettivamente, anche se ci lavoravo da tanto, negli ultimi mesi questo tipo di tematica รจ diventata ancora piรน urgente. “Il mio peccato รจ nella mia pelle” segnala un blues molto noto e questo tipo di considerazione, di riflessione mi sembra che stia diventando ancora una volta sempre piรน stringente e veritiera. Pensavamo di averla archiviata in tempi passati e invece รจ diventata di nuovo urgente. In realtร , con questa mostra, non faccio alcun proclama se non offrire delle immagini che, secondo me, contengono mondi, traiettorie, prese di posizione. Ci sono, poi, quattro intellettuali, musicisti e sportivi statunitensi, in particolare Nina Simone e Gill Scott-Heron, una grande scrittrice, Toni Morrison, e un’icona sportiva Muhammad Ali che fanno da corredo alla mostra con alcune frasi che saranno appese ai muri insieme alle foto. Queste parole dicono tutto quello che c’รจ da dire, segnalano quelle che sono le problematiche, le rivendicazioni che ancora non sono state esaudite per quanto riguarda il popolo nero.

Hai parlato di diversitร , chi arriva dall’Africa porta con sรฉ un bagaglio culturale che spesso tendiamo a non capire, non valorizzare. L’inclusione dovrebbe partire proprio dalla cultura...
Il problema รจ sempre quello l'ignoranza. L'intolleranza รจ figlia dell'ignoranza. Succede con gli africani come con i rom. Se uno entrasse un po’ piรน dentro e senza pregiudizi nella grande cultura rom che รจ una cultura orale, quindi non si trasmette attraverso i codici scritti a cui siamo abituati, rimarrebbe soggiogato dalla sua bellezza. La stessa cosa succederebbe con l’Africa. La prima cosa che si farebbe se uno conoscesse bene quel continente sarebbe di smettere di parlare di musica africana, perchรฉ l’Africa รจ tante Afriche. Tra l’Etiopia e il Mali, il Marocco e il Sud Africa, tra Zanzibar e Capoverde ci sono delle affinitร , ma anche tante differenze. Un'altra cosa che mi propongo รจ quella di dimostrare quante sfumature possa avere il nero, inteso come oggetto culturale nella sua ricchezza e diversificazione. C’รจ chi, invece, tende a fare di tutto un unico disegno come se fosse una fotografia completa che racchiude tutto. Invece non c’รจ niente da fare gli scatti, e gli sguardi, devono essere tanti. Per questo credo che questa non sia solo una mostra sul dolore e sull’urgenza delle sofferenze di cui il popolo nero si  fa carico nella societร  attuale, ma รจ anche una mostra sulla felicitร . In alcune immagini sono descritti momenti di taglio quasi borghese, vengono messe a fuoco immagini di grande tenerezza e spesso c’รจ l’afflato entusiastico dei concerti, anche se non sono tanti i musicisti presenti e ho cercato di inserirli solo se le foto avevano un connotato visivo particolare. Ad esempio c’รจ la foto in piscina di Hugh Masekela o il volto deformato di Soul Williams che sono stati oggetto di due capitoli della mia rubrica Corzani Airlines. Ci sono le immagini da un concerto portoghese dei Konono n. 1 o, ancora, una fisionomia, una specie di figura in filigrana di Chassol.  

C’รจ qualche aneddoto da raccontare legato alle fotografie oggetto della mostra? 
Un ricordo che mi fa molta tenerezza รจ proprio quello legato a Hugh Masekela, scomparso pochi mesi fa. E’ uno scatto fatto in una piscina ad Oristano, una fotografia davvero casuale. Io ero nello stesso albergo e stavo al quinto piano e lui se ne stava giรน in piscina a fare le sue bracciate. Se non sbaglio era giร  oltre i settant’anni e stiamo parlando di cinque o sei anni fa. 
Uno splendido settantenne, insomma. Io gli ho rubato quella foto anche se poi non l’ho tenuta nascosta, perchรฉ l’ho girata alla sua manager che l’ha apprezzata molto. E’ un’immagine rubata senza malizia. Purtroppo non abbiamo fatto in tempo a far capitare una cosa di cui sarei stato molto contento: quella immagine avrebbe potuto essere la copertina di un suo disco, ma non c’รจ stato il tempo e, del resto, se ne era appena accennato. Quel galleggรฌo cosรฌ nobile, austero e anche imponente di Hugh Masekela in piscina raccontava molto della sua musica e di quello che poi quella sera stessa ad Oristano avrebbe messo in moto sul palco. Mi regalano emozioni e mi accendono ricordi anche molti scatti legati ai bambini. Ci sono tante foto di bimbi e ragazzi, di ogni latitudine. Ricordo gli occhi dei bambini del Mali, incontrati in un piccolo paesello sul Niger che si offrivano all’obiettivo, ma ti chiedevano di essere anche tu con loro nella foto. Dovevi farti un selfie con loro, perchรฉ non gli bastava solo essere rappresentati. Ricordo gli occhi brillanti e contenti della gente di San Basilio De Palenque e dei suoi ragazzi che festeggiavano un concerto che si teneva lรฌ. Non era una cosa ordinaria per un paesello cosรฌ sperduto nella foresta. La miccia che hanno spesso negli occhi i bambini, mi fa venire in mente anche un incontro fatto a Shashamane, questa specie di enclave giamaicana che Hailรฉ Selassiรฉ donรฒ ai caraibici che volevano trasferirsi lรฌ e ed รจ diventata il fulcro del Rastafari in Etiopia. Lรฌ c’era un bambino appoggiato ad una moto che mi guardava in maniera abbastanza sbruffoncella, quasi a chiedermi di essere fotografato e, infatti, quando gli ho fatto vedere la foto che gli avevo fatto era molto contento.

Quanto l’Africa รจ anche uno state of mind?
Luca Cavalli Sforza, grande genetista e antropologo, ha dimostrato che arriviamo tutti da lรฌ e c’รจ meno differenza tra un italiano ed un etiope che non tra un italiano del nord e un danese. Ci sono delle affinitร  che si intrecciano. I popoli sono stati sempre abituati a spostarsi e spostando sรฉ stessi spostavano anche i propri connotati culturali. L'africa, ripeto, soffre casomai di omologazione data dal fatto di considerare l’intero continente come se fosse un unico blocco compatto e omogeneo, invece dal punto di vista culturale racchiude altri continenti, e non saprei chiamarli in modo differente.  
La ricchezza dell’iconografia culturale e religiosa dell’Etiopia e di tutta quell’area che in parte ha generato miti e storie racchiuse nel Vecchio Testamento non puรฒ essere esaurita in un attimo, nรฉ tantomeno puรฒ essere omologata al patrimonio del Maghreb che รจ un altro mondo che va attraversato cercando di filtrare tutte le sue componenti. Parlare di Maghreb semplicemente come una zona islamica dell’Africa taglierebbe fuori tutto il popolo berbero, i Tuareg e terrebbe fuori anche tutta la diversificazione che c’รจ all’interno dell’Islam. Tra un Jihadista e un sacerdote sufi c’รจ la stessa differenza che troviamo tra un vescovo pedofilo e un prete di strada. 

Dopo questa premiรจre a Roma hai intenzione di far girare questa mostra in Italia? 
Oltre a questo primo step che รจ la mostra che parte il 4 ottobre allo Spazio44 a Roma, un circolo culturale piccolo ma molto attivo nella zona di viale Regina Margherita, mi piacerebbe molto poterla far girare, almeno per ora, in Italia. Lancio, quindi un invito ai lettori di Blogfoolk, che so essere una platea fatta anche di molti addetti ai lavori: se qualcuno, come dire, รจ rimasto sedotto da questo progetto o comunque รจ interessato a questi temi e a queste immagini e ha voglia di riproporle nella sua cittร , magari all’interno, ad esempio, di un festival, si faccia avanti e contatti me o la redazione di Blogfoolk.  

Salvatore Esposito

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