Beppe Gambetta – Short Stories (Borealis Record, 2017)

“La vergine degli Angeli” era già in “Serenata” (2011) con Carlo Aonzo. Una interpretazione però che stavolta è riproposta per chitarra sola, dove tu, più di altre volte, sembri strizzare l’occhio alla chitarra classica. Come mai hai deciso di riproporre proprio questa aria, in una versione più minimale?
Ho cercato di ridurre alcuni brani del mio repertorio con Carlo Aonzo alla sola chitarra perché ci sono sempre dei fan di questo progetto che mi chiedono di suonare qualcosa; quindi è sempre bello poter offrire qualcosa da quel progetto. La cosa interessante di questa ricerca, praticamente la storia di questo, è che i chitarristi folk del secolo scorso, cento, centovent’anni fa, probabilmente non avevano le possibilità di ascoltare musica su radio o dischi, quindi trascrivevano queste opere che per quei tempi, forse, rappresentavano la musica pop. E la cosa forte è che a quei tempi non esisteva un esatto muro tra la musica accademica, classica, e la musica popolare, le due cose si rimescolavano con più facilità. Quindi troviamo artisti folk che inseriscono nel loro repertorio brani classici, e questa è una caratteristica di quell’epoca che mi ha sempre affascinato. Chiaramente la tecnica per suonare melodie mooolto lente sulla chitarra necessita di un tremolo, quindi ho dovuto sviluppare a mio modo una forma di tremolo che mi consentisse di suonare questo tipo di melodia. È una sintesi tra tremolo classico e forme popolari di tremolo che derivano dal cross-picking americano, da quello celtico o altro. Comunque questa riduzione è una cosa che avveniva nel tempo così, normalmente, da parte dei chitarristi folk; quindi ho voluto continuare in tempi moderni a fare la stessa cosa, come ricordo di questo periodo del passato. In più penso che, essendo io artista internazionale che si muove sempre in ambiti folk, è molto bello ogni tanto avere questo orgoglio per qualcosa di meraviglioso che abbiamo nella nostra tradizione, nel passato della nostra musica. Quindi, nel momento in cui mi trovo in questi grossi festival dove c'è il palco con cui sono insieme ad artisti di etnie e tradizioni completamente diverse, è molto bello portare fuori la mia italianità e suonare un brano d'opera, o l' “Ave Maria” sarda o qualche melodia incredibile che è stata composta in Italia.

In “Short Stories” c’è ancora una volta spazio per Fabrizio de André, di cui stavolta riprendi ben due brani. Se “Jamin-a” viene dopo “Creuza de Ma”, “A Cimma” e “Sinan Capudan Pascià”, con “Il Pescatore” invece per la prima volta reinterpreti De André in italiano. Cosa significa per un artista italiano, ma soprattutto per un artista genovese, reinterpretare Fabrizio De André?
Le considerazioni sono diverse. La prima è che Fabrizio De André all'estero non è conosciuto; un po' di persone lo conoscono forse in Germania, ma in tutti gli altri viaggi, in qualsiasi altro luogo vada, questa nostra figura, che è proprio il nostro monumento, la nostra bandiera, è semisconosciuta; solo qualche intellettuale vero conosce il suo lavoro. Diciamo che questo è sempre stato il mio punto di partenza. Fin da circa trent'anni fa, quando era ancora in vita, io ho deciso di inserire all'interno del mio concerto sempre un brano di Fabrizio De André che fosse affine alla mia sensibilità folk. Quindi sono circa trent’anni che io ho un brano di Fabrizio De André all'interno del mio concerto in America, in Germania … specialmente all’estero. È una cosa che è un mio punto d'orgoglio: portare questa musica meravigliosa, che pochi conoscono, all’estero. Questo è il punto di partenza. La cosa bella è che ho avuto anche da Fabrizio De André in persona il ringraziamento per suonare la sua musica all'estero. Quando ho iniziato a fare “Creuza de Ma” la prima volta gli ho chiesto il permesso, gli ho portato la cassetta con la mia versione e lui mi ha detto: “grazie che porti la mia musica fuori dall'Italia.” Ed è una cosa molto importante per me. Quindi il motivo fondamentale per cui suono De André è questo, non si riferisce tanto l'Italia, quanto al resto del mondo; e questo si riferisce alla prossima “Acoustic Night”, che ha proprio questa idea di far tradurre ad artisti stranieri la grande musica De André e spingerla verso mondi diversi. L'altra considerazione che si deve fare è che la musica di Fabrizio de André è veramente immortale. Lui aveva delle intuizioni che erano fuori dal suo tempo, riusciva a dare una lettura a problemi sociali, a cose che accadevano, che erano avanti nel tempo di non so quanti anni. Facciamo un esempio: “Andrea”; ha parlato del problema dell'omosessualità in tempi in cui gli omosessuali non erano accettati completamente dalla nostra società. Adesso abbiamo il matrimonio, e sono stati fatti passi avanti incredibili. Lui già trent’anni fa ne aveva parlato, e se guardi tutti i temi che ha trattato, lui aveva questo senso morale, questo senso della storia, per cui poteva parlare a generazioni completamente diverse e analizzare quello che succedeva. Quindi è interessante vedere come la sua opera ci parli ancora in maniera profonda anche al giorno d’oggi. 
Foto di Antonello Sacco
Il problema è che in Italia è un po' … “super trattato”, nel senso che c’è questo grosso problema del karaoke di De André. Ci sono un sacco di artisti che riproducono De André come se fosse una cover band, ed è effettivamente molto riduttivo e sprecato; è un qualcosa in movimento che va così, che va mosso verso il futuro. Quindi, partendo da questi presupposti, continuo ad avere sempre un brano di De André nel mio spettacolo all'estero; è da trent’anni che c’è, e sono felice di avere fatto questa scelta.

Uno sguardo al tuo lato “americano”. Beppe Gambetta, un chitarrista bluegrass di Genova capace di “vendere il gelato agli eschimesi” e che diventa un rispettatissimo musicista in America. Eppure, da un recente ricerca sull’ascolto in streaming, risulta che il rap ha sorpassato tutti gli altri generi [Corriere.it del 17 luglio 2012]. Qual è il posto della musica per chitarra acustica negli Stati Uniti oggi?
Beh, secondo me è più interessante parlare non strettamente di chitarra. Forse la musica strettamente per chitarra acustica è sempre stata abbastanza una nicchia, e continua a rimanere una nicchia. Se invece parliamo di nuova musica acustica legata alla roots music americana come un fenomeno un po' più ampio, di cui chiaramente la chitarra fa parte, direi che il momento artistico-storico per la musica roots e le sue diramazioni progressive è estremamente buono. Nel senso che, se dobbiamo fare una valutazione di quella che è la scena, di quello che sono gli artisti e le produzioni, è un momento in cui esistono festival legati a questa musica, come il Merle Fest, il Telluride Fest, Strawberry, Grey Fox, Winfield (Kansas), dove si incontrano non migliaia di persone, ma decine di migliaia di persone, e si incontrano proprio per l'amore per questa musica, per la gioia di stare insieme e di suonare insieme. In America esistono ancora delle riviste cartacee che si occupano di musica, esiste ancora “Bluegrass Unlimited”, esiste “Acoustic Guitar”, esiste ancora “Sing Out”. 
In America esistono centinaia di stazioni radio che hanno la trasmissione di musica roots che va un po' dalla chitarra folk, bluegrass, a tutto un insieme di musiche di quest’area. Esiste una chart in cui “Short stories” tra l’altro è entrata [Folk Dj-List, v. recensione al disco n.d.r.]. Ci sono dischi che riescono ancora a vendere nell’ordine delle tante migliaia e un insieme di giornalisti, di blog, produttori di strumenti. Esistono conferenze tipo “Folk Alliance” o “IBMA” [International Bluegrass Music Awards n.d.r.] in cui tutti gli operatori legati a questo a questo tipo di musica si incontrano e portano avanti l'organizzazione dei loro festival. E poi esiste la cosa più importante: un circuito di coffee house in cui vige questa legge che da noi è sempre stata un po' antipatica (perché la parola meritocrazia l'ha portata avanti Berlusconi) però, al di là di questo nostro aspetto diciamo “italiano”, generalmente vige proprio il fatto che chi riesce ad avere un pubblico, chi è ascoltato, viene richiamato; il pubblico viene e per me, musicista italiano, questo ambiente così sano è sempre stato la mia ancora di salvezza. Un ambiente basato sul fatto che ci sia una grossa richiesta e un grosso seguito per la musica, un insieme di club house, di locali in cui la gente paga per ascoltare chi suona questa musica. Quindi per me, anche se per radio si ascolta più rap che altri generi musicali, alla fine nel viaggio, e nell'incontro con le realtà che si incontrano su tutto il territorio, in America esiste una realtà legata alla musica roots che è sana. Forse gli americani hanno una supremazia nell'amare la musica più che nel resto del mondo, nel senso: loro sono i numeri uno perché anche nel massimo della crisi l'americano va ad ascoltare la musica e spende soldi per la musica, e vive per la musica più che altri. Sì, è in un momento in cui c'è un baratro in America, questa nuova presidenza … . 
Ci sono preoccupazioni di tutti i tipi, però chi ama la musica, le persone che hanno sensibilità e che vivono per la musica, sono un numero immenso e, tornando alla tua domanda, la scena acustica americana per la musica indipendente roots, è sana, bella, produce talenti, ed è generalmente contro questo andamento politico sociale che sta portando l’America forse (da altri punti di vista) a fondo, a sbattere contro il muro. Però la scena della musica acustica è molto bella, vitale e sana.

Se volgiamo lo sguardo al panorama italiano, probabilmente non ci sono mai stati tanti chitarristi acustici in attività quanto oggi. In più festival, meeting, corsi …. Tu stesso sei sempre stato attivamente impegnato nella didattica. In che direzione sta andando la musica per chitarra acustica in Italia, oggi?
Secondo me la musica per chitarra acustica è viva e vitale anche da noi perché ci sono alcuni festival, ci sono delle realtà; poi chiaramente la tecnologia aiuta la formazione di nuovi talenti. Ci sono ancora in attività chitarristi storici perché Franco Morone, Riccardo Zappa etc. sono tutti chitarristi delle generazioni precedenti, e in più adesso si aggiungono nuovi talenti che sono sicuramente molto interessanti. Il mio unico cruccio di questa scena italiana è che si tende sempre a copiare degli stili stranieri. Non sta uscendo fuori una via italiana alla chitarra acustica in maniera forte. Vabbè, chiaramente … parlo io che per tutta la vita mi sono innamorato della musica americana! Però in tutta la mia carriera ho cercato di fare una sintesi che provasse a comprendere anche, e riscoprire (come ho detto nelle domande precedenti) la nostra bellezza. Secondo me la musica per chitarra in questo momento continua a rivolgersi a esempi stranieri. Ci sono questi grandi filoni del suonare la chitarra con percussioni, nel seguire il virtuosismo di Tommy Emmanuel e, più o meno, creare spettacolo in quella direzione. 
L'unica mia speranza è che tra le nuove generazioni arrivino artisti che riescano a fare una sintesi e “completare” una sintesi che comprenda anche la nostra bellezza. Questo secondo me è l'auspicio perché adesso, tecnicamente, la possibilità di avere accesso ad archivi e materiale nostro tradizionale è immensa, è molto più semplice e molto più accessibile; e spero che qualche chitarrista delle nuove generazioni abbia questo senso artistico di rivolgersi un pochettino in questa direzione.

La cosa che ho notato è che molti dei chitarristi di questa seconda generazione acustica italiana spesso sono dei chitarristi elettrici convertiti. Spesso hanno un background di studio e di formazione che è molto diverso da quello della tua generazione. Alle volte mi sono ritrovato, paradossalmente, ad incontrare musicisti tecnicamente strepitosi che però magari avevano ascoltato un solo disco di Leo Kottke, una volta a quindici anni. Se uno ripensa a Kottke, Fahey, Robbie Basho … quell’approccio “culturale” a un certo tipo di musica è totalmente assente. Questo, secondo me, si riflette spesso della loro proposta musicale, non perché ci sia un problema di ipertecnicismo, ma perché manca un’estetica dietro.
Generalmente la mia idea è che la musica si deve evolvere sempre passando per la musica dei padri. Non è veramente possibile saltare un gradino di questa evoluzione. Chi non ha riferimenti profondi alla musica di chi è venuto prima, in genere tende a non avere profondità nella sua. Magari può avere delle grandi doti tecniche ma manca di profondità e di poesia … in genere. Quindi per me il senso di questa tua domanda è vero, nel senso che a volte alcuni dei chitarristi acustici hanno fatto questo passo senza conoscere esattamente quello che è stato il passato. Secondo me ci si dovrebbe evolvere pensando non solo ai grandi maestri che tu hai nominato, che vanno da Robbie Basho a Leo Kottke, ma anche pensando a quello che è il nostro background, come ti dicevo, quello della grande musica italiana che riusciamo a esprimere.

Il disco si conclude con un medley di brani di Doc Watson registrata dal vivo sul palco dell’Acoustic Night di Genova 2017, di cui ormai da ben da diciassette anni ormai sei l’ispiratore. Su quel palco si sono sempre avvicendati artisti di altissimo livello. Puoi darci qualche anticipazione sulla prossima edizione?
Beh, questa “Acoustic Night” non l'abbiamo preparata lavorando da quest'anno, ma è un pensiero che ho da circa dieci anni e si riallaccia a questo discorso del conoscere artisti, come per esempio Felix Meyer che sono andato a conoscere a Berlino. Da sempre penso che la rivisitazione di De André più bella che si può dare sia quella che porta De André a uscire dai nostri confini (per tutto il discorso precedente). Finalmente ho trovato questi artisti che hanno questo grosso entusiasmo nei confronti della musica di Fabrizio De André: Felix Meyer, Eric Manouz, James Keelaghan. Non sono solo grandi cantautori di paesi lontani, ma sono entusiasti proprio della grandezza della musica di Fabrizio De André, quindi sono stranieri che sono riusciti a capire quanto sia bello poter fare un lavoro del genere. Stanno già lavorando adesso alla scelta delle canzoni e siamo in contatto diretto, nel senso che [sorride] devo tradurgli il senso, il significato profondo delle parole di Fabrizio De André. È già stata fatta una versione incredibile de “La guerra di Piero” ...  fantastica! Quindi sono molto eccitato per questa edizione perché ha un respiro veramente profondo, perché l'ho sognata da tantissimi anni e finché non ho trovato gli artisti giusti l'ho tenuta sempre in un cassetto come un sogno. E adesso il sogno si avvera. Dobbiamo solamente lavorare un po’ alla musica e a far conoscere gli artisti tra di loro.

Per concludere: che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro da Beppe Gambetta? Puoi dirci qualcosa dei tuoi prossimi progetti?
È molto interessante pensare ai progetti perché è sempre il famoso letto con tutti i bigliettini di Woody Allen. Nella mente di un artista i progetti sono continui, sono sempre in embrione ma sempre pronti ad evolversi. L'idea è quella di continuare a fare questi eventi come l’Acoustic Night sempre stando attenti alla poesia, alla creatività, al dire qualcosa di profondamente artistico. Quindi, come tutti gli artisti, quando sono nella mia stanza continuo a comporre, continuo ad ascoltare musica, continuo a riarrangiare canzoni, a conoscere musicisti diversi. 
Forse, tra le varie cose che mi piacerebbe fare a un certo punto della mia carriera, mi piacerebbe aiutare di più gli artisti nuovi che stanno arrivando. Se avessi questa possibilità di tirare un po' i remi in barca (adesso siamo a 250 giorni all'anno on the road per poter continuare questa attività). Ma se potessi scegliere, a parte tutte le mie nuove composizioni e lavori artistici, forse la mia scelta sarebbe quella di poter lavorare un po' di più per chi arriverà, per i musicisti che continueranno il nostro lavoro; quindi magari aiutare un po' di più chi sta iniziando questa carriera, che non è per niente semplice perché noi in questo momento stiamo fortemente ai pedali, sempre. Ti stimola molto questo fatto di dover continuare a impegnarti profondamente e il commento che facevo era: “Faccio un concerto meraviglioso come questo qua del Folk Club e vado a dormire felice, e poi mi risveglio disoccupato [ride sonoramente]. Quindi i progetti sono sempre di tutti i tipi: cercare di mantenersi leale alla poesia dell’arte, al significato dell'arte, e cercare di continuare aiutando un po’ anche chi continuerà il nostro lavoro.

Proveresti la stessa sensazione negli Stati Uniti, o è una sensazione che provi di più qui in Italia? Andare a dormire dopo un concerto americano ti dà più speranza per quello che ci sarà dopo, o è una cosa che pesa di più per un artista italiano?
Pesa di più per un artista italiano. Perché i meccanismi e i cambiamenti che tendono a escludere o a complicare la vita di un artista sono più spietati e preoccupanti forse più qua da noi che non in America. In America il sistema è difficile, basato sulla libera concorrenza, però sai che se ti impegni hai un qualcosa in cambio. Qua i meccanismi sono più complessi, più complicati. Quindi il risveglio da disoccupato in Italia è un po' più … duro [ride].

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