A curare la messa in circolo integrale delle storiche, inestimabili registrazioni della campagna di rilevazione salentina posta in essere da Alan Lomax, nel corso del suo esteso e “felice” anno italiano, e da Diego Carpitella, non poteva che essere Maurizio Agamennone, allievo dell’etnomusicologo calabrese, accademico di chiara fama, impeccabile estensore dalla penna felice quando si tratta di combinare profondità della riflessione e limpidezza comunicativa. Agamennone è da sempre immerso nella sonosfera salentina e si è già occupato, per lo stesso editore romano, del volume sulle registrazioni di Carpitella e de Martino nel biennio 1959-1960 nella “terra del rimorso”.
Nella rapida ma intensa ricognizione condotta intorno alla metà di agosto del 1954 il “professore americano” (che parlava ‘itagnolo’: uno spagnolo italianizzato, ci dice Carpitella) e il trentenne studioso italiano percorrono le strade del tacco d’Italia su un pulmino Volkswagen, nel quale è ammassato il loro equipaggiamento e dove qualche volta dormono pure, con alle spalle un mese e mezzo di ricognizione in Sicilia e Calabria; dal 12 al 17 agosto raccolgono un’imponente documentazione che unisce bellezza a straordinario valore storico-culturale.
È opportuno in questa sede ricostruire le necessità che condizionavano il lavoro dei documentaristi, mossi dalle istanze dell’“urgent anthropology”, da tempi e materiali di rilevazione contingentati e da ottimizzare anche a causa di fattori economici, dalla volontà di offrire una rassegna etnografica ampia, fissando materiali che potessero essere divulgati mediaticamente, nei dischi o nelle trasmissioni radiofoniche. Ciò comporta che nella costruzione del dato etnografico i due studiosi siano stati condotti a raccogliere esecuzioni affidabili tanto nei testi quanto nella forma, piuttosto che prassi performative mutevoli.
In quasi quattrocento pagine, con un corredo di ventuno foto in bianco e nero, e tre CD che fanno oltre 170 minuti di musica, il volume – pubblicato nella collana degli Archivi di Etnomusicologia Nazionale di Santa Cecilia – ricostruisce la vita musicale delle comunità salentine con rilevazioni fatte a Lecce, Martano, Calimera, Galatina, Gallipoli, Galàtone, Muro Leccese, Corigliano D’Otranto.
Nel primo capitolo, “Quale Salento”, Agamennone contestualizza sotto il profilo demografico e sociale l’ambiente della ricerca. Poi, si rivolge in chiave diacronica all’analisi della cultura alloglotta salentina (“Il ’grico’ e la tradizione ellenofona”). In “Quale etnografia: due grandi documentaristi sul terreno” è messo l’accento sullo scenario d’azione, mettendo a confronto i dati di precedenti raccolte e le note conservate nell’archivio Lomax sulla relazione etnografica con gli interlocutori (valgano come esempio le conversazioni di Carpitella con le due lamentatrici funebri inerente ai modi esecutivi e i sensi simbolici della lamentazione funebre grico-salentina): un prezioso passaggio, riscontrabile anche nelle registrazioni, per cogliere le condizioni e le modalità con cui si realizza la costruzione del dato musicologico con la fitta trama di eventi legati all’indagine dei documentaristi, che registrano in ambienti diversi, come case private e spazi pubblici. Il denso capitolo “Quali musiche” offre una sistemazione critica delle tipologie di materiali raccolti da Lomax e Carpitella e dei loro esecutori, esaminandone la struttura e avvalendosi anche di trascrizioni musicali. Con “Soglia messapica”, invece, Agamennone allarga lo sguardo, confrontando alcune forme musicali dell’indagine della coppia di ricercatori con i canti proposti nel documentario coevo (precisamente precedente di qualche mese) di Roberto Costa, andato in onda sull’allora Terzo Programma radio della Rai. Nel capitolo “I documenti sonori” è fornito un minuzioso apparato di note esplicative sui brani e sugli interpreti, con i testi poetici di cui è fornita la relativa traduzione. Pur non ripercorrendo nel dettaglio il contenuto dei settantanove brani incorporati nei tre CD, osserviamo la presenza di notevoli polifonie, espressione di un vero habitus culturale nella sociabilità sia maschile che femminile, di formidabili lamentazioni funebri eseguite da specialiste del cordoglio. Ancora, c’è una pizzica-pizzica (quella di Galatone, un solo esempio a conferma di un repertorio locale ben più articolato), i canti di lavoro, i canti carnevaleschi, le ninna nanne, le serenate e le canzoni ellenofone, i canti di questua e di Capodanno, le testimonianze cantate della “grande storia” e, non da ultimo, il repertorio di un potente gruppo vocale-strumentale gallipolino.
Considerata l’odierna centralità espositiva del Salento e la “distorsione” della sua musicalità, centrata sulla “taranta”, il volume delle registrazioni integrali della ricognizione di Lomax e Carpitella non si prefigge il fine di interloquire solo con lo studioso o il musicista, ma si configura come fondamentale percorso conoscitivo per una più solida comprensione delle musiche tradizionali nel Salento. Inoltre, come per altre perle dell’editore Squi[libri], il valore di questo studio sta nella restituzione alle comunità locali di un patrimonio inestimabile che contribuisce a ricostruire la storia culturale del nostro Paese.
Ciro De Rosa