Fabio Macagnino – Candalìa (Sveva Edizioni, 2017)

“Candalìa” è un album profondo e curato, sia sul piano dei testi, dei racconti e delle immagini evocate, sia sul piano del suono, del timbro. È l’esordio discografico di Fabio Macagnino, cantautore calabrese, il quale si muove nella scena musicale e, in generale, artistica, calabrese (e non solo) da diversi anni. Prodotto e magistralmente arrangiato da Paolo Del Vecchio, il disco è composto da dieci tracce e ascoltarlo dall’inizio alla fine significa proiettarsi in uno scenario estremamente libero, leggero e mai scontato, pieno di aria, soffiata in melodie vocali bellissime (“Canzuni dici”), che sospendono il tempo con piacevole naturalezza. L’orizzonte indagato da Macagnino vuole soprattutto ricondurci a strutture e costruzioni che conosciamo. Sia quando si lascia attrarre da forme più riconoscibili (“Ricominciare”), sia quando aderisce a un insieme di profili più originali, spesso compresi dentro un’indagine delle espressioni tradizionali. Questi due poli, a ben vedere, si intrecciano con armonia, a dimostrazione di una competenza acquisita nel tempo, di una conoscenza impreziosita dalla capacità di coinvolgere tutti gli elementi in una narrativa che può solo definirsi personale, (direi) originale. Si riconoscono i riferimenti più importanti del panorama musicale italiano (“Suli”), permeato da interpretazioni sempre sciolte, che vanno diritte al sodo, al significato più importante espresso dalle parole e dalle musiche. Sul piano più strettamente musicale, non si può non notare l’utilizzo raffinatissimo delle chitarre, suonate da Paolo Del Vecchio che rappresentano l'asse portante degli arrangiamenti.“Blue Dahlia” è uno dei brani più rappresentativi di questo percorso soffuso e allo stesso tempo delimitato, ben marcato e mappato. Ci troviamo in una scena esclusivamente acustica, entro la quale gli strumenti sembrano voler procedere per coppie, creando dei flussi dicotomici estremamente affini e definendo un’atmosfera onirica che trasporta l’ascoltatore nei luoghi descritti dalla voce. Si parte con la chitarra acustica di Del Vecchio, a cui si affianca il banjo, si prosegue con violoncello e violino suonato da Lino Canavacciulo, ci si appoggia su basso acustico e batteria, per guardare in alto con tromba e fisarmonica. Insomma la capacità descrittiva di questo insieme di “voci” è di alto livello. Tutto coincide e tutto confluisce in una sorta di sostegno affabile, gentile e convincente. Tutto ci porta a delineare i tratti di ciò che si racconta con la voce, apprezzando una sintesi efficace e sempre equilibrata, impregnandosi di uno spazio onirico e, allo stesso tempo, estremamente concreto: “Al bancone delle essenze/ ci sta un orco alchimista/ condottiero di battaglie perse/ troppo dolce per la guerra/ ci sta una rosa nel bicchiere/ troppo delicata per questa terra”. In molti brani si nota anche uno dei punti di forza di questo artista, che possiamo riconoscere in una capacità non comune di lavorare con le parole e incastrarle in un flusso musicale che appare sempre lineare, naturale appunto. Ogni passo dimostra un uso consapevole della metrica, del cadenzare delle parole. Attenzione, si tratta di una metrica che non si irrigidisce mai, ma che riesce a stabilire un ordine in cui gli elementi più importanti dei brani confluiscono in modo sempre bilanciato. Un po’ più avanti nella scaletta, posta quasi alla fine, si trova “Germania”, uno dei brani più “leggeri” dell’album. Ripercorre un modello narrativo che richiama alcune prassi popolari, a partire da un endecasillabo serrato e un sistema di rime che spesso rispetta uno schema reiterato. L’atmosfera in cui ci troviamo è senza dubbio scherzosa e “popolare”, per quanto sia puntellata di elementi timbrici e melodici molto originali. Difatti, quasi a voler articolare più in profondità una struttura evidentemente diffusa e riconoscibile, è uno dei brani in cui compaiono più strumenti (hammond, bousouki, programmino, fiati, percussioni, piano e batteria). I quali, nel loro insieme, configurano un ambiente sonoro stratificato che, a mio avviso, può bene rappresentare la visione musicale di Macagnino e le declinazioni che ne sono confluite in questo ottimo “Candalìa”. 


Daniele Cestellini

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