Fatoumata Diawara – Fenfo (Wagram/Montuno, 2018)

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L’opera seconda da solista di Fatoumata Diawara si intitola “Fenfo” (Qualcosa da dire) ed esce a distanza di sette anni da “Fatou” (2011), che l’ha fatta conoscere come una delle cantanti più innovative del Mali. Artista nata in Costa d’Avorio da genitori maliani, carattere indipendente e ribelle, la Diawara è vissuta a Bamako, capitale del Mali, fino all’età di diciannove anni. A quell’età aveva già avuto numerose esperienze teatrali e, per evitare un matrimonio imposto, è scappata in Francia prendendo il volo per Parigi con la compagnia teatrale Royale De Luxe, con la quale ha poi girato il mondo interpretando ruoli diversi. Nel corso della sua carriera teatrale sono sbocciate anche le sue grandi capacità vocali portandola a cantare anche negli spettacoli teatrali della compagnia. Dopo l’uscita di “Fatou” non sono mancate le collaborazioni musicali con grandi artisti, spaziando nei generi a trecentosessanta gradi, da Oumou Sangaré a Dee Dee Bridgewater, da Damon Albarn a Herbie Hancock, da Cheikh Lô a Roberto Fonseca, con i quali è stata impegnata in progetti che l’hanno vista in tour internazionali. La Diawara ha al suo attivo anche numerosi film: è apparsa, tra l’altro, nella pellicola “Timbuktu” del 2014 per la regia di Abderramane Sissoko, che racconta della pesante presenza dei jihadisti nelle zone rurali del Mali. 
In “Fenfo” troviamo undici brani composti da Fatoumata quasi esclusivamente nella lingua bambara e a tratti in inglese, e accompagnati alla chitarra acustica o elettrica da lei stessa suonata. Dotata di una voce potente, espressiva e molto dinamica, che affronta con efficacia ma anche con delicatezza il suo repertorio, di grande freschezza ed ispirazione, la Diawara si destreggia molto bene modulandola in chiaroscuri con sensualità, finezza e, al tempo stesso, espressiva semplicità. La chitarra è usata in modo non banale, con incisivi, melodiosi riff che “bucano” e rimangono nella memoria dell’ascoltatore. “Nterini” è il suggestivo brano d’apertura, in cui il canto è scandito da importanti percussioni, alla voce si aggiunge poi una melodiosa chitarra con la quale si crea un dialogo. Il brano è dedicato alla partenza dell’amato, è rappresentativo della migrazione a cui sono costretti, nel mondo, un miliardo di profughi, ed è accompagnato dall’uscita di un video-manifesto che rappresenta il senso complessivo dell’album. Curato da Aida Muluneh, fotografa ed artista visuale di origine etiope di stanza a Montreal, i cui lavori sono apparsi anche al MOMA di New York nella mostra “Being: New Photography 2018”, vede la ieratica Fatoumata cantare la tragedia della migrazione sullo sfondo di aridi paesaggi africani assolutamente fascinosi e di avvincente bellezza. Segue “Kokoro” in cui chitarre blues, percussioni potenti e basso sostengono la voce di Fatoumata che parla, racconta, urla, ulula. “Ou Ya n Ye” con basso e voce propone un afro-pop sincopato, mentre ci si rilassa con “Fenfo”, un’ondeggiante ballata dal canto melanconico con un solo finale alla chitarra in cui si raggiungono i vertici poetici di quest’album. “Kanou Dan Yen” gioca sulle voci, sulle sonorità della kora e sull’elettronica, mentre “Mama” è una dolcissima ninnananna cantata in stile Wassoulou, accompagnata nel finale dal violoncello di Vincent Segal. In “Takamba” si incontra un suggestivo, ipnotico basso ostinato, con voce e chitarra blues nel finale. “Don Do”, con Fatoumata alla chitarra acustica, Segal al violoncello, è una raffinata, sussurrata canzone con cui si chiude il disco. 
Se l’album rappresenta un’ottima, moderna sintesi tra elementi acustici tradizionali e fattura pop-rock occidentale, “Negue negue” dal ritmo veloce, e “Bonya” sono forse i brani in cui si colgono più esplicitamente i modelli commerciali del pop occidentale, di certo trascinanti e ben orchestrati, molto orecchiabili, con una chitarra incalzante che fa muovere i piedi e la voce di Fatou che veleggia alta. Nei testi si parla di emigrazione, amore, rispetto, destino, diritti delle donne; vengono onorati i genitori e l’essere africani, si raccontano le aspettative tradite di un bambino che scopre come va il mondo. Gli arrangiamenti sono quelli di un’artista nata e cresciuta in Africa e vissuta a Parigi e guardano al jazz, al rock, al pop e soprattutto al blues. In questo gran bel disco ogni cosa funziona: le linee di chitarra elettrica richiamano le sonorità brillanti della kora suonata da Sidiki Diabate (figlio di Toumani) e la batteria incalza rinforzando i ritmi impetuosi delle percussioni tradizionali. La collaborazione dell’autore francese Matthieu Chedid aka M, alla chitarra e all'organo - e coproduttore del CD insieme alla Diawara -, e del violoncellista Vincent Segal, elegantemente presente in due tracce, contribuiscono a un’impronta raffinata. Nel mese di luglio 2018, la rivista inglese “Songlines” ha dedicato alla Diawara una stupefacente copertina, molto “stylish”: Fatoumata rappresenta un nuovo modo di essere donna in Africa, fiera e con lo sguardo positivo rivolto al futuro. “Fenfo” è la sua potente voce. 


Carla Visca

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