“Canti, ballate e ipocondrie d’ammore” di Canio Loguercio e Alessandro D’Alessandro (edito da SquiLibri Editore) è una delle più belle produzioni del 2017. Sicuramente la più completa, originale, vissuta. Canio e Alessandro hanno portato in giro il loro spettacolo un po’ ovunque, in una specie di work in progress cominciato molto prima dell’uscita del cd - quando li potevi ritrovare soli soletti in qualche teatrino off, magari con pochi spettatori (sempre invariabilmente entusiasti) - e che idealmente ieri ha fatto una sosta autocelebrativa (più che dovuta) all’Auditorium Parco della Musica, con un Teatro Studio “Gianni Borgna” strapieno e rigoglioso di allegria e di buone intenzioni. O forse era solo un mettere in pausa per chiedersi: dove siamo arrivati? Beh, chi scrive segue i due – anzi li stalkerizza – da tempi non sospetti e ieri ha guardato con soddisfazione al meritatissimo successo che i due ragazzi (con trenta anni di differenza d’età) hanno raggiunto. Loro, non a caso, si sono aggiudicati il nostro BFCHOICE del 2017. Hanno anche vinto la Targa Tenco per l’album in dialetto – riconoscimento sempre di grande prestigio, malgrado le polemiche amare che il Club sanremese ha vissuto negli ultimi tempi – e l’hanno vinta con grandissimo merito. Era giusto festeggiare un’annata così frizzante. E l’impressione è stata davvero positiva.
Certo, è difficile ricreare la magia di quella notte di qualche anno fa, ad Aliano, quando i due incantarono una piazza gremitissima e religiosamente silenziosa e felice: un auditorium garantisce un’acustica diversa (anche se non sempre: ieri i fonici non sono stati impeccabili) e soprattutto dà quel tocco di ufficiale eleganza che da una parte rappresenta una crescita, dall’altra tiene le distanze tra pubblico e artisti. Eppure i due sono cresciuti, sono più sicuri della loro forza, anche se a volte – soprattutto Canio, il più bambino dei due malgrado le falsità dell’Anagrafe – sembrano non crederci nemmeno. Invece no: il loro è il successo sincero e poderoso della bellezza e dell’arte. Canio sembra sempre di più un personaggio uscito dall’angolo di uno schermo che proietta un film muto comico: un omino che somiglia un po’ a Buster Keaton, un po’ a Wody Allen, un po’ a Macario. Alessandro ha sempre più l’aria del Maestro di Coro e d’Orchestra, quello che sa tutto del quando e del come. Non un accordo gli sfugge, non un passaggio degli ottimi musicisti che condividono questo percorso: Giovanna Famulari (violoncello, pianoforte), Cristiano Califano (chitarre, basso), Giuseppe Spedino Moffa (chitarre, basso, zampogna – e che zampogna: la suona come fosse uno strumento da Rocker!), Massimo Cusato (percussioni, batteria); Alessandro è una certezza che indica la strada al viaggio verso la Luna di Canio.
Perché il nostro omino, fuggito da un fotogramma di un film, ora ha allargato le ambizioni: non va più verso Foggia e nemmeno verso Lourdes; chi è stato anche solo una volta a vedere uno spettacolo di Loguercio sa tutto della strada che porta a Foggia anche se ancora non ha ben chiaro perché andarci. E mentre ci si perde ancora nel cercare risposte, il nostro omino ha deciso di raggiungere la Luna. Se l’ha fatto Neil Armstrong può farlo anche lui. Sempre ammesso che qualcuno ci sia mai davvero arrivato: magari era solo il giardino del cugino di Tony Lo Cicero! (ma questa è un’altra storia…). Sia quel che sia, tutto questo è comunque sempre dovuto a una ipocondria d’ammore: l’impianto è sempre quello dei pezzi pieni di sangue e di umori scritti da Canio e - per la maggior parte- da Rocco de Rosa. Si piange ancora sull’amore disfatto, destrutturato, abbandonato, desolato; sul vibrione che ci attacca il virus dell’amore non corrisposto, che prende allo stomaco senza dare respiro; un po’ come a volte fanno la vita e il tempo che passa. Uno dei pezzi più belli di Canio, “Cumpà”, scritto ricordando l’amico Pasquale, scomparso qualche anno fa e sempre rimpianto, parla proprio del tempo che vola e se ne va. E a sorpresa ieri sera Canio è stato accompagnato nell’interpretarlo da un egregio Carlo Valente - giovane cantautore che riduce in brandelli ogni palco con la sua energia: un ragazzo che si farà e non ha nemmeno le spalle strette - che ha fatto una rilettura rap del pezzo, mentre la zampogna di Spedino si produceva in suoni da far invidia a Keith Richards.
Carlo era lì come rappresentante dell’Officina Pasolini, una realtà romana straordinaria, di cui bisognerà parlare a lungo. Bella la sua “Crociera Maraviglia”, che affronta il tema delle migrazioni nel Mediterraneo con energia e coraggio; affronta lo stesso tema anche Erica Boschiero - che in “Canti , ballate e ipocondrie d’ammore” ha interpretato “Quasi fosse amore” - nella sua struggente “Memoria dell’acqua”, che ieri ha spaccato il cuore di chi c’era. Ospite della serata anche un’altra giovane appena diplomata all’Officina Pasolini: Marat. Insomma, tanta musica, tanto coraggio, tanta giovinezza, tanta materialità e tanta trascendenza… grazie ai collegamenti in diretta “spiritica” con le anime di Neil Armstrong e Fabrizio de Andrè, che giocano a carte con Luigi Tenco e Lucio Battisti, nel bar dell’al di là “Lucio Dalla”. In effetti i due ieri sera parlavano una strana lingua del Sud: forse in Paradiso si parla un dialetto meridionale? E perché no? Andrebbe chiesto al Prof. Domenico De Masi che ha deciso di prestare la voce alle illustri figure invocate. Insomma, risate, musica, gioia di stare insieme, senza prendersi sul serio ma nella consapevolezza di esserci. Preziosamente. E domani cosa faranno Canio e Alessandro? Andranno con la lenza a pescare sulla luna? Chi lo sa. Noi di certo li andremo a cercare.
Elisabetta Malantrucco
Foto di Cristina Canali
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