Ridina Ahmedová & Petr Tichý – HLASkontraBAS (Poli5, 2017)

Dalla Repubblica Ceca ci arriva un album delicato e melodico, costruito interamente sulla voce e sul contrabbasso e imperniato a dovere su una scrittura ampia, fluida, estremamente ispirata. I due autori, Ridina Ahmedová (cantante, compositrice e insegnante di canto) e Petr Tichý (contrabbassista e compositore), hanno mescolato le loro attitudini, producendo un album molto equilibrato e mai ridondante. I due si conoscono da tempo e – come specificano in alcune note al disco – hanno deciso di scrivere insieme musica per soli due elementi: “acustica, pura, nuda e scevra del supporto di altri strumenti di accompagnamento”. Il programma è stato seguito con grande cura, perché se si eccettuano alcuni interventi di suoni da loopstation (utilizzati generalmente per doppiare alcune tracce) tutto si ferma sulla voce e le corde del contrabbasso. E il duo convince anche noi, quando, sottolineando l’idea che è alla base dell’album, descrivono l’esperienza che suonare insieme ha generato, le sensazioni, il gusto di immergersi nei riflessi di due sole voci: “c’è fragilità e forza, perché quando ci sono solo due strumenti si possono generare connessioni molto strette. È un viaggio intenso nella pura gioia del suono”. Ecco il punto di partenza e di arrivo di questo (quasi impronunciabile) “HLASkontraBAS”: il suono cercato nelle articolazioni naturali di un incontro ravvicinato, profondo e diretto. Un suono che vuole essere purificato attraverso non solo la sintesi (troppo facile), ma attraverso la comprensione dei riflessi più pieni delle note suonate con ponderatezza, con la consapevolezza che solo lì possono stare e solo lì riescono a sostenere gli altri elementi che, in questo profondo gioco di equilibrio, rispondono agli stessi principi. In una tale prospettiva – vagamente surrealista e capace di dar corpo a brani piacevolmente astratti – si può ascoltare uno dei “manifesti” della coerenza compositiva di questo album. Si tratta di “Bilá”, un brano disteso che sembra assorbire ogni vibrazione si riesca a immaginare, sorretto da poche note pizzicate del contrabbasso e avvolto in un manto straniante di interventi vocali, dolcemente reiterati dall’inizio alla fine. È un ottimo dato che ci permette di comprendere – sebbene nella scaletta si riconoscano delle differenze in alcune soluzioni esecutive – quanto i due siano in sintonia. Soprattutto perché sembra corrispondere a una sorta di perno, attorno al quale riescono a orientarsi gli altri sette brani dell’album. Ascoltando “Mustang”, il brano successivo, ad esempio, riusciamo (anche al primo ascolto) a riconoscere l’assetto della voce, che si propone sempre in una duplice veste di ritmo e melodia (forse più del contrabbasso), lasciando scivolare su una superficie di poche parole suoni differenti e interventi che si configurano come armonie regolari. Nonostante la struttura evidentemente diversa di questo brano, riusciamo a orientarci, comprendendo che la prima cosa da fare, in una situazione di scrittura come questa, è far uscire gli elementi di cui si dispone dagli schemi entro cui sono collocati per tradizione. È evidente (e questo è il regalo più grande che il duo ci fa) che non c’è spazio per le convenzioni. Non perché si debba per forza mettere la testa sotto l’argine della sperimentazione, ma perché è necessario allentare le trame delle forme che riconosciamo, facendone permeare qualche nuovo riflesso. Andando verso la fine ci si abbandona in “Letní” e “Zvanová”, due chiusure perfette di un percorso dentro i timbri. Soprattutto quest’ultimo è racchiuso in un andamento cantilenoso, in parte dovuto alle linee melodiche della voce, ma soprattutto alla capacità dei due musicisti di far coincidere gli strumenti in alcuni passaggi fondamentali. Passaggi che diventano di nuovo dei riferimenti dell’intera composizione, che qui si rappresenta nel modo più efficace possibile in varie forme di unisono tra la voce e la corda pizzicata. 


Daniele Cestellini

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