Tanzania Albinism Collective – Our Skin May Be Different, But Our Blood Is The Same (Six Degrees Records, 2018)

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Il secondo album del Tanzania Albinism Collective è una collezione onesta e viscerale con forte attenzione a temi di libertà e riscatto sociale rivisti in un'ottica più sperimentale. Ian Brennan è noto al grande pubblico per aver brillantemente diretto progetti dal forte valore socio culturale come Tinariwen e Zomba Prison Project. Nel 2017 il produttore ha dato voce al Tanzania Albino Collective, un gruppo di albini non musicisti che ha partecipato ad uno workshop cantautorale gestito da Brennan ad Ukerewe, isola del lago Vittoria. Il primo album “White African Power” presenta le composizioni partorite durante il seminario e celebra difficoltà, gioie e dolori di una comunità minoritaria vittima di preconcetti e segregazione sociale. Il numero di albini in Tanzania è considerevolmente più alto rispetto alla media mondiale, si parla di una persona ogni 1400 contro una ogni 20000. Nella realtà povera e rurale della Tanzania chi è affetto da questa condizione è spesso ritenuto malato, maledetto o addirittura una creatura demoniaca. Contemporaneamente, molti maghi-guaritori convincono possibili compratori che gli arti degli albini abbiano proprietà magiche, creando un vero e proprio mercato nero che non risparmia nemmeno i bambini. 
Per queste ragioni essere albino in Tanzania è quasi sempre sinonimo di solitudine e segregazione ed il collettivo è figlio di questo clima terso di paura e distacco. “Our Skin May Be Different, But Our Blood Is The Same”, è il secondo album del gruppo ed è allo stesso tempo evoluzione e continuazione del primo lavoro. L'album è ritmicamente lontano dalle tipiche sonorità della musica Africana, ma manifesta alcune somiglianze con la tradizione come la semplicità delle melodie e lo stile canoro. “Disability”, traccia di apertura, è un inno alla normalità che con semplicità spiazzante urla al riscatto sociale. Con fare festaiolo invita a vedere la diversità come un valore anziché un difetto. “Running From The Sun” e “I Stay Home (The Killings: Part 1)” costruiscono con grande delicatezza la scenografia del disco, dipingendo con atmosfere ambient dei chiari paesaggi sonori in cui si inseriscono gli altri brani. La retorica sociale spicca in “Why Are You Killing Us?” e “Trapped (The Killings: part 2)”. 
I due pezzi, rispettivamente un manifesto ed un lamento, affrontano da più punti di vista un tema solo toccato nel primo disco che qui diviene centrale. L'album si chiude con la contrapposizione di due pezzi estremamente forti ma diversi: “Albino” e “Swimming in Sorrows”. Se il primo è l'espressione corale dell'orgogliosa comunità albina, il secondo è il pianto isolato di ognuno dei suoi membri. Già inserito nel primo album con il titolo di “Sorrows,” il è un pezzo estremamente intenso e viscerale. Riproposto con nuova produzione più oscura e cantato da un'altra donna del collettivo, non può non colpire e commuovere. L'apice emozionale, tuttavia, lo si raggiunge con il terzo brano “My Life (Abandoned)”. Un canto, un ritmo martellante ed un ronzio intenso, dapprima uniti ed infine disgiunti. L'intero pezzo, il più lungo dell'album con quattro minuti abbondanti di racconto, è una lenta disgregazione di tutto ciò che consideriamo familiare. 
La voce si fa via via più dissonante, il tempo diviene sempre più approssimativo ed il ronzio più turbolento. La consapevolezza cantautorale del collettivo è sicuramente cresciuta, come è aumentata la sperimentazione nel processo di produzione di Brennan. Senza mai essere invadente, il produttore riesce ad enfatizzare con grande successo i sentimenti del collettivo di albini. La semplicità delle composizioni le rende trasparenti, mettendo in luce il loro grezzo e sincero carico emozionale. Pur essendo un disco sicuramente particolare e non per tutte le orecchie, il suo potere comunicativo e l'immersione che sa generare fanno sperare in un terzo lavoro nel prossimo futuro. 


Edoardo Marcarini

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