Rob Curry e Tim Plester – The Ballad of Shirley Collins (Fire Films, 2017)/AA.VV. – The Ballad of Shirley Collins OST (Earth Recordings, 2018)

#ANTEPRIMA

“Folk Roots, New Routes” (1964), inciso da Shirley con il chitarrista Davy Graham, è uno dei dischi seminali del folk-rock britannico; il suo “No Roses” (1971), che vide la nascita della Albion Country Band, è stato un altro pilastro del nuovo folk inglese; in coppia con la sorella indimenticata Dolly all’organo portativo e una pletora di artisti incide quell’altra pietra miliare che è la suite “Anthem in Eden” (1969). Stiamo parlando della cantante e folklorista, Shirley Collins nata a Hastings nel 1935, che con il suo repertorio di ballate tradizionali britanniche e di materiale americano è una delle figure di riferimento del folk revival inglese. All’inizio degli anni Ottanta un terribile trauma emotivo (una disfonia seguita alla separazione da Ashley Hutchings, fondatore dei Fairport Convention, che l’aveva lasciata per un’attrice che Shirley incontrava regolarmente alla prove e agli spettacoli teatrali prodotti dal National Theatre) la costrinse ad abbandonare del tutto la scena musicale. Una cantante perduta (al di là delle preziose antologie e della partecipazione al progetto Current 93) e ritrovata grazie al suo recente ritorno da ottuagenaria con lo splendido “Lodestar” (2016), registrato nella sua casa di Lewes, nell’East Sussex. Adesso, il docu-film di Rob Curry e Tim Plester (già registi di “Way of the Morris” sul mondo della morris dance), da poco in circolazione nel Regno Unito, e che si spera possa essere distribuito anche in Italia (altrimenti ci si dovrà rifare con il DVD), ripercorre la straordinaria vita di Collins, una cantante che possiede la grammatica della ballata, capace di fare proprie come pochi interpreti i motivi, i temi, lo spirito delle ballate tradizionali: «When I sing I feel past generations standing behind me», ha dichiarato in un’intervista. Collins sottolinea come il suo background sociale working-class l’ha condotta ad occuparsi di storie di sfruttamento e di ingiustizie, a non tralasciare mai gli informatori, i depositari della tradizione orale che meritavano di essere rispettati e di essere conosciuti. 
Tra ambientazioni casalinghe, esterni nella campagna del Sussex che fa molto Old England, bonfire e revival di rituali agresti, il film ricostruisce attraverso lettere, vecchie foto, pellicole 16 mm, testimonianze di fan (dal comico Stewart Lee a David Tibet di Current 93, al cantautore Sam Amidon), ma soprattutto il filo della memoria della protagonista quei formidabili anni della carriera di Shirley. Nella prima parte Collins, intervistata da Stewart Lee, un devoto della sua arte, richiama gli inizi della carriera, quando proveniente da una famiglia della working class, diventa cantante nei folk club londinesi, già a 17 anni. C’è l’incontro con Alan Lomax a una festa a casa di Ewan McColl – gli ricordava un bisonte americano per il suo aspetto fisico, dice Shirley –, l’infatuazione per lo studioso texano e la partenza della coppia (Shirley aveva 24 anni: era il 1959) per il Sud degli Stati Uniti per raccogliere un poderoso corpus di folk songs (Un’esperienza raccontata da Shirley Collins nel memoir “America Across the Water”, 2004). Di ritorno nel Regno Unito, Collins continua la sua ascesa come cantante diventando una stella del folk, mentre apprendiamo che l’ associazione con Lomax, McCall e ad altri personaggi della musica popolare dell’epoca li porta ad essere messi sotto osservazione dall’intelligence della ‘democrazia’ britannica. In forma di contrappunto, il film documenta le fasi di lavorazione e di incisione di “Lodestar” (prodotto da Ian Kerey della Oyster Band); la telecamera segue il racconto di questa magnifica signora, schiva e modesta, amabile e fascinosa per il suo acume, ricostruendo i fasti del revival fino al drammatico abbandono delle scene a quarantatré anni e i tanti lavori svolti per mantenersi ed avere i benefit del welfare fino alla soglia dei sessant’anni («finalmente ero libera», dice Shirley), senza però mai abbandonare l’interesse per la musica e le storie cantate. 
Le vicende si ricongiungono con il ritorno sulla scena artistica e le session di registrazione casalinghe in un’atmosfera raccolta e amorevole fino alle sequenze conclusive in cui Collins, ultimate le registrazioni, è sul divano con gli occhi socchiusi e si lascia andare a un sorriso compiaciuto. “The Ballad Of Shirley Collins” è anche un disco in uscita a marzo 2018 per l’etichetta Earth Recordings, contenente la colonna sonora del film. L’album raccoglie ventuno tracce, tra le quali ballate cantate da Shirley, una registrazione casalinga di sua sorella Dolly e una session alla BBC nel 1958, oltre a chicche collezionate dalla musicista e da Alan Lomax durante la ricerca sul campo negli States. Occhio, collezionisti: perché l’album è realizzato in edizione limitata come vinile di colore rosa e nel Regno Unito esce in formato CD e DVD de luxe con materiali extra. Inoltre, si attende anche la pubblicazione dell’autobiografia “All in the Downs: Reflections on Life, Landscape and Song” (Strange Attractor), che racconta della sua integrità artistica, della dedizione di una vita alle folk song inglesi e al paesaggio del nativo Sussex. Doverosi omaggi a “The High Queenie of English Folk”. 


Ciro De Rosa

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