La “Passionate Voice” è quella di Supriyo Dutta, cantante cresciuto nell’humus culturale di Kolkata, all’interno del lignaggio musicale (gharana) Indore. Proveniente da una famiglia che coltiva la passione per la musica classica indiana, Dutta inizia a studiare canto alla precoce età di cinque anni con Shri Bidhan Mitra, per essere, in seguito, accolto come allievo prima da Pandit Ramkrishna Basu, già discepolo del grande Ustad Amir Khan, e poi da Vidushi Subhra Guha.
Si tratta di un cantante molto rispettato per il suo talento, che ha conseguito numerosi riconoscimenti in patria e che miete consensi anche all’estero, come concertista e didatta, tra i cultori della musica del nord dell’India in Europa e negli Stati Uniti. Dotato di notevole potenza vocale, Dutta si muove con versatile padronanza nei moderni stili classici indostani khayal e tarana, nella forma semiclassica thumri, nei canti devozionali bhajan e sufi (o – per meglio dire – nei canti ascoltati dai sufi). Inoltre, la sua sensibilità e le sue doti creative lo hanno portato a produrre composizioni proprie. Parliamo di musica modale, in cui lo sviluppo improvvisativo, all’interno di una grammatica di forme e stili prestabiliti, è uno degli aspetti sostanziali dell’eccellenza canora.
Il disco, pubblicato da Felmay, accresce la già consistente collana dedicata al canto classico dell’India settentrionale dell’etichetta piemontese. Dutta è in coppia con il maestro milanese Federico Sanesi alle tabla, ma ai due si uniscono anche Debashis Adhikari all’harmonium e Umesh Mishra al cordofono ad arco sarangi.
L’apertura, “Vilambit khayal in Jhumra Taal”, è un raga Bihag della durata di ventisei minuti, adatto alle prime ore della sera: il brano evidenza la grande flessibilità canora di Supriyo, il quale nel preludio (alap) e nella prima parte della composizione, più pacata e meditativa, si produce in disegni melodici brillanti e ricchi di ornamentazioni, che culminano nella seconda parte, quando il canto assume una progressione accelerata ed energica e i vocalizzi improvvisativi dettano legge. “Drut khayal in teen taal”, il secondo brano (di sei minuti), è un altro raga Bihag: qui, con cicli ritmici più sostenuti, non è meno pronunciata la consapevolezza improvvisativa del cantante. Nel clima emotivo kedar - raga di antica origine – si svolge “Tarana”, un canto nell’omonimo stile leggero ma esuberante, che si narra sia stato ideato nel XV secolo da Amir Khusru, musicista di origine turca che non conosceva il sanscrito. Difatti, il vocabolario canoro è soprattutto di tipo sillabico, con l’utilizzo di parole e fonemi persiani e arabi, accostati secondo tempi musicali medi e veloci. Ultima traccia dell’album è “Dadra”, dodici minuti esposti nel modo del raga Misra Dhanasri, che ha i suoi natali nel Rajasthan. Dutta riafferma la sua personale espressività vocale, attingendo questa volta al genere thumri, uno stile definito semi-classico, che presenta un procedere melodico elegante ma più tenero e aggraziato, molto evocativo e drammatico, nonché associato alla dimensione coreutica.
Come sempre per le produzioni Felmay, le ampie note del booklet aiutano a districarsi nei principi e nelle forme musicali indostane. Tuttavia, è vero che la voce è lo strumento sovrano della musica indiana, mezzo di elevazione spirituale e di vibrazione compiuta di corpo e mente, cosicché questo disco di Supriyo Dutta e Federico Sanesi non necessita di conoscenze ardite per essere amato e per farsi ascoltare e riascoltare.
Ciro De Rosa
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