
Ho cercato di ridurre alcuni brani del mio repertorio con Carlo Aonzo alla sola chitarra perché ci sono sempre dei fan di questo progetto che mi chiedono di suonare qualcosa; quindi è sempre bello poter offrire qualcosa da quel progetto. La cosa interessante di questa ricerca, praticamente la storia di questo, è che i chitarristi folk del secolo scorso, cento, centovent’anni fa, probabilmente non avevano le possibilità di ascoltare musica su radio o dischi, quindi trascrivevano queste opere che per quei tempi, forse, rappresentavano la musica pop. E la cosa forte è che a quei tempi non esisteva un esatto muro tra la musica accademica, classica, e la musica popolare, le due cose si rimescolavano con più facilità. Quindi troviamo artisti folk che inseriscono nel loro repertorio brani classici, e questa è una caratteristica di quell’epoca che mi ha sempre affascinato. Chiaramente la tecnica per suonare melodie mooolto lente sulla chitarra necessita di un tremolo, quindi ho dovuto sviluppare a mio modo una forma di tremolo che mi consentisse di suonare questo tipo di melodia. È una sintesi tra tremolo classico e forme popolari di tremolo che derivano dal cross-picking americano, da quello celtico o altro. Comunque questa riduzione è una cosa che avveniva nel tempo così, normalmente, da parte dei chitarristi folk; quindi ho voluto continuare in tempi moderni a fare la stessa cosa, come ricordo di questo periodo del passato. In più penso che, essendo io artista internazionale che si muove sempre in ambiti folk, è molto bello ogni tanto avere questo orgoglio per qualcosa di meraviglioso che abbiamo nella nostra tradizione, nel passato della nostra musica. Quindi, nel momento in cui mi trovo in questi grossi festival dove c'è il palco con cui sono insieme ad artisti di etnie e tradizioni completamente diverse, è molto bello portare fuori la mia italianità e suonare un brano d'opera, o l' “Ave Maria” sarda o qualche melodia incredibile che è stata composta in Italia.
In “Short Stories” c’è ancora una volta spazio per Fabrizio de André, di cui stavolta riprendi ben due brani. Se “Jamin-a” viene dopo “Creuza de Ma”, “A Cimma” e “Sinan Capudan Pascià”, con “Il Pescatore” invece per la prima volta reinterpreti De André in italiano. Cosa significa per un artista italiano, ma soprattutto per un artista genovese, reinterpretare Fabrizio De André?

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Foto di Antonello Sacco |
Il problema è che in Italia è un po' … “super trattato”, nel senso che c’è questo grosso problema del karaoke di De André. Ci sono un sacco di artisti che riproducono De André come se fosse una cover band, ed è effettivamente molto riduttivo e sprecato; è un qualcosa in movimento che va così, che va mosso verso il futuro. Quindi, partendo da questi presupposti, continuo ad avere sempre un brano di De André nel mio spettacolo all'estero; è da trent’anni che c’è, e sono felice di avere fatto questa scelta.
Uno sguardo al tuo lato “americano”. Beppe Gambetta, un chitarrista bluegrass di Genova capace di “vendere il gelato agli eschimesi” e che diventa un rispettatissimo musicista in America. Eppure, da un recente ricerca sull’ascolto in streaming, risulta che il rap ha sorpassato tutti gli altri generi [Corriere.it del 17 luglio 2012]. Qual è il posto della musica per chitarra acustica negli Stati Uniti oggi?
Beh, secondo me è più interessante parlare non strettamente di chitarra. Forse la musica strettamente per chitarra acustica è sempre stata abbastanza una nicchia, e continua a rimanere una nicchia. Se invece parliamo di nuova musica acustica legata alla roots music americana come un fenomeno un po' più ampio, di cui chiaramente la chitarra fa parte, direi che il momento artistico-storico per la musica roots e le sue diramazioni progressive è estremamente buono. Nel senso che, se dobbiamo fare una valutazione di quella che è la scena, di quello che sono gli artisti e le produzioni, è un momento in cui esistono festival legati a questa musica, come il Merle Fest, il Telluride Fest, Strawberry, Grey Fox, Winfield (Kansas), dove si incontrano non migliaia di persone, ma decine di migliaia di persone, e si incontrano proprio per l'amore per questa musica, per la gioia di stare insieme e di suonare insieme. In America esistono ancora delle riviste cartacee che si occupano di musica, esiste ancora “Bluegrass Unlimited”, esiste “Acoustic Guitar”, esiste ancora “Sing Out”.


Se volgiamo lo sguardo al panorama italiano, probabilmente non ci sono mai stati tanti chitarristi acustici in attività quanto oggi. In più festival, meeting, corsi …. Tu stesso sei sempre stato attivamente impegnato nella didattica. In che direzione sta andando la musica per chitarra acustica in Italia, oggi?
Secondo me la musica per chitarra acustica è viva e vitale anche da noi perché ci sono alcuni festival, ci sono delle realtà; poi chiaramente la tecnologia aiuta la formazione di nuovi talenti. Ci sono ancora in attività chitarristi storici perché Franco Morone, Riccardo Zappa etc. sono tutti chitarristi delle generazioni precedenti, e in più adesso si aggiungono nuovi talenti che sono sicuramente molto interessanti. Il mio unico cruccio di questa scena italiana è che si tende sempre a copiare degli stili stranieri. Non sta uscendo fuori una via italiana alla chitarra acustica in maniera forte. Vabbè, chiaramente … parlo io che per tutta la vita mi sono innamorato della musica americana! Però in tutta la mia carriera ho cercato di fare una sintesi che provasse a comprendere anche, e riscoprire (come ho detto nelle domande precedenti) la nostra bellezza. Secondo me la musica per chitarra in questo momento continua a rivolgersi a esempi stranieri. Ci sono questi grandi filoni del suonare la chitarra con percussioni, nel seguire il virtuosismo di Tommy Emmanuel e, più o meno, creare spettacolo in quella direzione.

La cosa che ho notato è che molti dei chitarristi di questa seconda generazione acustica italiana spesso sono dei chitarristi elettrici convertiti. Spesso hanno un background di studio e di formazione che è molto diverso da quello della tua generazione. Alle volte mi sono ritrovato, paradossalmente, ad incontrare musicisti tecnicamente strepitosi che però magari avevano ascoltato un solo disco di Leo Kottke, una volta a quindici anni. Se uno ripensa a Kottke, Fahey, Robbie Basho … quell’approccio “culturale” a un certo tipo di musica è totalmente assente. Questo, secondo me, si riflette spesso della loro proposta musicale, non perché ci sia un problema di ipertecnicismo, ma perché manca un’estetica dietro.
Generalmente la mia idea è che la musica si deve evolvere sempre passando per la musica dei padri. Non è veramente possibile saltare un gradino di questa evoluzione. Chi non ha riferimenti profondi alla musica di chi è venuto prima, in genere tende a non avere profondità nella sua. Magari può avere delle grandi doti tecniche ma manca di profondità e di poesia … in genere. Quindi per me il senso di questa tua domanda è vero, nel senso che a volte alcuni dei chitarristi acustici hanno fatto questo passo senza conoscere esattamente quello che è stato il passato. Secondo me ci si dovrebbe evolvere pensando non solo ai grandi maestri che tu hai nominato, che vanno da Robbie Basho a Leo Kottke, ma anche pensando a quello che è il nostro background, come ti dicevo, quello della grande musica italiana che riusciamo a esprimere.
Il disco si conclude con un medley di brani di Doc Watson registrata dal vivo sul palco dell’Acoustic Night di Genova 2017, di cui ormai da ben da diciassette anni ormai sei l’ispiratore. Su quel palco si sono sempre avvicendati artisti di altissimo livello. Puoi darci qualche anticipazione sulla prossima edizione?

Per concludere: che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro da Beppe Gambetta? Puoi dirci qualcosa dei tuoi prossimi progetti?
È molto interessante pensare ai progetti perché è sempre il famoso letto con tutti i bigliettini di Woody Allen. Nella mente di un artista i progetti sono continui, sono sempre in embrione ma sempre pronti ad evolversi. L'idea è quella di continuare a fare questi eventi come l’Acoustic Night sempre stando attenti alla poesia, alla creatività, al dire qualcosa di profondamente artistico. Quindi, come tutti gli artisti, quando sono nella mia stanza continuo a comporre, continuo ad ascoltare musica, continuo a riarrangiare canzoni, a conoscere musicisti diversi.

Proveresti la stessa sensazione negli Stati Uniti, o è una sensazione che provi di più qui in Italia? Andare a dormire dopo un concerto americano ti dà più speranza per quello che ci sarà dopo, o è una cosa che pesa di più per un artista italiano?
Pesa di più per un artista italiano. Perché i meccanismi e i cambiamenti che tendono a escludere o a complicare la vita di un artista sono più spietati e preoccupanti forse più qua da noi che non in America. In America il sistema è difficile, basato sulla libera concorrenza, però sai che se ti impegni hai un qualcosa in cambio. Qua i meccanismi sono più complessi, più complicati. Quindi il risveglio da disoccupato in Italia è un po' più … duro [ride].
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